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	Lettera già inviata al Santo Padre, che diventa lettera 
	aperta... 
  
	Un nostro lettore ci invia la sua sofferta 
	testimonianza, corredata di questa lettera, che rendiamo pubblica, su sua 
	stessa richiesta, omettendo solo i riferimenti personali 
	......., 08 febbraio 2008 
	
  
Santità, 
  
	desidero innanzitutto ringraziarLa per l’amore con cui 
	sta provvedendo alla “sete spirituale” dei nostri tempi, illuminato dallo 
	Spirito Santo nel ruolo di guida della Chiesa di Cristo, a cui io mi glorio 
	di appartenere. Ed è proprio constatando l’amorevole cura pastorale che, 
	finalmente, trovo il coraggio di interpellare il Suo discernimento a 
	proposito di un problema che turba, nell’intimo, la mia esperienza di membro 
	del Cammino Neocatecumenale. Sono realmente preoccupato, mi capita di 
	versare lacrime, e non solamente perché coinvolto in prima persona. So che 
	la suddetta realtà è al sapiente vaglio di Santa Madre Chiesa, ma so anche 
	che una cosa è la lettera sottoposta all’attenzione delle Congregazioni per 
	la Dottrina e per il Culto, altra lo “spirito”, il clima che si vive e 
	l’effettiva dottrina che, in pratica, viene inculcata quotidianamente in un 
	contesto chiuso alla compartecipazione del restante popolo di Dio. Il Suo 
	magistero mi insegna che diversità è ricchezza, non divisione, in nome dei 
	carismi che derivano dallo Spirito Santo e che fanno della Sposa di Cristo 
	una sublime realtà, la quale accompagna l’uomo nel suo corso mondano.  
	Non cerco la perfezione nell’uomo: sarebbe cosa stolta. 
	Come non concordare, infatti, con quanto affermato da S. Paolo a proposito 
	della Legge e del peccato? Ma sono altrettanto consapevole che il Signore, 
	illuminandoci tramite l’antropologia paolina, non vuole affatto fornirci il 
	pretesto per commettere errori. Soprattutto, come ho avuto modo di ascoltare 
	dalla Sua voce, l’impegno a non scandalizzare i fratelli è tanto maggiore, 
	quanto grave è l’assunzione di responsabilità di chi, nelle parrocchie e nei 
	movimenti, svolge un ufficio pastorale. So che il Cammino parla attraverso 
	coloro che lo conducono, attraverso quanti, a loro dire, proferiscono verbo
	ex cathedra, dettando la linea e conferendo contenuto a quel che è 
	insegnamento comune, rivolto a tutti i suoi appartenenti. Non intendo 
	meschinamente denunciare gli abusi ideologici di qualche persona in 
	particolare: sia per non commettere peccato, sia perché ritengo che quanto 
	sto per scrivere non comporti la mia condanna nei confronti di uomini, ma 
	riguardi l’impostazione neocatecumenale in quanto tale, insieme con formule, 
	opinioni, frasari che il Signore mi ha dato modo di riscontrare in questi 
	anni. Prima di scrivere, ho cercato lumi presso diversi sacerdoti. Alcuni di 
	loro, già titubanti circa il Cammino, mi hanno suggerito il presente passo. 
	Inoltre, i catechisti stessi, sospettando della mia condotta “ondivaga”, mi 
	hanno diffidato dall’interpellare il vescovo della mia diocesi (di .....): a loro modo di vedere, ogni mia mossa sarebbe conosciuta, essendo 
	anch’egli un sostenitore dei neocatecumenali, mercé le ingenti offerte che 
	le comunità devolverebbero, con cadenza mensile, a favore del “suo clero”. 
	Desidero ardentemente che tale mio scritto non venga ritenuto di marca 
	delatoria, perché – prego di essere creduto – il mio intento è sincero, 
	almeno quanto il tormento e la preoccupazione di figlio che, la domenica, 
	confessa di credere in una Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica». Per 
	questo, per quanto possibile, mi atterrò ai “fatti”, a ciò che ho 
	direttamente vissuto, per non giudicare sul sentito dire, né animato dal 
	risentimento: sine ira et studio.  
	
