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"Ubi Petrus ibi Ecclesia"

Il primato del papa: responsabilità personale per la Chiesa universale.
a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello.


1. “Mi ami tu più di costoro?”

Il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda che il Vescovo di Roma, Pastore di tutta la Chiesa, è oggetto di speciale assistenza divina nel suo insegnamento ordinario, (che) aiuta a comprendere meglio la Rivelazione circa la fede da credere, la carità da praticare nella vita e la beatitudine da sperare[1] ed i fedeli sono chiamati ad aderirvi “col religioso ossequio dello spirito”[2], che diventa ossequio di fede quando infallibilmente il Papa si pronuncia in modo definitivo circa verità dottrinali e morali[3].

Si può dire che lo Spirito Santo metta a disposizione di ogni fedele la chiave ermeneutica per verificare l’autenticità dell’insegnamento cattolico: poiché unico è il collegio episcopale succeduto al collegio degli apostoli, uno solo è l’insegnamento autentico dei vescovi, quello che scaturisce dalla loro unità col Papa.

Il Papa, Vescovo di Roma e Successore di san Pietro “è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità, sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli”[4] e questo si manifesta nell’esercizio libero della potestà piena, suprema, universale ed immediata[5] per il bene delle anime nell’intero popolo di Dio. In tal modo sono espresse ad un tempo: nel collegio episcopale l’universalità e, nell’unico capo, l’unità della Chiesa.

C’è in modo speciale un luogo indicato come “sede teologica del primato”: è l’Eucaristia. Perché? Il Sommo Pontefice è ricordato nell’anafora e spesso nella preghiera universale di ogni Santa Messa[6]. Questa menzione non è di natura affettiva, ma ontologica, in quanto “segno e servo dell’unità della Chiesa universale”[7]; come la menzione del Vescovo, che segue, lo è per la Chiesa particolare.

Si comprende che la comunione della Chiesa deve esistere prima che si celebri l’Eucaristia, onde consolidarla e portarla a perfezione; l’Eucaristia non è il punto d’avvio della comunione ecclesiale[8]: lo spiega il fatto che c’è bisogno del battesimo per entrare nella Chiesa e della comune professione di fede per tornare a comunicare allo stesso calice.

Tutto questo è più o meno acquisito in campo ecumenico, ma deve essere ancora approfondito all’interno della Chiesa cattolica.

I fedeli hanno, in genere, una percezione molto immediata della Chiesa come corpo universale in cui si entra col battesimo; invece, capita di incontrare nel clero e tra i “laici impegnati” una riduzione particolaristica della Chiesa, fatta oggetto di una gestione soggettiva. Immaginiamo per un attimo che la Chiesa di Roma avesse seguito coloro che si rinchiudevano in circoli specialistici continuamente scontenti della Chiesa: essi, giudicavano la crisi del mondo, specialmente dopo il concilio Vaticano II, come totalmente buona e conseguentemente postulavano l’inutilità della Chiesa, in un mondo in se stesso buono e non bisognoso di salvezza.

Per grazia la Chiesa cattolica ha un antivirus che agisce contro ogni tentazione conformista, che si rende visibile - lo ha riconosciuto il sommo poeta Dante Alighieri - nell’amore grande al Pastor della Chiesa che la guida[9].

Gregorio Magno ne mostra consapevolezza quando sostiene che: “Gli uomini santi […] all’interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l’insegnamento illuminato, all’esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione”[10].

Benedetto XVI, al suo insediamento nella papale arcibasilica lateranense, ebbe a confermare la necessità di vegliare sulla sana dottrina, perché Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire[11].

2. “Un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi

La responsabilità personale del Papa per la Chiesa diffusa nel mondo è strutturata in modo da essere e comportare il martirio; infatti espone quotidianamente chi la porta a testimoniare Cristo senza accomodamento alcuno, a rischio della vita.

Così facendo, il papa assicura la trasmissione della Tradizione e della conoscenza della fede: questione fondamentale della “civiltà cristiana”; infatti, è questo a mettere in moto la libertà in ogni essere umano, aiutandolo a pensare e a decidere in modo personale, al di là delle mode. È la parresia evangelica a rendere impossibile, o almeno molto più difficile, l’indifferenza.

