L'emblematica vicenda della scuola di Via Quaranta
Giorgio Paolucci, su Avvenire 20 settembre 2005

Impedire i ghetti con la forza della persuasione


«Vogliamo una scuola fatta solo per noi». Le parole di una mamma di via Quaranta, la scuola islamica milanese da tempo al centro di polemiche, rivelano uno stato d'animo diffuso tra i frequentatori di quello che è diventato un luogo-simbolo dell'ideologia della «separatezza». La donna le ha pronunciate durante l'assemblea che ha messo di fronte da una parte i responsabili della Direzione scolastica regionale, dall'altra le famiglie islamiche che mandano i figli all'istituto di via Quaranta. 

Alla fine di quell'incontro sono purtroppo cadute nel vuoto le «offerte» fatte ai genitori musulmani: inserimento dei ragazzi nelle scuole statali con la garanzia di corsi di lingua e cultura araba, o in alternativa la formula dell'istruzione paterna, che prevede la presa in carico della formazione scolastica da parte della famiglia, con verifica finale del ministero. 

È prevalsa la linea dei duri e puri, che vorrebbero continuare sulla strada del ghetto: chiedono che il Comune di Milano metta a disposizione un edificio in sostituzione di quello di via Quaranta, dichiarato inagibile. Una scuola fatta solo per loro, e per i loro figli. Senza rischi di contaminazione con tutto ciò che ritengono haram, impuro, estraneo all'islam.

Vogliono che la loro scuola diventi paritaria, senza che vi siano le carte in regola per chiedere il riconoscimento della parità. Le stesse carte che vengono (giustamente) richieste a tutti coloro che si candidano a entrare a far parte del sistema scolastico nazionale: laici, cattolici, ebrei o musulmani che siano.

Anche i numeri hanno la loro importanza in questa quérelle. Le 200 famiglie di via Quaranta dimenticano, o fingono di dimenticare, che 6000 studenti arabofoni, quasi tutti musulmani, stanno già frequentando le scuole di Milano (statali e non statali), e che in tutta la Lombardia sono 19mila, quattromila in più dell'anno scorso. Gente che affronta i problemi linguistici e culturali che questa scelta porta con sé, senza pretendere un trattamento speciale in nome della sua diversità etnica o religiosa. Accetta, cioè, le regole dello stato di diritto secondo il quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Forse è un'implicita, sana lezione di laicità, quella che migliaia di famiglie di tradizione islamica stanno silenziosamente impartendo agli irriducibili di via Quaranta, chiusi nel loro fortino ideologico e timorosi di spingersi nel mare aperto del confronto con le culture «altre».

La difesa dell'identità, che sta loro molto a cuore, non significa guardarsi allo specchio, ma rischiare il confronto con chi ci vive accanto a partire da quanto abbiamo di più caro. Solo accettando di rapportarsi con l'ambiente circostante si possono generare personalità mature: questo è il sale di ogni processo educativo. Non può esserci un «io» senza un «tu» con cui misurarsi.

C'è da augurarsi che, sottraendosi alla logica di chi vuole strumentalizzarli per fini ideologico-politici, la stragrande maggioranza dei genitori di via Quaranta accetti infine di mandare i figli nelle scuole statali come è stato loro proposto. Se non lo faranno, si metteranno fuori dalla legge commettendo il reato di evasione dell'obbligo scolastico. Ma soprattutto priveranno tanti bambini del piacere di crescere, studiare e giocare insieme ai loro coetanei italiani. Difficile diventare grandi restando chiusi in un ghetto.

 

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