La Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani 
     di Paolo Ricca, teologo valdese

 

 

La Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani è un appuntamento annuale benvenuto, che speriamo venga colto e vissuto anche nel nostro paese (lo è in tutto il mondo cristiano) dal maggior numero possibile di chiese, gruppi, comunità, singoli credenti. 

Speriamo che vi siano tanti incontri, cioè che si preghi insieme. Ma speriamo che anche là dove non ci sono incontri, ci siano ugualmente le preghiere. Si può pregare anche da soli, "nella propria cameretta" (Matteo 6,6). La Settimana è un appuntamento. Con che cosa? Con la preghiera per l'unità, che speriamo viva, intensa, convinta, non rituale, formale, scettica

A guardar bene, anche questa preghiera è un appuntamento. Con che cosa? Con la promessa dell'unità fatta da Dio, alla quale anche Gesù si è appellato: "che siano tutti uno". Una promessa impossibile, se non la facesse Dio. Solo Dio è uno, cioè non diviso. Il resto è divisione, in tutti i campi e in tanti modi, anche all'interno delle istituzioni nelle quali ufficialmente siamo uniti. 

Ci sono, certo, unità parziali (religiose, politiche, tribali, nazionali, sportive, ecc.), ma non c'è mai l'unità di tutti. Quando siamo uniti, manca sempre qualcuno. Quasi non c'è unità che non significhi anche, per altri, divisione. Immersi come siamo in tante divisioni (senza che - sovente - neppure ce ne accorgiamo), ci aggrappiamo alla promessa impossibile dell'unità che Dio rende possibile. La preghiera per l'unità è questo aggrapparsi alla promessa dell'unità, cioè a Dio stesso, perché l' unità è essere uniti a Lui. Pregare per l'unità significa pregare che Dio sia la nostra unità, e così, perché uniti a Lui, "siamo tutti uno". 

Che dire, ora, dell'unità fra i cristiani? A che punto siamo dopo un secolo di ecumenismo? Tanti progressi sono avvenuti, le chiese hanno persino sottoscritto una "Carta Ecumenica" comune, eppure per certi aspetti siamo ancora al punto in cui si era cent'anni fa. Il movimento avanza nelle coscienze ma non smuove le istituzioni. 

Il popolo ecumenico è una realtà trasversale attraverso le chiese e le confessioni, che però continuano imperterrite a non riconoscersi a vicenda come chiese di Cristo, a non praticare l'ospitalità reciproca alla mensa del Signore, a fare da sole tante cose che potrebbero essere fatte insieme, a non vivere bene, cioè in una sana dialettica fraterna, i loro conflitti, che non mancano. Il tema della Settimana di quest'anno illumina bene questa situazione. Il tema è: "Un tesoro in vasi di terra" (2 Corinzi, 4,7). Il tesoro, ovviamente, è l' Evangelo, i vasi di terra siamo noi, la chiesa, le chiese, lo stesso apostolo Paolo. 

Anche il movimento ecumenico è un vaso di terra, oscuro e fragile. Non è glorioso né potente. Ma racchiude un tesoro. Il tesoro non è il movimento, è la speranza che lo anima, la forza che lo muove, la promessa alla quale si richiama e che suscita la sua preghiera. Ma questa promessa - impossibile eppure possibile - è veramente creduta, presa sul serio come promessa di Dio, capace quindi di mobilitare le chiese e le persone o invece è una promessa che onoriamo sì con le labbra ma il nostro cuore è lontano da lei? "Se credi hai, se non credi non hai" diceva Lutero. Se non c'è fede, non c'è nulla, cioè c'è solo apparenza. Se non c'è fede, il rito - anche quello della Settimana di preghiera - è disperatamente vuoto. Se non c'è fede, non succede nulla. Se c'è fede, fede nella promessa, tutto è possibile.  


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