Prima della libertà del pensiero, anzi perché essa ci sia, c’è bisogno della coscienza. Gli Atti degli Apostoli riportano episodi che testimoniano come la coscienza si metta in moto quando l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio si incontrano, superando così la mera soggettività; Pietro grazie all’incontro con Cristo, decisivo per la sua maturità umana, può affermare di dover obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, in contrasto non solo con l’autorità costituita, ma anche con i propri sentimenti e con i legami dell’amicizia umana.

Il primato della verità tra tutte le virtù e in specie sul consenso sociale, fu riaffermato da John Henry Newman, celebre teologo e porporato inglese, nella Lettera al duca di Norfolk. E’ infatti in relazione alla coscienza cristiana che si possono comprendere le direttive della gerarchia e lo stesso primato del Papa.

La Chiesa non è una specie di parlamento, ma è un unico corpo mistico, organico, con a capo Gesù Cristo. E’ un corpo tenuto insieme visibilmente grazie al ministero di unità del vescovo di Roma.

Ignazio, diceva di Pietro, a cui era succeduto ad Antiochia, che era pro-estòs, - parola che significa presiedere, stare a capo, essere in posizione preminente - nell’agape, termine che indica l’amore che si fa concreto, visibile come in un convito che è la Chiesa, dove si è accolti con amore. Dunque, il capo della Chiesa, cioè la testa visibile del capo invisibile Gesù Cristo, detiene il primato dell’unità e dell’amore.

La Chiesa non è una diarchia, un corpo con due teste o due capi, uno ad oriente ed uno ad occidente, come da un certo ecumenismo si vorrebbe: se così fosse, sarebbe un monstrum.

Benedetto XVI, in un passaggio del discorso al termine della divina liturgia nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Fanar, ribadisce questo servizio che Pietro e i suoi successori sono chiamati a svolgere nella Chiesa: “Simone, nonostante la sua personale fragilità, fu chiamato ‘Pietro’, la ‘roccia’ sulla quale sarebbe stata edificata la Chiesa; a lui in maniera particolare furono affidate le chiavi del Regno dei Cieli[12]. Il suo itinerario lo avrebbe condotto da Gerusalemme ad Antiochia, e da Antiochia a Roma, così che in quella città egli potesse esercitare una responsabilità universale”[13].

Joseph Ratzinger, nel saggio Il primato del papa e l’unità del popolo di Dio (apparso in italiano tra i nuovi saggi di ecclesiologia in: Chiesa, ecumenismo e politica, Cinisello Balsamo 1987, pp. 33-48) aveva illustrato coerentemente che il servizio petrino, nella Chiesa cattolica e universale, poggia sulla testimonianza della risposta personale nominale del Papa al Signore, cosa che strutturalmente significa martirio ordinario.

E’ difficile prescindere da questo argomento quando si riflette sulla collegialità e sul primato o, come nel dialogo ecumenico, allorché si affronta il tema della conciliarità e dell’autorità.

Oggi che abbiamo sperimentato la comunità nei suoi valori come nei suoi limiti, comprendiamo di più che il ‘noi’ ecclesiale non è una massa indistinta, ma il popolo santo di Dio, il quale non sostituisce, ma presuppone ed implica, la risposta della persona, dell’io che si apre alla verità del rapporto con Cristo.

Proprio un “primato” così concepito, porta a chiarire, come ricorda il concilio ecumenico Vaticano II, che l’unità visibile dei cristiani, che viene ricercata con l’ecumenismo, non è un’altra cosa rispetto all’unità cattolica della Chiesa; semmai la ricerca ecumenica dell’unità tende a manifestare visibilmente ciò che già sussiste, l’unità voluta da Cristo, non ne esiste una parallela.

Le ambiguità però vi sono e vanno chiarite con realismo, anche riflettendo sulle divisioni come “inevitabili potature” perché appaia più chiaramente la verità. E’ necessario evitare con ogni attenzione di avvallare la tesi e la pratica, di “due ecumenismi”, di una unità diversa dall’unità cattolica della Chiesa. Tesi e pratica, queste, destinate al fallimento.