		
		
		  Un primo problema è il cruccio che mi 
		provocano gli episodi in cui, con una certa trascuratezza, passando tra 
		i banchi, vengono maneggiati il Corpo e il Sangue di Cristo i quali, 
		spesso, caduti in terra, vengono raccolti in maniera estemporanea. 
		Correlati a ciò, sono gli accadimenti che mi provocano turbamento, 
		giacché, a volte, dubito di appartenere a un movimento cattolico, fedele 
		e obbediente al Magistero della Chiesa. Mi riferisco, in particolare, 
		all’interpretazione delle disposizioni della Congregazione per il Culto 
		Divino, inviate con lettera prot. 2520/03/L del 01/12/2005 dal Cardinale 
		Arinze. A oggi, infatti, restano disattesi: il punto 1 («Almeno una 
		domenica al mese le comunità del Cammino Neocatecumenale devono perciò 
		partecipare alla Santa Messa della comunità parrocchiale»); il punto 
		3, con relativo rinvio all’Istruzione Interdicasteriale Ecclesiae de 
		mysterio art. 3 §§ 2 e 3, circa l’eccezionalità delle testimonianze 
		dei fedeli durante la celebrazione eucaristica (le cosiddette 
		“risonanze”): esse vengono incoraggiate e svolte indifferentemente, in 
		ogni occasione e in numero superiore ai quattro-cinque interventi; il 
		punto 6. Infine, in un proclama tenuto a tutte le comunità di Nettuno, 
		Anzio e Cecchina (diverse centinaia di persone) dal catechista maggiore 
		in carica, il punto 5 è stato descritto come una concessione che il Papa 
		ha voluto fare a proposito della modalità di ricevere la Santa 
		Comunione: Sua Santità avrebbe concesso, ad experimentum (sic!),
		la possibilità di rimanere seduti per ricevere le due specie, 
		riservandosi di riesaminare la questione tra due anni: purtroppo, 
		leggendo il testo della Congregazione, ho avuto modo di riscontrare il 
		vero contenuto, nonché il termine perentorio fissato nel punto in 
		questione: «… si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di 
		transizione (non più di due anni) per passare […] al modo normale 
		per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il 
		Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri 
		liturgici per la distribuzione del Corpo e Sangue di Cristo». Il che 
		ha notevole significanza, come illustrato da Sua Santità nell’enciclica
		Deus caritas est al § 13. E comunque, quel che mi ha sconcertato, 
		è stata la chiosa del suddetto capo-catechista a proposito dell’intera 
		lettera: «D’altronde, chi verrà mai controllarci. Infatti, celebriamo 
		a porte chiuse e con nostri presbiteri». Nel frattempo, laici e 
		sacerdoti neocatecumenali (a loro dire) impiegati presso Radio Vaticana 
		(il cui S.I.C. ci si vanta di controllare) e Propaganda Fide spacciano 
		notizie di corridoio come verità assolute, sostenendo di aver udito 
		dalla Sua bocca l’intenzione di richiamare all’ordine le intemperanze 
		del Cardinale Arinze, per poi disporre, il prossimo novembre, la revoca 
		delle disposizioni in questione. Cosicché, al di fuori di ogni logica, 
		la totalità dei fratelli dà per certe notizie ufficiose, imputando 
		l’onere della prova (contraria) in capo a quanti rammentano i contenuti 
		di un documento ufficiale! 
		
