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Risonanze e monizioni. Differenze ed uso nel rito neocatecumenale

Le “risonanze”(1) - inserite arbitrariamente nella celebrazione liturgica neocatecumenale da un laico improvvisato liturgo - costituiscono uno dei momenti in cui viene interrotto il ritmo del rito e quindi 'piegata' la sua forma sacrale - e per questo intangibile e immodificabile - al diktat di Kiko Arguello, che in esse vede (e di fatto si realizza) uno dei momenti pregnanti della coesione della comunità... che è l'unica ragione di quel rito!

La Santa e Divina Liturgia – ma può esser considerata tale un coacervo di elementi sincretisti di ‘fabbricazione’ umana? – ha, invece, per obiettivo il vero culto a Dio rientrando nella sfera dell'in-utile: cioè di ciò che è gratuito e non strumentale, e celebra e offre e accoglie e molto di più … Un rovesciamento di orizzonte inaudito! Come non considerare il comportamento in esame - peraltro non previsto dai Libri Liturgici che consentono solo brevi ‘monizioni’(2) prima delle Letture, nonché occasionali 'testimonianze' - se non uno della serie inaudita di abusi liturgici posti in essere da questa celebrazione che pretende di essere considerata cattolica?

Il momento delle risonanze 'serve', e quindi è 'strumentale' (è il rito che viene strumentalizzato e non è più Actio di Cristo, ma dell'assemblea), sempre secondo Kiko, a dare maggiore risalto alla "mensa della Parola" (proprio come i protestanti) in base alla quale ognuno dice quel che la Parola gli ispira, spesso collegato a fatti intimi della sua vita(3). Ed è questa la vera ragione per cui le celebrazioni sono rigorosamente separate comunità per comunità, parcellizzate persino all'interno del Cammino... (dov'è la comunione e la cattolicità, cioè l'universalità? Non c'è nemmeno al loro interno! Almeno non secondo i canoni cattolici cioè cristiani: la vera comunione si ha in Cristo!)

Ovviamente queste 'risonanze', che sarebbero meglio collocate in una Liturgia della Parola avulsa dal Rito e costituente, semmai, una vera e propria "terapia di gruppo", realmente sono molto del 'cemento' su cui si salda e si rinforza la comunità, insieme all'atmosfera esaltante e coinvolgente che si crea, anche per effetto dei canti che svegliano l'emotività e castrano l'interiorizzazione, necessaria invece ad una vera maturazione spirituale ma anche psicologica, perché le due cose vanno SEMPRE insieme

La stessa Lettera di Arinze [vedi anche commenti] richiamata in nota anche nell’art.13 dello Statuto (che parla solo delle modalità di ricezione della comunione), prescrive quanto alle 'monizioni':

2. Circa le eventuali monizioni previe alle letture, devono essere brevi. Occorre inoltre attenersi a quanto disposto dall’“Institutio Generalis Missalis Romani” (nn. 105 e 128) e ai Praenotanda dell’”Ordo Lectionum Missae” (nn. 15, 19, 38, 42).

Le eventuali monizioni: dunque non possono avere carattere di sistematicità. “Eventuale” significa che non ci deve essere sempre, come di fatto accade, e neppure molto spesso (altrimenti sarebbe stato usato un aggettivo diverso: “le frequenti monizioni” è ben diverso da “le eventuali monizioni”).

Figuriamoci le “risonanze”! Per le quali la Lettera prescrive:

Quanto ad interventi occasionali di testimonianza da parte dei fedeli laici, valgono gli spazi e i modi indicati nell’Istruzione Interdicasteriale “Ecclesiae de Mysterio”, approvata “in forma specifica” dal Papa Giovanni Paolo II e pubblicata il 15 agosto 1997. In tale documento, all’art. 3, §§ 2 e 3, si legge:
§ 2 - “È lecita la proposta di una breve didascalia per favorire la maggior comprensione della liturgia che viene celebrata e anche, eccezionalmente, qualche eventuale testimonianza sempre adeguata alle norme liturgiche e offerta in occasione di liturgie eucaristiche celebrate in particolari giornate (giornata del seminario o del malato, ecc.) se ritenuta oggettivamente conveniente, come illustrativa dell’omelia regolarmente pronunciata dal sacerdote celebrante. Queste didascalie e testimonianze non devono assumere caratteristiche tali da poter essere confuse con l’omelia”.
§3 - “La possibilità del ‘dialogo’ nell’omelia (cfr. Directorium de Missis cum Pueris, n. 48) può essere, talvolta, prudentemente usata dal ministro celebrante come mezzo espositivo, con il quale non si delega ad altri il dovere della predicazione”.


Ugualmente si raccomanda prudenza per le omelie “dialogate”, sempre precisando che possono capitare “talvolta”. In poche parole: le testimonianze sono la rara ed adeguata eccezione, non la regola!

Non c'è scampo: se c'è bisogno di ripetere tutte queste raccomandazioni e precisazioni, vuol dire che nel Cammino NC certi abusi hanno talmente svilito il rito da preoccupare seriamente il Papa e la Congregazione.