3. “Tu lo sai che io ti amo

La Chiesa si riunisce in sinodi e concili ma non è un concilio permanente. Come pure si articola in istituzioni venerabili e provvidenziali, antiche e nuove, nessuna delle quali può sostituire il primato petrino e romano. Il primato costituisce un vincolo essenziale per poter parlare di comunione piena e ancor più di vere chiese particolari.

Si comprende che il Vescovo di Roma sia il Successore di Pietro studiando in profondo gli atti compiuti da Gesù Cristo, che configurano il concetto di successione apostolica. Tuttavia il primato del Vescovo di Roma non è un munus solitario da monarca assoluto, esso va letto nel concerto dell’amicizia di Cristo con Simon Pietro e poi con Giacomo, con Giovanni e Andrea e, infine, con gli altri apostoli.

Così per il papa e per i vescovi: continuano, secondo l’immagine celebre della “costellazione” di von Balthasar, ad essere gli amici di Cristo che si fa Eucaristia e tra essi ha un posto speciale Maria santissima, la Donna verso la quale il primato deve sempre orientarsi.

L’alternativa a tale “costellazione” è l’autonomia e l’autocefalia del singolo cristiano o della singola comunità, che isteriliscono la comunione, oltre che riprodurre la diatriba sorta tra gli apostoli su chi debba avere il primato. Questa discussione sui “primati dal basso”, onorifici e mondani, fu troncata sul nascere da Cristo che divinamente affidò ad uno solo, primo Simone, come dicono gli evangelisti, il primato dell’unità e dell’amore.

Su questo poggia l’equilibrio della communio gerarchica della Chiesa cattolica. Un equilibrio che è alimentato con l’obbedienza del Papa e dei vescovi al Signore, che naturalmente diventa obbedienza vicendevole ma diversificata, come esprimono i due termini unità e comunione, simili ma diversi.

A questa opera di riconciliazione sul ministero petrino sono chiamate le chiese orientali cattoliche, che hanno la ragion d’essere per aver scelto la sede di Roma come criterio della communio. Il loro “ruolo-ponte” indicato dal concilio è, in sinergia con la sede di Roma, quello di accordare l’ecclesiologia orientale con la sinfonia della cattolica. In certo senso, si deve andare oltre l’oriente e l’occidente, oltre le rivendicazioni lontane del territorio canonico legate al cuius regio eius religio, perché, come ha detto il concilio, non c’è ecumenismo possibile senza il rispetto della libertà religiosa.

Non ci sarà bisogno di rincorrere a effimere globalizzazioni o ad imitazioni di unità ecumeniche, perché c’è già la Chiesa di Gesù Cristo una, santa, cattolica e apostolica che unisce in sinfonia, il locale e il particolare, all’universale.

E’ più che mai necessario tornare all’universalità cattolica, affinché sempre di nuovo accada il “che siano una sola cosa” del Signore, attraverso l’unità e l’amore al cui servizio reale è il primato romano, in cui continua a vivere Pietro “perché il mondo creda”.

4. “Sempre pronti a dare risposta

Un servizio essenziale il Papa lo compie in difesa della dignità e della libertà della persona. Benedetto XVI, nel discorso al convegno della Chiesa italiana a Verona, ha ricordato:

Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma […] preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell’amore e racchiude una promessa di salvezza.

Per i cristiani costituisce dunque l’invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé: come Cristo che è “segno di contraddizione”, noi cristiani dobbiamo “essere sempre pronti a dare risposta (apo-logia) a chiunque ci domandi ragione (logos) della nostra speranza”, come ci invita a fare la prima Lettera di San Pietro (3,15), “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (3,15-16), con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo.

Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica. Per i laici non credenti quest’invito è una proposta utile, anche sul piano della sola ragione.