		E disattesi restano altresì gli Statuti. All’art. 10 
		§ 3 è stabilito che: «La comunità neocatecumenale è affidata alla 
		cura pastorale del Parroco e del presbitero da lui incaricato (cfr. art. 
		27). Inoltre la comunità indica, mediante votazione, un responsabile 
		laico e alcuni corresponsabili, che vengono confermati dal parroco e 
		dall’equipe di catechisti. Essi collaborano con il presbitero per 
		assicurare che la comunità percorra l’itinerario del Cammino 
		Neocatecumenale, secondo quanto stabilito nello Statuto e nel 
		Direttorio, e per curare gli aspetti organizzativi». Ora, in diversi 
		casi (comprese le vicende della mia comunità), nulla di tutto ciò 
		accade: il parroco è totalmente tenuto all’oscuro di quanto dovrebbe 
		pastoralmente guidare (cfr. art. 28 § 3) e, per giunta, la delicata 
		carica di responsabile, chiamato a organizzare convivenze, a prelevare 
		le dovute quote di danaro mensili (decime e altro) e a comunicare ai 
		catechisti le attività (lavorative e non) intraprese da ciascun membro, 
		è nominato d’imperio dai catechisti, senza la libera e spontanea 
		elezione da parte dei fratelli. Questo accade specialmente in comunità 
		che non devolvono sufficienti somme di denaro. Quanto alla possibilità 
		di chiedere spiegazioni in merito, la risposta è stata: «Sono deroghe 
		che non ti competono, le nostre decisioni sono ispirate dallo Spirito 
		Santo, perciò le tue domande sono insidiose e provengono da Satana. 
		Dovresti aver capito che gli Statuti sono stati fatti approvare per 
		zittire i vescovi». Per giunta, conformemente a tali 
		opinioni, i prelati che nutrono riserve sul Cammino sarebbero ingannati 
		dal demonio: «Eppure, Yahweh misericordioso fa della loro debolezza 
		nei confronti del denaro la nostra forza. E allora, partecipiamo tutti 
		alle collette che, ogni tanto, devolveremo a parrocchie e diocesi. Così 
		si ammorbidiranno e ci lasceranno fare le catechesi per i nuovi». 
		Non posso accettare simili frasi, anche perché, paradossalmente, a rigor 
		di logica, dovrebbe dirsi ingannata anche Sua Santità, visto che si è 
		“permessa” di avallare determinate correzioni?  
		
		Non posso rimanere imperturbato se, durante certe 
		omelie, i presbiteri del Cammino, con tono apodittico, decretano che 
		tsunami e altri disastri sono procurati da Dio per punire chi 
		pratica turismo sessuale e altri consimili abominii; che l’attacco di 
		Israele sui civili libanesi – comprese le comunità cristiane di Beirut – 
		si giustificano alla luce della forza concessa da Dio al popolo eletto, 
		il quale dimostra, oggi come nella storia dell’Antico Testamento, di 
		mobilitarsi in modo compatto; che i cristiani, analogamente, hanno 
		dimostrato in passato di potere abbattere gli Stati, come l’Impero 
		Romano: perciò i neocatecumeni devono prepararsi per il futuro. 
		Insistendo, poi, sulla considerazione per cui gli Ebrei sono fratelli 
		maggiori nella fede, i catechisti descrivono il Cammino come diramazione 
		dell’Ebraismo. Il che si rende evidente nell’oggettistica ebraica nelle 
		case (comprese le bandiere con la stella di Davide) e sull’altare 
		(durante la consacrazione, a pochi centimetri dal pane, è d’obbligo 
		utilizzare le nove luci della Cannukkiàh), nell’invito ad alzarci in 
		piedi quando si canta lo Shemà e nell’interpretazione sionista 
		del dialogo tra cattolici ed ebrei (questi ultimi definiti 
		letteralmente, dai catechisti, “popolo superiore”), nei sentimenti 
		anti-palestinesi e, infine, nelle critiche alle inique politiche 
		vaticane e francescane in Terra Santa (specie in occasione della recente 
		crisi libanese, durante la quale, a loro dire, Sua Santità avrebbe fatto 
		meglio a “schierarsi” a favore dei legittimi attacchi israeliani) etc. 
		
