È dall'alto che si vede bene. Bisogna 
									salire le scale della cupola fino all'anello 
									interno e sovrastante la Basilica - quello 
									che porta incisa la scritta "Tu es Petrus et 
									super hanc petram aedificabo aecclesiam meam". 
									Da lì, dove si affacciano i turisti senza 
									fiato su San Pietro sotto di loro 
									spalancata, si vede con nettezza come la 
									verticale del vertice della cupola precipiti 
									con rigorosa geometria sull'altare centrale; 
									questo a sua volta eretto esattamente sopra 
									il luogo in cui furono sepolti i resti di 
									Pietro. Come uno squarcio, un taglio, una 
									ferita fra il cielo e la terra di Roma. Fra 
									la gran cupola rosata dominante la distesa 
									dei tetti, e il buio antico delle Grotte 
									vaticane e del passato. "Super hanc petram".
                                    
                                  Questa pietra, questa e non un'altra, qui e 
									non altrove. Perchè qui fu sepolto il primo 
									apostolo, il prescelto, il fondatore. "Super 
									hanc petram aedificabo", promessa non 
									metaforica, ma assolutamente materiale. Qui 
									la tomba, qui la Chiesa è sorta. Esattamente 
									in quel luogo, e nemmeno un poco più in là. 
									Straordinaria carnalità della Chiesa, ansia 
									di incarnarsi perchè gli uomini possano 
									vedere, e toccare. Basterebbe osservare la 
									verticale su cui ruota l'asse della Basilica 
									vaticana per capire quanto è lontana dal 
									cristianesimo la parola utopia, tanto cara 
									ai sognatori e agli sciocchi ("ou tòpos", 
									non luogo, senza luogo).  La Chiesa che nasce 
									ha fin da subito il suo luogo, edificata 
									sopra quella pietra. Dopo duemila anni, è 
									qui, ancora. Caduti tutti gli imperi, morti 
									e dimenticati re e sovrani e tiranni, 
									cancellati dal tempo i loro nomi sulle tombe 
									orgogliose.
                                    
                                  San Pietro è qui, immensa e immobile in 
									fondo alla piazza in un'alba di giugno. 
									Larga, imponente in ogni colonna del 
									colonnato, come piantata per restare per 
									sempre. Ma è in alto che occorre andare, per 
									vedere quell'invisibile verticale dalla 
									cupola alla profondità della terra, quella 
									vertigine che coniuga un sepolcro e il 
									cielo. Il centro del mondo, l'alfa e 
									l'omega, è una pietra nel buio qui sotto. 
									Non è una metafora, è la parola data da un 
									costruttore: "Super hanc petram aedificabo". 
									La promessa è lì, geometricamente, 
									vertiginosamente innalzata.