Tutto questo è riaffermato recentemente da Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata della Pace 2007:

La Chiesa si fa paladina dei diritti fondamentali di ogni persona. In particolare, essa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa di ciascuno […]. Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo. La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è: saranno così evitate intromissioni inaccettabili in quel patrimonio di valori che è proprio dell'uomo in quanto tale […] l’umanità che ha a cuore la pace deve tenere sempre più presenti le connessioni tra l’ecologia naturale, ossia il rispetto della natura e l’ecologia umana […]. Ogni atteggiamento irrispettoso verso l’ambiente reca danni alla convivenza umana e viceversa.

Come trasmettere tutto questo da una generazione all’altra? Il Papa indica innanzitutto alla Chiesa, ma a chiunque abbia a cuore il bene dell’uomo, la priorità delle priorità: l’educazione della persona che avviene, dice, con la “formazione della sua intelligenza, senza trascurare quella della sua libertà e capacità di amare”, e per chi crede, ricorrendo all’aiuto della grazia di Dio.

Il credente, ma anche chi non crede, si rende conto che a questo punto la verità ha la sua massima manifestazione nell’amore.

Joseph Ratzinger, parlando del momento di crisi che attraversa l’umanità, e spiegando in che senso il Cristianesimo sia la vera religione, diceva testualmente:

Al livello più profondo il suo contenuto dovrà consistere, oggi - come sempre, in ultima analisi -, nel fatto che l’amore e la ragione coincidono in quanto veri e propri pilastri fondamentali del reale: la ragione vera è l’amore e l’amore è la ragione vera. Nella loro unità essi sono il vero fondamento e il fine di tutto il reale[14].

Amore e ragione, dunque.

E in un altro passaggio affermava:

Il concetto biblico di Dio riconosce Dio come il Bene, come il Buono (cfr. Mc 10,18). Questo concetto di Dio raggiunge il suo culmine nell’affermazione giovannea: “Dio è Amore” (1Gv 4,8). Verità e amore sono identici. Questa affermazione - se ne si coglie tutto quanto esso rivendica - è la più alta garanzia della tolleranza; di un rapporto con la verità, la cui unica arma è essa stessa e quindi l’amore[15].

Così la verità va a coincidere con l’amore.

La Chiesa cattolica, in tal modo, costituisce l’alternativa al sistema, ad ogni sistema che si succede nella storia; anzi la Chiesa resiste ad ogni sistema ed infligge ad esso il compito di perseguitarla. Alla Chiesa oggi è chiesto di riscoprire il senso e il valore della libertas che porta in sé e che propone a tutti gli uomini.

Come diceva Hans Urs von Balthasar nel suo “Chi è il cristiano?”, si tratta “ora come sempre del coraggio cristiano che rischia”.

E’ questa la dimensione etica e sociale della communio, perché “Il cristianesimo non è una religione di “spirito ed acqua”, ma di “spirito, acqua e sangue” che inseparabilmente uniti, rendono assieme testimonianza (1Gv 5,6-8). Dove il cristianesimo è soltanto interiore e spirituale, non può vivere a lungo”[16].

La Chiesa, come Cristo, è inerme e come tale resta esposta al mondo, per la libertà di tutti, anche del figliol prodigo o del dissipatore nietzscheano. A costo del martirio.

Ogni giorno, al centro della Chiesa universale, quale principio necessario e insostituibile della sua unità e quale risposta personale al Signore, il primato del vescovo di Roma sta ad attestarlo.


© Copyright (Agenzia Fides 5/1/2007)

Note

[1] Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 2034, Città del Vaticano 1992.
[2] Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium , n. 25; cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 892.
[3] Cfr. Ivi., n. 891.
[4] Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, n. 23.
[5] Cfr. Christus Dominus, n. 2.
[6] Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 1369.
[7] Ivi.
[8] Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucaristia, n. 35.
[9] Dante Alighieri, Paradiso, V, v. 77.
[10] Gregorio Magno, Commento sul libro di Giobbe, 3, 39; PL 75, 619.
[11] Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa per l’insediamento nell’arcibasilica lateranense, 7 maggio 2005.
[12] Cfr. Mt 16,18.
[13] L’Osservatore Romano, 1 Dicembre 2006, p. 6.
[14] Cfr. J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Siena 2003, p. 192.
[15] Ivi, p. 244.
[16] H.U. von Balthasar, Cordula ovverosia il caso serio, Brescia 1968, p. 56.

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