Unione Europea, un Preambolo totalitario
Giuseppe Savagnone

Dal n.26 di "Toscana Oggi", 6 luglio 2003


Ciò che più colpisce, nel silenzio sulle radici cristiane dell'Europa da parte del "Preambolo" della Costituzione europea, sono le ragioni portate per giustificarlo. La più frequentemente ripetuta è che anche islamismo ed ebraismo hanno avuto un ruolo importante nella storia dell'Europa. Ora, è verissimo che alcune regioni del nostro continente sono state per secoli sotto la dominazione islamica.

Ma essa è stata in larga misura vissuta come un'occupazione, contro cui, appena possibile, i popoli sottomessi si sono ribellati. L'identità nazionale della Spagna ha mantenuto per secoli una fortissima impronta religiosa a seguito della "reconquista" attuata contro i mori. E la storia delle popolazioni balcaniche è stata segnata, per tutto l'Ottocento, dalla lotta per recuperare la loro identità nazionale e cristiana liberandosi dai turchi.

Se poi si pensa all'influenza della cultura araba - per esempio nella trasmissione delle opere di Aristotele - essa è fuor di dubbio, ma furono dei maestri domenicani, come S. Alberto Magno e S. Tommaso d'Aquino, ad accogliere, meditare e rielaborare il pensiero dei filosofi greci e le stesse dottrine dei loro commentatori islamici. Qualcosa del genere vale per l'ebraismo, che ha segnato in modo decisivo la storia dell'Occidente, ma attraverso la mediazione del cristianesimo. La tradizione dell'Antico Testamento è giunta a noi solo nella rilettura che ne viene fatto dal Nuovo.

Si è tentato di far passare come fonte autonoma della civiltà europea quella della Grecia classica, per sostituirla a quella cristiana (la citazione di Tucidide a proposito della democrazia) o per dimostrare, alla fine, che, davanti a una tale varietà di radici culturali, è preferibile non menzionarne nessuna. Ma anche questa è un'evidente semplificazione, che falsa i fatti. Furono i monaci benedettini a salvare, ricopiare, interpretare i classici, e furono le Università medievali a rileggere non solo Aristotele, ma tutto il pensiero antico.
Qualcuno ha posto il problema della sincerità dell'adesione al cristianesimo da parte delle masse. Qui, però, non è in questione l'autenticità della fede delle persone, bensì l'influsso culturale di questa fede. E chi invoca la secolarizzazione dimentica che perfino essa si può realizzare solo nell'orizzonte della visione cristiana, che riconosce la consistenza e la relativa autonomia delle realtà terrene.

Ciò che impressiona è che gli intellettuali non siano insorti contro queste e altre simili argomentazioni, non in nome dell'appartenenza ad una Chiesa, ma della pura e semplice verità storica. Nel suo romanzo "1984" Orwell indica come una delle caratteristiche più tipiche dei totalitarismi la volontà di riscrivere il passato per modellarlo sul presente. Se questo è vero, ciò a cui abbiamo assistito dovrebbe inquietare tutti, credenti e non credenti.

Si potrà obiettare che in fondo, alla fine, nel "Preambolo" si è preferito tacere, oltre che del cristianesimo, di qualunque altra matrice spirituale e culturale. Ma proprio questo è il totalitarismo culturale di cui oggi siamo vittime: quello di un pluralismo che si spinge così oltre da cancellare ogni tradizione e, di conseguenza, ogni identità. Pessima base per un dialogo con una civiltà, come l'Islam, che rischia di cancellarci per il semplice motivo che noi non siamo più niente.
 

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