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Il pragmatismo uccide la Fede

"Honesta turpitudo pro causa bona est".

Lo disse Pubblilio Siro duemila anni fa, ma è terribilmente attuale. Non è il demonio ad uccidere la fede, e nemmeno l'ateismo. È il pragmatismo, che spinge la Chiesa ad accogliere tutto ed il contrario di tutto sotto il sacro manto. Ed è il relativismo religioso, non meno pernicioso di quello filosofico, per cui non vi sarebbero beni assoluti e mali assoluti e tutto va contestualizzato, storicizzato.

Questa concezione dominante ha spinto ad un cambio di prospettiva: dal male assoluto si è passati al male relativo. Così il cammino neocatecumenale è stato evidentemente considerato, nella peggiore delle ipotesi, un male minore rispetto alla lontananza dalla fede, alla violenza della società, all'espansionismo islamico, ecc. ecc.

Kiko, di certo, non è un dèmone. Più che altro, è un individuo che ha imparato progressivamente a gestire la propria eccentricità, il proprio carisma sugli altri, fino a trasformarlo in uno strumento di esaltazione collettiva. Sapendo circondarsi degli appoggi giusti nelle gerarchie e fuori di esse. Alla fine l'ha vinta, a dimostrazione di quanto possa il connubio auto-esaltazione e lucidità.

Quanto al Papa, fa il suo mestiere, che è quello di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, sapendo accogliere anziché respingere. Tuttavia, grava su di lui il peso di scelte sicuramente problematiche e piuttosto dirompenti tra i fedeli.

Bisogna pregare anzitutto per lui, perché se un Papa si sbaglia, sono disastri per la Chiesa (e per l'umanità).

Al momento in cui siamo, ci chiediamo se il Papa abbia ancora qualcosa da dire sulla questione CNC: non lo sappiamo e crediamo non lo sappiano neppure i suoi più stretti collaboratori. Ci appare difficile, comunque, che possa imprimere una sterzata fortemente correttiva sui direttori - che nonostante una sorprendente "approvazione" continuano a rimanere "segreti" - dopo aver approvato lo statuto del CNC al di là di ogni ragionevole dubbio. Anche se ora, in extremis, qualcosa sulla Liturgia si è mosso.
A dire il vero, il nostro Papa è un inguaribile ottimista, poiché è riuscito a vedere quel poco di buono nel Cammino in un mare magnum di contraddizioni e storture che lo accompagnano, come denunciato qui e altrove.

Ed è un Papa che sorprende, perchè dopo aver chiaramente impresso una svolta nella riscoperta dei valori della tradizione cattolica ed ecclesiale, ha approvato il frutto più controverso e plateale della ermeneutica post-conciliare, con aggiunte sincretiste e giudaizzanti.

Parlavo di pragmatismo come vero malanno della Chiesa. In effetti ciò che danneggia e disorienta il credente cattolico è la mancanza di posizioni inequivoche, tradizionali o progressiste che siano.

Nessuno è abbastanza progressista nella Chiesa odierna da suscitare un sano moto oppositivo nelle coscienze dei credenti tradizionalisti. E nessuno è abbastanza tradizionalista da sgomberare il campo da qualsivoglia equivoco sulla certezza dei dogmi fondanti della fede, con assunzione di comportamenti consequenziali.

O meglio. Vi è una certa contraddizione tra l'affermazione dei dogmi ed il perseguimento di politiche diplomatiche e tolleranti. Sarà colpa della globalizzazione, della secolarizzazione, non so. Impera, però, una strategia fifty-fifty, da via di mezzo, cerchiobottista e pragmatica, all'insegna dell'embrassons-nous.

Un clima che non è nato oggi, visto che il Cammino ha preso piede negli anni sessanta, senza particolari reazioni e non certo in virtù dell'aura di segretezza di cui si è circondato, considerato che le notizie su di esso circolavano già allora.

Diciamo che è nato nel momento giusto, con una Chiesa divisa e spaccata su tutto, come il mondo esterno, inserendosi alla grande tra le opposte fazioni per seguire una propria originale strada, fatta di parole antiche e comportamenti ultramodernisti.

Solo qualche ventennio prima, e il CNC sarebbe stato liquidato senza troppi preamboli, esattamente in difesa di quei valori oggi tranquillamente messi in discussione, senza particolari doglianze, a parte qualche lamento.

Temo proprio che Publilio Siro abbia colto nel segno, a proposito delle turpitudini quando diventano utili alla causa. Il dilemma è se la causa, rinforzata dalle turpitudini, rimanga incorrotta o non si trasformi in qualcosa d'altro.
Materia per fini disquisizioni teologiche.
Liberio

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