		Mi spaventa il modo in cui viene ignorata la 
		vocazione ecumenica della Chiesa. Avanzando riserve a proposito delle 
		spaccature che certi atteggiamenti settari potrebbero provocare, ho 
		ricevuto risposta dai catechisti: il problema esposto dalla lezione 
		paolina (per esempio, nell’Epistola ai Corinti I, 10 ss.) non si 
		pone. Infatti, non si tratterebbe di essere seguaci di Cefa, di Apollo o 
		di Paolo, poiché il Cammino è l’unica realtà che ricapitola ogni 
		carisma. Chi non accetta questo, offende Yahweh (sic!). E ancora: 
		che il nostro parlare debba essere sì sì, no no, e che il superfluo 
		proviene dal maligno, significa dire sì o no al Cammino, mentre 
		qualsiasi altra opzione è un compromesso che annacqua il messaggio di 
		salvezza. Mi si ripete continuamente, durante le cosiddette 
		“convivenze”, che colui il quale abbandona il Cammino Neocatecumenale è 
		destinato a perdere la fede, giacché la Messa domenicale sarebbe un 
		insufficiente palliativo per i cristiani tiepidi, così come omelie 
		pressappochiste dei parroci i quali, servi della dottrina sociale della 
		Chiesa, imbonirebbero i cultori di una “religiosità naturale”: «La 
		messa della domenica lasciatela ai cristiani della domenica, fatevelo 
		dire da persone che, per anni, prima di essere illuminati dal Cammino, 
		hanno errato nelle parrocchie non incontrando mai Yahweh». E ciò 
		produce i suoi effetti, dato che mi capita di ascoltare, durante le 
		risonanze, persone che ringraziano Dio di aver donato loro sacerdoti 
		neocatecumenali, pentendosi di aver partecipato, talvolta, alla Messa 
		domenicale, da cui non hanno ricevuto null’altro che una sensazione di 
		vuoto interiore (sic!). E, in queste occasioni, mai s’è levato un 
		presidente (ovviamente lusingato da tali paragoni) a correggere simili 
		affermazioni. Già, perché, a loro dire, la vita parrocchiale sarebbe 
		ormai agli sgoccioli, pronta a essere sostituita dalla novità del 
		Cammino, per mezzo dei suoi sacerdoti, formati nei seminari “Redemptoris 
		Mater”. Per questo, oggi, trasmettere la fede ai figli significherebbe 
		fare in modo che essi, come i genitori (e così per via genealogica) 
		aderiscano solo e soltanto al Cammino Neocatecumenale. L’obiettivo 
		dichiaratamente perseguito sarebbe una sorta di autarchia: “figli del 
		Cammino” che, formatisi nei suddetti seminari, assumano la guida di più 
		parrocchie possibili, impiantandovi la realtà neocatecumenale e tentando 
		di renderla esclusiva per tutti i parrocchiani. Purtroppo, qualche anno 
		addietro, a ...., l’ex parroco ...., aderendo al Cammino aveva 
		assunto – a detta degli altri parrocchiani – un atteggiamento talmente 
		parziale e discriminatorio da suscitare spaccature e gelosie nel popolo, 
		sino a disporre che i banchi fossero sistemati perpetuamente in modo 
		circolare, pronti all’uso del Cammino, e a far costruire, al centro, un 
		vasto battistero per le immersioni. Purtroppo, una simile 
		chiusura si ripercuote anche nel considerare fratello e prossimo solo 
		chi è neocatecumeno, poiché, con estenuanti giochi verbali e sinonimi, 
		si insinua la perfetta riduzione della Chiesa al Cammino: chi non è 
		neocatecumeno è “figlio del mondo”. Tale identificazione produce 
		effetti, specie su chi, da sempre lontano dalla partecipazione alla vita 