C'è inoltre da notare che le disposizioni citate a supporto risalgono almeno al 1997, cioè a cinque anni prima dell'approvazione degli Statuti e oltre otto anni prima la lettera di Arinze che stiamo commentando. Non sono perciò “concessioni” al Cammino, tanto meno “novità”. Infatti recita la lettera:

Si tenga inoltre attentamente conto di quanto esposto nell’Istruzione “Redemptionis Sacramentum”, al n. 74.

Rileggiamoci attentamente il numero 74 della Redemptionis Sacramentum:
«Se vi fosse l’esigenza di fornire informazioni o testimonianze di vita cristiana ai fedeli radunati in Chiesa, è generalmente preferibile che ciò avvenga al di fuori della Messa. Tuttavia, per una grave causa, si possono offrire tali informazioni o testimonianze quando il Sacerdote abbia pronunciato la preghiera dopo la Comunione. Questo uso, tuttavia, non diventi consueto. Tali informazioni e testimonianze, inoltre, non abbiano un senso tale da poter essere confuse con l’omelia, né si può a causa loro totalmente sopprimere l’omelia stessa».

Conclusioni

Se la vera 'comunione' è in Cristo ed è il Signore che la crea, ciò che si crea nelle dinamiche operanti all'interno del cammino non è comunione, ma appartenenza, consorteria e, soprattutto - nell'ambito di ogni comunità - dipendenza reciproca, proprio perché la comunità si 'forma' e si salda e si configura non in Cristo, ma nelle 'pratiche' dei camminanti; il che li 'forgia' secondo i metodi e i 'modelli' del cammino e non secondo la loro peculiare individualità, cui non è concesso di maturare nella fede in Cristo, ma che viene coartata e 'confusa' nel calderone del gruppo e nella realtà anche spirituale dell'"entità-cammino", che è una vera e propria "entità" alla quale non so dare un nome, ma che ho la certezza non è Cristo Signore...

Altra riflessione, semplice, ma per niente banale:

se -come credono i cattolici- davvero i camminanti credono nella Presenza Reale del Signore e celebrano il Suo Sacrificio (nel quale c'è insieme alla sua offerta redentiva, anche la nostra offerta al Padre) e il Suo consegnarci il Suo Corpo e il Suo Sangue di Risorto che vuole entrare in noi per entrare in comunione di intimità con noi, ci chiediamo COME FANNO a vivere questa intimità e questa realtà indicibilmente grande e Sacra e meravigliosamente salvifica e trasformante, nel coacervo di esaltazione e anche banalizzazione di essa, segnalata del fatto che non si inginocchiano mai e ricevono il Corpo e Sangue di Cristo con modalità che non sembrano tener conto della persona Divina (oltre che umana che è) e che viene per ognuno di noi a salvarci liberandoci dal peccato e quindi dalla morte spirituale e non – come insegna Kiko - a dare "l'allegria" né a 'servire' o a "portare sul carro di fuoco", la merkavà, i partecipanati a quell’Assemblea?

Se essi fossero consapevoli solo di un'inezia di quel avviene su quell'Altare (già, dimenticavo, non hanno altari, ma solo 'mense' per di più spesso posticce), non vorrebbero 'uscire da se stessi' esaltandosi nei canti e nell'allegria (che più che allegria diventa sguaiatezza e non ha niente a che vedere con la GIOIA VERA dei RISORTI in CRISTO); ma vorrebbero piuttosto (e purtroppo nessuno glielo insegna) 'rientrare in sé stessi' e lì - nel proprio intimo- accogliere e Adorare il Signore della Vita, con la consapevolezza e il rispetto e l'attesa e la gratitudine e l'apertura di cuore che merita, soprattutto piegando le ginocchia come segno esteriore della grandezza dell'evento, del FATTO che è Azione del Signore che si riattualizza ad ogni Liturgia celebrata da un sacerdote che lo fa con l'intenzione della Chiesa... Qual è invece la vera intenzione dei loro sacerdoti, se pensiamo agli insegnamenti kikiani?

Qui mi fermo, perché non ho il coraggio di dire il resto... è troppo grave e serio e non posso che affidarlo al Signore Gesù, che il Suo Nome Grande e Terribile, oltre che Misericordioso e Giusto e Salvatore, faccia il prodigio di aprir loro gli occhi dello spirito!
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(1) Le ‘risonanze’, come già il termine lascia intuire sono espressioni di quanto, al termine delle letture, risuona nello spirito del credente e che possono essere condivise per l’ascolto e l’arricchimento reciproco di quanto la Parola suscita in ognuno. Di solito si praticano nelle “Lectio Divine” comunitarie e mai nella Liturgia, che ha una sua ‘forma’ e suoi ritmi non modificabili a piacimento, fissati dai Libri Liturgici.

(2) Le ‘monizioni’ sono brevi indicazioni, di solito riservate al celebrante, ma ormai per prassi preparate dal gruppo liturgico, che vengono lette dall’ambone allo scopo di introdurre i fedeli alla Liturgia della Parola e richiamare la loro attenzione, prima di ogni lettura, sui punti più significativi da interiorizzare.

(3) Da rilevare che, per effetto della prassi introdotta dal Cammino NC, ci sono aspetti e fatti della vita che non appartengono più al ‘foro interno’ sacro e inviolabile della persona, che ogni camminante che ‘passa’ attraverso certi ‘scrutini’ vede violato con intrusioni rozze ed imposte coercitivamente

08 luglio, 2010 14:22
 

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