E ORA ADDIO AL "SECOLO DELLA VIOLENZA"


John Arnold, decano anglicano     | torna all'indice |

Stiamo dicendo addio al 20.mo secolo, definito "secolo della violenza" dai redattori dell'opera Cambridge Modern Histor'. Era un secolo fuori dall'ordinario, seguìto ad un secolo di progresso che, nella sua etica e nel suo ottimismo, ci sembra più lontano del I secolo d.C., durante il quale fu scritta l'Epistola agli Ebrei, e del VI secolo a.C. quando i profeti lanciavano le loro profezie. Infatti, nel 19.mo secolo, malgrado tutti gli errori commessi e le sciagure subite, la gente credeva veramente nel progresso. Anche i poveri e gli oppressi, senza contare i ricchi e i benestanti, tutti credevano fermamente che tutto sarebbe andato meglio secondo un processo naturale, poiché il passato aveva prodotto automaticamente un presente migliore, che a sua volta avrebbe generato un avvenire ancora più bello.

Questo ottimismo non si nutriva unicamente di capitalismo animato da spirito d'impresa e d'imperialismo; i movimenti opposti del socialismo e del comunismo erano animati dalla stessa dinamica, partendo da un passato ombroso, passavano per un presente più luminoso, per sfociare in un futuro glorioso, dove il dolore e la sofferenza, la morte, la disperazione e la perdita sarebbero state spazzate via, trascinate dal torrente del progresso.

Quando le nazioni europee si apprestavano a conquistare il mondo intero, e le loro Chiese erano pronte ad evangelizzare il mondo di questa generazione, queste stesse nazioni si sono rivoltate contro se stesse, con il risultato di una seconda guerra dei 30 anni (dal 1914 al 1945) durante la quale si sono dilaniate, trascinando il resto del mondo in questo conflitto e nei suoi sconvolgimenti. Si stima che nel corso del 20.mo secolo, non sono meno di 150 milioni gli esseri umani - altrettanti figli di Dio - che sono stati uccisi avendo fatto ricorso alla violenza. Oggi, più nessuno crede veramente nel progresso, almeno non come prima.

Certamente, personalità pubbliche ne parlano con quello che il poeta russo Evtushenko definisce "l'ottimismo di colui che ha le guance ben paffute e che gonfia i suoi bicipiti"; e tuttavia sono i poeti, i pittori, gli artisti di tutti i generi, i profeti ed anche i preti che, nell'ambito del loro lavoro, i più suscettibili a farsi eco della casa d'Israele nella valle, quando essi dissero a Ezechiele "Le nostre ossa sono disseccate, la nostra speranza è scomparsa, siamo a pezzi" (Ez 37-11). Che ne è dei nostri 150 milioni di mucchi d'ossa bruciati e imbiancati? Non possono essere rivendicati dalla marcia in avanti del progresso, perché la storia non può essere corretta e i mortali non possono far resuscitare i morti.

Nessun avvenire umano potrà consolarci del passato, come farebbe una madre abbracciando una bambino ferito. E pertanto dovrà esserci una speranza per il passato, dovrà esserci un avvenire per l'insieme dell'umanità dopo l'alba della storia, se il presente deve avere un senso al di là del livello della soddisfazione dei sensi. Per essere pienamente viventi, dobbiamo essere in grado di dare un senso agli orrori che abbiamo attraversato, al passato con le sue rovine e i suoi corpi spezzati. Non osiamo respingerlo per la paura di ripeterlo, così dobbiamo affrontarlo con fede in qualcosa di più forte di lui, con una convinzione ancorata più solidamente della vana credenza nel progresso.

Le Sacre Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento sono la fonte di questa fede, con un ribaltamento totale della prospettiva. Dicono che il passato non può essere vinto dal passato; al contrario non può essere vinto che dal futuro, sia che si tratti di un vento che soffia sulla valle e insuffla una nuova vita ai morti, o che lo si faccia per la fede nella Resurrezione di Gesù Cristo, come dice l'Epistola agli Ebrei, attraverso la via vivente che come precursore ci ha aperto, penetrando al di là del velo (ossia al di là della sua carne).

Questa frase ravviva la speranza. Significa che la discesa nell'incarnazione è stata compiuta al livello più basso della vita e della morte umana, nella sofferenza e nell'umiliazione della croce, e nell'opera redentrice di Cristo nel più profondo dell'inferno, nel passato come nel presente, nel tempo ma anche nell'eternità, nell'ascensione della vita resuscitata. Questo significa che nessuno, nessun avvenimento, nessuna tragedia, nessuna catastrofe, nulla è più forte di quello che l'autore chiama "le forze del mondo a venire" (Eb 6-5), che nessun orrore superi il raggio d'azione della fede, della speranza e dell'amore.

E per fare in modo che questo non resti un semplice ideale, se siamo incoraggiati ad avvicinarci a Dio in piena confidenza e nella fede, a restare fedeli alla confessione della nostra speranza e a suscitare l'amore verso l'altro, il nostro compito è facile, anche se è difficile essere solidali e ricercare l'incontro. Non si tratta di un dovere prescritto dalla Chiesa - anche se è così - ma di un reale impegno a restare risolutamente al fianco dei nostri fratelli cristiani nei momenti difficili.

Come proclamiamo nella Charta oecumenica ,"Gesù Cristo, il Signore della Chiesa una, è la nostra più grande speranza di riconciliazione e di pace. Nel suo nome vogliamo continuare la nostra rotta comune in Europa. Preghiamo perché Dio ci guidi con la potenza dello Spirito Santo".



 :: Testo della Charta
 
:: Comunicato Ufficiale
 
:: L'evento Strasburgo
 :: Cosa ne sta conseguendo
 :: Echi di stampa
 :: Voci di protagonisti 
 :: Testimonianza dei Focolari
 :: Cattolici e Strasburgo
 :: Evangelici e Strasburgo
 :: Un libro: Le vie dell'unità
 :: Strasburgo... e poi?
 
:: Kirchentag Berlino 2003
    . Riflessione e commento
 :: Ottmaring, 7/10.9.2002
    . Lettera da Ottmaring
 :: Telese (Bn), 9.5.2002
 :: Cosa ne pensate?

 

| indietro | | inizio pagina |