		sacramentale, inizia ad ascoltare le catechesi. D’accordo l’orgoglio 
		identitario (puntualmente celebrato anche a margine degli incontri con i 
		giovani), lo spirito di corpo, ma ciò che mi turba è quando un organo si 
		distacca dal resto delle membra, rivendicando superiorità. Il che mi si 
		rende evidente, addirittura, quando ascolto dai ragazzi slogan da 
		stadio, altamente offensivi nei riguardi dell’Opus Dei, di Comunione e 
		Liberazione e dei (a loro dire) “madonnari” di Lourdes e Medjugorie. 
		Nella mia comunità, per evitare “contaminazioni”, fratelli che si sono 
		parallelamente avvicinati al Rinnovamento dello Spirito sono state 
		richiamate all’obbedienza, invitati a non comportarsi come “serpi in 
		seno” e, con ciò, a sedersi agli ultimi banchi durante le celebrazioni 
		eucaristiche. Quale pena provo, Padre! quale pena! Del resto, sono 
		veementemente scoraggiati i matrimoni con chi non è neocatecumeno. 
		L’imperativo di riferimento è la frase di S. Paolo: «Non unitevi al 
		giogo diseguale dei pagani». Stessa cosa è capitata a me quando ebbi 
		la sventurata idea di dichiarare il mio desiderio di abbracciare 
		l’Ordine Francescano Secolare: in molti, a cominciare dai catechisti, mi 
		negarono il saluto. Tuttavia, quel che mi ha procurato maggior 
		sofferenza è stato l’abbandono della mia fidanzata, figlia di 
		catechisti, costretta a lasciarmi perché avevo mostrato l’intenzione 
		“pagana” (sic!) di abbandonare il Cammino. Ci amavamo, ma è stata 
		convinta che, con me, le sarebbe stato impossibile formare una famiglia 
		cristiana. Io, tra l’altro, ero colpevole di avere avanzato sommesse 
		perplessità sul fatto che se ogni movimento (i catechisti rifiutano tale 
		denominazione, poiché il Cammino incarnerebbe l’autentica conversione 
		cristiana) funzionasse secondo un’obbligatoria appartenenza genealogica, 
		ascrittiva, potrebbe insinuarsi il tarlo della frammentazione, a 
		dispetto del carattere cattolico (:universale) della Chiesa di Roma. La 
		ragazza, tra i tormenti, mi diede l’addio, edotta sul fatto che Dio la 
		chiamasse a tale sacrificio come fece con Abramo, chiamato a sacrificare 
		Isacco (salvo, poi, ravvedersi dinanzi il mio formale ripensamento). E 
		ciò non è accaduto soltanto a me, ma anche ad altri ragazzi. 
		Evidentemente, non basta il requisito dell’amore, insieme col bonum 
		prolis, bonum fidei e bonum sacramenti. A nulla vale 
		far presente che un matrimonio fondato su Cristo è edificato sulla 
		roccia. Lo stesso Cristo che unisce («ut unum sint»), a 
		differenza del diavolo, che divide (diaballein). Anzi, mi viene 
		insegnato che il Cammino deve impegnare ogni aspetto della vita, perciò 
		è d’uopo coltivare amicizie solo all’interno di esso, dato che solo lì 
		v’è salvezza, avendo qualcosa in più rispetto a tutte le altre realtà 
		del mondo cattolico. Infatti, la fede si acquisterebbe coi cosiddetti 
		“passaggi”, trasmessa dai catechisti, secondo un percorso iniziatico, 
		concepito in tappe i cui contenuti, rituali e simbologie non devono 
		essere assolutamente svelati né agli “esterni” (che continuano a essere 
		esclusi dalle celebrazioni a porte chiuse), né ai “fratelli inferiori”: 
		perché tanta segretezza e oscurità se, in virtù dell’unico (!) 
		battesimo, il cristiano diviene figlio della luce? La verità dovrebbe 
		temere il sole, dovrebbe celarsi nelle tenebre4? 
			
