A ciascuno la sua Messa. 
  
  Lo sfogo di un parroco che vuole fare comunione. La Messa è un fatto personale 
  e di gruppo? Veglia Pasquale di cristiani......separati in casa.
  
  L' omelia del Vescovo alla Messa crismale del giovedì santo, che ha toccato, 
  con graffiante audacia, una delle questioni più scottanti e complesse del 
  nostro tempo, quella delle relazioni tra parrocchie e movimenti, mi ha 
  riportato ad un imbarazzante episodio in cui sono stato coinvolto qualche 
  settimana fa e che mi permetto di riferire ad alta voce, convinto come sono 
  che una serena schiettezza è certamente più utile di un imbronciato silenzio. 
  
  Recentemente sono stato contattato da alcuni responsabili del movimento neo-catecumenale della vicina diocesi di Como, i quali chiedevano il permesso di 
  celebrare la veglia pasquale in un ampio locale a pochi metri dalla chiesa 
  parrocchiale di Chiasso. Risposi gentilmente che non era nelle mie competenze 
  rilasciare dei permessi e ancor meno opporre dei divieti, ma che bastava 
  piuttosto attenersi alle direttive ecclesiali vigenti e al buon senso comune. 
  Non c'era bisogno di affittare nessun locale a pochi metri dalla chiesa: 
  avrebbero potuto celebrare la veglia pasquale nell'ampia chiesa arcipretale 
  insieme a tutti i fedeli di Chiasso. Ringraziarono per l'ospitalità ma 
  chiesero, a motivo delle particolari esigenze liturgiche del movimento 
  neocatecumenale, di poter celebrare la " loro" veglia dopo la conclusione 
  della " nostra". Feci osservare che la ricchezza della liturgia neo-catecumenale poteva opportunamente essere accolta e integrata nella 
  celebrazione di un'unica veglia, a vantaggio di tutti, e che questo criterio 
  pastorale è da sempre in uso nella prassi ecclesiale, basti pensare, ad 
  esempio, all'abituale integrazione delle espressioni della spiritualità scout 
  nelle celebrazioni parrocchiali. Replicarono facendo notare il problema della 
  durata della veglia: essa avrebbe occupato tutta la notte e non si sentivano 
  di impegnare dentro questa azione, espressione tipica del loro carisma, tutti 
  i parrocchiani di Chiasso. Ribattei dicendo che anche questo non costituiva un 
  problema: avrebbero potuto prolungare fino al mattino ( prolungare ma non... 
  ripetere) l'unica veglia dell'unico Signore risorto celebrata insieme. 
  Soprattutto in questo spazio " prolungato" avrebbero potuto esprimere nella 
  massima libertà dei figli di Dio la ricchezza del loro particolare carisma di 
  cristiani appartenenti al cammino neocatecumenale. Mi dissero piuttosto 
  sconcertati che avrebbero dovuto riflettere e che mi avrebbero dato una 
  risposta. Li sto ancora aspettando...
   Un'occasione mancata e un episodio 
  spiacevole che mette in luce l'acuirsi di una tensione che non è più possibile 
  ignorare, pena la progressiva e deleteria separazione fra cristiani " 
  carismatici" appartenenti a questo o a quel movimento e cristiani di " serie 
  B" semplicemente appartenenti ad una parrocchia. La tentazione per gli uni è 
  quella di un intruppamento acritico alla sequela del fascino di un fondatore, 
  più che al contenuto evangelico testimoniato dal fondatore stesso, e per gli 
  altri quello di uno scadimento del senso di appartenenza ad una realtà 
  territoriale, quella della parrocchia, vista unicamente dal profilo 
  burocratico.
  Comunità parrocchiali e movimenti ecclesiali: ecco una delle cosiddette " 
  sfide" del nostro tempo. All'omelia della Messa crismale, con la sua consueta 
  franchezza, il Vescovo ha cercato di liberare la questione dai superficiali 
  psicologismi meschini e maligni per ricondurla nel solco della fede, così come 
  è illustrata dal Vaticano II e dai documenti magisteriali successivi.
  Oggi più che mai è chiesto soprattutto alla parrocchia un'azione coraggiosa e 
  prudente di sintesi e di contenimento nello spirito di quella formula, " 
  comunità di comunità ", da vari anni ricorrente negli ambienti ecclesiali. 
  Formula, tuttavia, tanto azzeccata quanto delicata, che lungi dal suggerire 
  accomodamenti buonisti e tolleranti orienta verso una precisa nozione di 
  Chiesa come popolo di Dio. Fa giustamente notare il canonista (e cugino) 
  prof. Giorgio Feliciani della Cattolica di Milano (membro del movimento " 
  Comunione e Liberazione"): « La formula " comunità di comunità " certamente 
  non viene proposta, e nemmeno potrebbe esserlo, come definizione della realtà 
  parrocchiale. Infatti, nella sua genericità potrebbe portare a considerare quest'ultima come una sorta di confederazione di gruppi e comunità. Una 
  concezione di tal genere, se rigorosamente intesa e attuata, porterebbe a 
  gravissime conseguenze come una inaccettabile limitazione del ministero del 
  parroco che nei rapporti con i singoli fedeli dovrebbe necessariamente 
  avvalersi della mediazione del gruppo cui appartengono, o anche una 
  emarginazione del parrocchiano che, per avventura, si trovasse a non 
  partecipare ad alcun gruppo.
  Insomma ne potrebbe derivare una sorta di "lottizzazione" della vita 
  parrocchiale ben poco compatibile con l'immagine di parrocchia offerta dal 
  Vaticano II » .
  Ancora una volta, e non potrebbe essere altrimenti, è nell'intelligenza 
  superiore della fede che parrocchie e movimenti ecclesiali possono misurare, 
  per dirla semplicemente, la verità delle rispettive posizioni fino allo 
  svelamento di ciò che veramente conduce all'unità perfetta dei credenti voluta 
  dal Signore Gesù. 
  
  DON GIANFRANCO FELICIANI, parroco di Chiasso