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Sbaglia chi constata la ribellione e l'apostasia nella Chiesa?
Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genetrix!

Siamo arrivati al "si salvi chi può"? Crediamo proprio di sì. Certo non caschiamo dalle nuvole. Il processo di sedizione interna alla Chiesa è in atto da decenni. Ma ad oggi si verificano atti autenticamente scismatici, platealmente tali, e nulla succede! Atti di sovversione alla Fede, all'Ortodossia Cattolica, alla Divina Liturgia, alla Morale Evangelica, al Sacramento dell'Ordine.

Guardando una panoramica sulla situazione relativa al Motu Proprio del Santo Padre sul Rito Antico si constata qualcosa di rabbrividente. La Chiesa sembra una Associazione ONLUS dove i Soci (Vescovi) fanno ciò che vogliono a maggioranza o minoranza! Si trattano i temi della Fede in Cristo come se fossero sessioni accademiche!!!!! Come se fossero linee di pensiero!

Il nostro discorso sul Cammino Neocatecumenale si inquadra anche nella constatazione della ribellione e dell'apostasia presenti nella Chiesa.

L'articolo nella home page di oggi 25 ottobre di papanews.it, a cura di padre Gregorio, dà risposta ad alcuni nostre affermazioni, a proposito dell'induzione in errore dei Papi da parte dei loro stretti consiglieri. A causa di costoro, Giovanni XXIII aveva un cattivo concetto di padre Pio, così come Giovanni Paolo II ignorava le aberrazioni neocatecumenali.

Vi proponiamo una parte significativa dell'articolo, che riguarda il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo cerimoniere del Papa, straordinariamente calzante e coerente con il discorso affrontato sul nostro Weblog.

Considerato l'orientamento modernista di mons. Piero Marini e le sue predilezioni spettacolistiche, molto ben descritte nell'articolo, si capisce bene perchè Giovanni Paolo II possa aver avuto una percezione distorta del fenomeno neocatecumenale.

(...)Monsignor Guido Marini, il successore di Piero, non ha mai fatto mistero del proprio pensiero in questioni liturgiche. Egli è stato ordinato dal Cardinal Giuseppe Siri, uno degli ultimi Principi di Santa Romana Chiesa che, quando pontificava nel Duomo di San Lorenzo, usava abitualmente la cappamagna, le scarpe rosse con fibbie d’oro, il cappello cardinalizio; è uno dei tanti sacerdoti dell’Arcidiocesi di Genova che ama il latino, il gregoriano, la dignità dei riti; è stato Cerimoniere degli Arcivescovi Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco, anch’essi molto attenti al decoro nella liturgia. Viceversa, l’omonimo Piero è noto per la sua contrarietà a tutto ciò che ricorda anche lontanamente la tradizione rituale della Corte papale: alla solenne romanità egli preferiva mutuare dalle “culture” africane riti tribali, danze offertoriali davanti al Papa, liturgie inventate a tavolino in nome dell’inculturazione; e non si può dimenticare quel suo approccio coreografico secondo il quale la liturgia è spettacolo e come tale va ideata e adattata: un approccio in palese opposizione al rito antico, definito sprezzantemente come “vecchia liturgia”, frutto di “incrostazioni” e “sedimentazioni”. In pratica, l’esatto opposto del pensiero di Benedetto XVI.

Ciò conferma le riflessioni di quanti, noi inclusi, ritengono più che mai in atto nella Chiesa un braccio di ferro tra tradizionalisti e modernisti, tra libertari e 'obbedienti', tra ortodossi ed eterodossi.

Lo scontro sommerso nella Cei sull'applicazione del Motu Proprio sulla messa tridentina ne è l'ennesima riprova. È una questione di punti di vista, di prospettive teologiche e 'ideologiche' contrastanti. Mentre vi è chi rimane ancorato alla concezione tradizionale della Chiesa, altri ritengono la Casa di Dio una sorta di società per azioni, dove al potere del presidente si oppone quello dell'amministratore delegato e del consiglio di amministrazione, il quale rivendica il diritto a dissentire ed adottare autarchicamente proprie determinazioni.

Diciamolo forte, allora: la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica NON è UNA SOCIETA' PER AZIONI, né una ONLUS, né tantomeno una maxi-setta, una superlobby, una superloggia o una confraternita esoterica.

È, sempre e semplicemente, la comunità viva dei fedeli di Gesù Cristo, referente attuale della antica tradizione apostolica. Il resto è prodotto della miseria morale e della vanagloria dell'umanità, anche quando veste la tonaca o la porpora e si entusiasma per i rituali fantasiosi e sacrileghi di una setta eretica come il Cammino neocatecumenale.