			·  Le opere sarebbero totalmente inutili: 
			il Cammino non prevede uffici caritatevoli verso il prossimo, perché 
			non si tratta di fare “beneficenza”, essendo la presenza dei 
			fratelli uno strumento di mortificazione che non prevede risalita, 
			bensì la discesa sino a comprendere la nostra natura meschina, per 
			mezzo delle celebrazioni della Parola: tutto ex sola fide, 
			soprattutto, ex sola scriptura. Immagini quali conflitti io 
			possa vivere, leggendo le parole di Sua Santità sulla qualità 
			edificante dell’amore al prossimo5. Desidererei sapere se può 
			ritenersi corretta oppure gnosticheggiante l’idea per cui, se non si 
			riscopre il Battesimo, tramite il percorso neocatecumenale, il 
			sacramento rimane inoperante. Inoltre, posso non essere considerato 
			cristiano se manco una “convivenza”, se non mi reco all’incontro 
			ufficiale coi catechisti oppure se non chiedo loro udienza per 
			esporre ogni mio problema? A questo punto, non so più come leggere 
			le affermazioni di S. Paolo a proposito della Legge e della metanoia 
			operata da Cristo per mezzo della Sua carne6. 
			
			·  In questo percorso in discesa, ci viene 
			detto che bisogna spogliarsi della propria personalità, tramite la 
			totale obbedienza ai catechisti su ogni aspetto della vita: il 
			Cammino conferirà nuova veste. Con ciò, sono esasperanti le 
			pressioni per rivendicare continuamente tale soggezione a laici che, 
			ribadendo la loro ispirazione divina, dettano il da farsi sin nei 
			più piccoli aspetti del quotidiano, anche ai sacerdoti 
			neocatecumenali, da essi richiamati all’obbedienza! Ogni decisione 
			inerente a interessi, lavoro e acquisti va comunicata, affinché 
			riceva approvazione dal loro discernimento. A me, in particolare, 
			che non verso in buone acque a livello occupazionale, era stato 
			promesso un lavoro, a condizione di dimostrare fedeltà al Cammino. 
			Tutto ciò ha presa sulle persone semplici, che attendono una Parola 
			di salvezza, alle quali viene insegnato e dimostrato che senza il 
			Cammino (non senza la Chiesa!) sarebbero persone sole e derelitte, 
			in balìa del mondo e del demonio. E alle spiegazioni che talvolta ho 
			il coraggio di chiedere, loro rispondono che bisogna chinare il 
			capo: «Non fare domande. Il dubbio sulle nostre scelte ti è 
			insinuato dal demonio». Non dovrei neppure “fare filosofia”, 
			perché la ragione umana è strumento di superbia di chi si crede 
			dottore: anche nella Chiesa questo male intellettualistico sarebbe 
			presente. Per quanto concerne la mia personale esperienza, a tal 
			proposito, posso ancora testimoniare che, compiuti gli studi 
			universitari in Scienze Politiche, ho intrapreso un percorso che mi 
			ha condotto al corso di dottorato di ricerca in Filosofia Politica, 
			collaborando all’ambiente di studio sorto dall’iniziativa del 
			compianto Prof. Augusto Del Noce. Ebbene, anche queste mie attività 
			hanno subìto condanna: non so per quale ragione ma, a detta dei 
			catechisti, la filosofia, cristiana o meno, potrebbe egualmente 
			portarmi sulla via dell’apostasia e della dannazione. A guidarmi, 
			invece, dovrebbero essere le sole parole di Kiko, il fondatore, il 
			cui carisma sarebbe stato in grado – secondo il racconto fornitoci 
			dal suddetto capo-catechista – di far recedere Sua Santità e la 
			Congregazione per il Culto Divino da propositi censòrii, durante un 
			faccia-a-faccia tenutosi nel dicembre del 2005. A tutto ciò, 
			ovviamente, si aggiunge il trionfalismo dei numeri, secondo loro 
			capaci di persuadere le più dure cervici della “burocrazia” 
			ecclesiastica, consentendo di cullare sogni espansionistici 
			esportando il metodo neocatecumenale ai melchiti come agli ortodossi 
			di Russia (viste le trattative riservate che sono in corso). A 
			questo, infine, si sommano la superiore qualità del clero kikiano 
			(ribadita in occasione delle penose cronache in materia di 
			pedofilia), l’abilità nel persuadere i vescovi con carenza di 
			parrocchiani e nel collocare i “fratelli” nei posti-chiave in quel 
			di S. Pietro, nonché i favorevoli frutti del Concilio Vaticano II 
			che, de-ellenizzando definitivamente la dottrina, avrebbe riportato 
			sulla rotta ebraica, consegnando il futuro del cristianesimo nelle 
			mani di questo sacerdozio laico, a riscatto dei secoli bui che 
			occupano il salto tra Giovanni XXIII e la Chiesa costantiniana 
			(espressioni usate da Kiko, Carmen e catechisti). Eppure, il mio 
			desiderio è essere cristiano, non idolatra del Cammino. Se sbaglio, 
			che Dio mi corregga, tuttavia reputo che idolo possa essere 
			qualsiasi cosa o persona, qualsiasi mezzo che si sostituisca al 
			fine, come insegnano le Scritture, insieme con S. Agostino (a 
			proposito dell’amor sui), Rosmini e altri ancora. Perché ogni 
			occasione adunativa, a Loreto lo scorso agosto, a S. Pietro nel 2006 
			come a Bonn nel 2005, deve essere vissuta mobilitando tutti, con il 
			dichiarato intento di fornire una dimostrazione di potenza (sic!) 
			alle “alte sfere ecclesiastiche”? Davvero si può credere di 
			estorcere questa o quella approvazione alla Chiesa ponendo, sul 
			piatto della bilancia, il proprio peso numerico? E mi domando a cosa 
			giovi l’autocelebrazione, ossia il vedere e rivedere, nelle 
			“convivenze”, le videocassette degli incontri con Kiko, col commento 
			audio che insiste sulla primazia del Cammino Neocatecumenale. Né 
			comprendo dove sia carità quando, in occasione del cosiddetto 
			“secondo scrutinio”, si organizza un processo in pubblica piazza. 
			Infatti, si è costretti, tra crisi di pianto, a confessare i propri 
			peccati sotto le domande incalzanti dell’equipe di catechisti: 
			indotto a confessare le più intime cadute, lo scrutinato è chiamato 
			rivelare a tutti quanto sia “schifoso” (sic!)7. Il tutto deve 
			corrispondere al dossier che catechisti e/o responsabili 
			conservano sul suo conto (purtroppo, ho avuto la possibilità di 
			scorgere fogli del genere). Gli altri fratelli, se, ascoltando, 
			reputano che la persona di turno stia mentendo o celando qualcosa, 
			sono tenuti a denunciare la non-conversione e la disobbedienza. In 
			più, al responsabile viene chiesto, sempre davanti a tutti, se il 
			fratello abbia mai mancato di versare il 10% del proprio guadagno 
			mensile e di partecipare alle raccolte per sostenere le spese dei 
			seminari “Redemptoris Mater” e della Domus Galilaeae. Nel caso in 
			cui il grado di fede del soggetto in questione venga “bocciato”, 
			costui viene retrocesso alla comunità inferiore, sino a successivo 
			riesame, ovvero estromesso definitivamente.
	
	Se è vera l’affermazione per cui “al di fuori del Cammino 
	non v’è salvezza” (pronunciata sulla falsa riga dell’extra ecclesiam 
	nulla salus), non riesco a darmi ragione di come sia possibile 
	l’esistenza di sant’uomini che del Cammino non hanno mai fatto parte. Né 
	riesco a comprendere come si possano chiamare quanti entrino a far parte del 
	Cammino (sacerdoti compresi), “i convertiti”. Allora sono da revocare tutte 
	le canonizzazioni sinora decretate? A tali obiezioni non trovo risposta. Le 
	mie saranno anche “domande da pagano” (sic!), ma come posso 
	condividere il concetto per cui, se si sceglie di aderire ad altre realtà 
	ecclesiali, oppure se ci si reca alla Santa Messa domenicale, ci si dispone 
	sulla via della perdizione? Forse, la domenica, in parrocchia, si celebra un 
	sacramento “meno sacramento” di quello “notturno” dei neocatecumeni? 
	Inizialmente, credevo di aver compreso male, di aver equivocato il 
	significato di tali messaggi catechetici: mi sembrava assurdo. E invece, 
	quando ho avuto concreti riscontri da chi li pronunciava… sono caduto in 
	crisi, cercando conforto nelle parole di Paolo: «Vi esorto poi, fratelli, 
	a guardarvi dai fautori di discordia e intralci contro la dottrina che voi 
	avete imparato: evitateli! Gente come loro, infatti, non servono a Cristo 
	nostro Signore, ma alla loro cupidigia, e con parole carezzevoli e promesse 
	di benedizioni ingannano l’animo dei semplici»8. Ma non so, sono 
	attanagliato dal dubbio. Solo il Signore sa quante volte mi sono ritrovato a 
	chiedermi perché. Eppure, nel momento in cui lo faccio, mi rendo conto 
	dell’insufficiente fede che nutro nell’azione provvidenziale di Dio, 
	operante per mezzo della Sua Santa Chiesa. Per tutto questo, ardisco 
	confessare che per me sarebbe un dono di eccezionale importanza ottenere un 
	Suo consiglio di padre. Per me sarebbe un privilegio se potesse posare per 
	qualche istante la Sua preziosa attenzione sulla mia presente lettera: 
	immagino gli innumerevoli impegni da cui è oberata la Sua persona, e non 
	pretendo certo che si dia cura dell’ultima pecorella del gregge, ma chiedo 
	di ricevere la grazia di una – anche breve – risposta. Ringrazio 
	infinitamente per l’umanità e la comprensione con le quali avrà letto le mie 
	noiose parole.  
	