Sulla situazione della nostra Chiesa, merita di essere letto l'articolo di Tornielli sul suo blog, che riportiamo:

Alla CEI, tre giorni di discussione sulla Messa Antica…

Da lunedì pomeriggio fino a mercoledì mattina i trenta vescovi del Consiglio permanente della Cei hanno discusso del Motu proprio. Tutti i retroscena del dibattito avvenuto a porte chiuse.
Ci sono stati vescovi che hanno criticato la decisione papale (tra questi gli arcivescovi Bruno Forte, di Chieti-Vasto, Paolo Romeo, di Palermo, e Carlo Ghidelli, di Lanciano-Ortona), chiedendo che la Cei pubblicasse un documento interpretativo per l’Italia. Bagnasco, Ruini, Scola e Caffarra sono intervenuti in difesa del Papa e della sua decisione.
Alla fine la proposta non è passata e dunque non ci saranno interpretazioni ufficiali (e restrittive) del Motu proprio.
Intanto a Milano permane il divieto di celebrare col rito antico. Ma qualcosa si muove: all’Università Cattolica l’assistente, monsignor Gianni Ambrosio, celebrerà ogni settimana una messa in rito romano antico per studenti e professori…

I vescovi litigano sulla Messa in latino ma non passa la linea anti Ratzinger
di Andrea Tornielli http://blog.ilgiornale.it/tornielli 21 settembre 2007

È stato un dibattito acceso, per molti versi simile a quello avvenuto la scorsa primavera sull’opportunità di pubblicare la famosa Nota sui Dico, segno che si tratta di una questione scottante: da lunedì pomeriggio fino a mercoledì mattina il Consiglio permanente della Cei ha discusso animatamente del Motu proprio di Benedetto XVI sulla messa antica e della sua applicazione. Alcuni dei vescovi presenti alla riunione, infatti, hanno manifestato le loro critiche al documento chiedendo che la Cei preparasse una Nota interpretativa delle direttive papali per l’Italia. Ma l’iniziativa non è passata.

Il «Parlamentino» dei vescovi, al quale partecipano trenta presuli italiani, presieduto da Angelo Bagnasco, si è riunito lunedì pomeriggio. Dopo la prolusione del presidente, che conteneva un ampio paragrafo sul Motu proprio, ma anche apriva la discussione su altri argomenti, gli interventi si sono concentrati solo sulla messa tridentina. Il dibattito è avvenuto a porte chiuse, ma secondo le indiscrezioni raccolte dal Giornale alcuni dei prelati hanno manifestato la loro preoccupazione per l’applicazione del documento del Papa, entrato in vigore lo scorso 14 settembre, che liberalizza l’uso del messale antico. Tra questi Carlo Ghidelli, vescovo di Lanciano-Ortona, che ha preso la parola più volte. Insieme a lui e sulla stessa linea erano anche Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto; Benvenuto Italo Castellani, arcivescovo di Lucca; il nuovo arcivescovo (e futuro cardinale) di Palermo Paolo Romeo [amico del Cammino!]; Felice Di Molfetta, vescovo di Cerignola e presidente della Commissione episcopale per la liturgia. Quest’ultimo aveva appoggiato, nei mesi scorsi, la lettera inviata al Pontefice da un gruppo di liturgisti italiani per chiedergli di non procedere con la liberalizzazione dell’antico rito. Nei loro interventi hanno sottolineato come il Motu proprio di Benedetto XVI rischi di creare disagio perché l’ecclesiologia presente nel vecchio messale sarebbe «incompatibile» con quella scaturita dal Concilio Vaticano II. Proprio per questo, hanno chiesto che la Cei preparasse un documento interpretativo del testo papale. E si può ben supporre che sperassero in un’interpretazione restrittiva.

Il card Ratzinger: celebrazione VO - 1990

Dopo i contrari, però, si sono levati i commenti a favore. Il presidente Bagnasco e i cardinali Camillo Ruini, Carlo Caffarra e Angelo Scola sono intervenuti difendendo il Motu proprio «Summorum Pontificum» e il gesto di riconciliazione in favore dell’unità della Chiesa sotteso alla decisione di Benedetto XVI. Si è riproposto, all’interno del Consiglio permanente della Cei, qualcosa di simile a quanto avvenuto alla fine del marzo scorso, quando, alcuni dei vescovi presenti, dubbiosi sulla Nota riguardante i Dico, avevano cercato di ammorbidirne la portata «politica». Questa volta, invece, c’era la volontà di pubblicare un testo per un’interpretazione «italiana» delle parole del Papa. Allora come oggi sono stati decisivi gli interventi di alcuni porporati, primo fra tutti l’ex presidente della Cei Ruini.

Anche senza documento della Cei, il processo «interpretativo» del Motu proprio è in atto e le diocesi si comportano nel modo più vario [??]. Il vescovo di Albenga Mario Oliveri, due giorni fa ha pubblicato una lettera presentando positivamente il Motu proprio e richiamando alla necessaria cura per la celebrazione di qualsiasi messa. Ribadisce invece la sua posizione - vietando l’applicazione delle direttive papali al vecchio rito ambrosiano - la diocesi di Milano guidata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Il suo vicario, Luigi Manganini, ha ribadito nei giorni scorsi al clero la decisione, restringendo anche l’applicazione del Motu proprio nelle zone della diocesi dove vige il rito romano in quanto non ci sarebbero gruppi stabili di fedeli (nonostante da 23 anni sessanta persone assistano ogni domenica alla messa in ambrosiano antico alla chiesa del Gentilino e a Seregno vi sia una celebrazione domenicale dei lefebvriani). Ma anche sotto la Madonnina chi può si organizza: una messa antica (in rito romano) sarà celebrata settimanalmente da monsignor Gianni Ambrosio all’interno dell’Università Cattolica.

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