	Prego Sua Santità di benedirmi. 
	
		
	
	
	
	
	(Nome Cognome) 
	
	1 Ep. ad Rom.  VII, 14-24.
	2 Ibidem, VI, 15 ss. 
	
	3 «L’Eucaristica ci attira nell’atto ablativo di Gesù. 
	Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo 
	coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine del matrimonio tra 
	Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo 
	stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla 
	donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa 
	unione. La “mistica” del Sacramento che si fonda nell’abbassamento di Dio 
	verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto 
	qualsiasi mistico innalzamento dell’uomo potrebbe realizzare […] 
	L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali 
	Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me […] La comunione 
	mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con 
	tutti i cristiani».  
	
	
	4 A questo proposito, devo ringraziare ancora lo Spirito 
	Santo per avermi preservato dall’errore, illuminandomi con il documento 
	datato 11/03/1985 e dedicato alla Inconciliabilità tra fede cristiana e 
	massoneria, con il quale la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito principi di 
	efficacia indubbiamente generale. Infatti, tra le altre cose, si afferma: «Innanzi 
	tutto si deve ricordare che la comunità dei “liberi muratori” e le sue 
	obbligazioni morali si presentano come un sistema progressivo di simboli dal 
	carattere estremamente impegnativo. La rigida disciplina dell’arcano che vi 
	domina rafforza ulteriormente il peso dell’interazione di segni e di 
	idee. Questo clima di segretezza comporta, oltre tutto, per gli iscritti il 
	rischio di divenire strumento di strategie ad essi ignote […] Per un 
	cristiano cattolico, tuttavia, non è possibile vivere la sua relazione con 
	Dio in una duplice modalità […] Egli non può coltivare relazioni di 
	due specie con Dio, né esprimere il suo rapporto con il Creatore attraverso 
	forme simboliche di due specie. Ciò sarebbe qualcosa di completamente 
	diverso da quella collaborazione, che per lui è ovvia, con tutti coloro che 
	sono impegnati nel compimento del bene, anche se a partire da principi 
	diversi. D’altronde un cristiano cattolico non può nello stesso tempo 
	partecipare alla piena comunione della fraternità cristiana e, d’altra 
	parte, guardare al suo fratello cristiano, a partire dalla prospettiva 
	massonica, come a un “profano” […] Questo stravolgimento nella 
	struttura fondamentale dell’atto di fede si compie, inoltre, per lo più, in 
	modo morbido e senza essere avvertito: la salda adesione alla verità di Dio, 
	rivelata nella Chiesa, diviene semplice appartenenza a un’istituzione, 
	considerata come una forma espressiva particolare […] Solo Gesù 
	Cristo è, infatti, il Maestro della Verità e solo in Lui i cristiani possono 
	trovare la luce e la forza per vivere secondo il disegno di Dio, lavorando 
	al vero bene dei loro fratelli». 
	5 «Se però nella mia vita tralascio completamente 
	l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente “pio” e compiere i miei 
	“doveri religiosi”, allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora 
	questo rapporto è soltanto “corretto”, ma senza amore […] Amore di 
	Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. 
	Entrambi però vivono dell’amore preveniente di Dio che ci ha amati per 
	primo. Così non si tratta più di un “comandamento” dall’esterno che ci 
	impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, 
	un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri
	[…] Mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che 
	supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla 
	fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor. 15, 28)». 
	(Cit. Deus caritas est § 18). 
	
	
	6 Ep. ad Efes.II,15. 
	
	7 Ciò, a dispetto di quanto viene formalmente dichiarato 
	nall’art. 28 §2 4° degli Statuti: «[le équipes di catechisti] durante gli 
	scrutini di passaggio da loro guidati devono mantenere il massimo rispetto 
	per gli aspetti morali della vita intima dei neocatecumeni che rientrano nel 
	foro interno della persona». 
	
	8 Ep. ad Rom.  XVI, 17-18.
     
                  
 
                
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