1. IS 7: STORIA E MESSAGGIO

1.1. I presupposti storici
1.2. I problemi letterari del testo
1.3. Il racconto dell'incontro di Isaia con Acaz
1.4. La parola di Isaia al re
1.5. L'offerta del segno
1.6. La fase scritta


 La comprensione della pericope di Is 7,1-17 è connessa in modo determinante con gli avvenimenti che essa presuppone. Per questo è necessario richiamare brevemente tali eventi storici prima di addentrarsi nelle questioni relative ai problemi letterari e all'intepretazione della pericope stessa.

 

1.1. I presupposti storici             

I fatti narrati in Is 7,1-17 si riferiscono a un momento preciso della storia di Giuda che, per essere adeguatamente compreso, richiede di essere inquadrato nel contesto internazionale di quel periodo. Dopo essere riuscito, negli anni 737- 735, a riportare sicurezza nei propri confini orientali e settentrionali - rendendo inoffensivi sia i Medi a est che l'Urartu a nord - il re assiro Tiglat Pileser III diede inizio, nel 734, al suo programma di espansione verso occidente, sottomettendo la Filistea in una fulminea campagna militare che lo portò fino al "torrente d'Egitto". In questo modo il re assiro non solo divenne padrone della principale via di comunicazione con il paese dei faraoni, ma si trovò nella felice condizione di poter prevenire il formarsi di pericolose alleanze tra gli stati aramei e l'Egitto. Infine, con la sottomissione della Filistea, Tiglat Pileser III privò tanto il regno arameo di Damasco quanto il regno di Israele del sostegno di un alleato importante. A questa situazione Damasco reagì cercando, nel 733, di stringere alleanza con una serie di piccoli stati allo scopo di assicurarsi una piena autonomia dall' Assiria. Tra coloro che aderirono a questo progetto figura di nuovo il regno di Israele, mentre il re Acaz di Giuda, spinto a quanto sembra da considerazioni di natura politica, rifiuta di parteciparvi. Ritenendo indispensabile il coinvolgimento del regno di Giuda nella nuova lega, Rezin, re di Aram, e Pekach, re di Israele, congiunsero le loro forze per marciare contro Gerusalemme, per deporre il renitente Acaz e insediarvi al suo posto "il figlio di Tabeèl" (v. 6), uno sconosciuto personaggio favorevole al progetto della coalizione. Proprio questa spedizione, comunemente conosciuta col nome di "guerra siro-efraimitica", costituisce lo sfondo del cap. 7, una delle pagine più ricche e al tempo stesso più complesse nella storia dell'esegesi [2].

 

1.2. I problemi letterari del testo              torna all'indice

Ammessa la storicità dell'incontro di Isaia con il re Acaz, che a partire dal Budde [3] ha ricevuto crescente accoglienza tra gli studiosi, occorre accennare, almeno sinteticamente, a tre problemi la cui conoscenza si rivela indispensabile per un'adeguata comprensione di Is 7,1-17 e, conseguentemente, per la nostra analisi.

Innanzitutto, se si considera il grado di autenticità dei testo, dobbiamo rilevare che il contenuto del Memoriale [4], racchiuso nella nostra pericope, ha subito una profonda rielaborazione in prospettiva deuteronomistica, tanto che non è più possibile separare in modo netto la forma originaria dalla sua rielaborazione [5]. Solo alcune indicazioni e alcune affermazioni del profeta, come risulterà dall'esegesi, trovano la loro adeguata spiegazione in riferimento diretto a Isaia.

 Un secondo problema riguarda l'unità letteraria dei vv. 1-17. In base alle posizioni assunte al riguardo, gli autori possono essere riuniti in due gruppi. Alcuni di essi, infatti, ritengono che questi versetti si raggruppino in due unità originariamente indipendenti (vv. 1-9 e vv. 10-17); altri, invece, ritengono che essi formino una sola unità, dato che i vv. 1-9 costituiscono il presupposto indispensabile dei segno annunciato nei vv. 10-17. A nostro avviso, gli eventi narrati si sono verificati in circostanze diverse, come del resto è possibile arguire dalla locuzione "il Signore parlò ancora ad Acaz" del v. 10. L’invito ad avere fiducia in JHWH - proprio nell'ora in cui le forze nemiche si erano coalizzate per deporre il "discendente" di Davide - è stato rivolto da Isaia al re durante l'incontro che ebbe luogo "al termine del canale della piscina superiore" (v. 3). E' invece probabile che l'offerta del segno sia avvenuta poco tempo dopo, quando il profeta non poteva più avere dubbi sul carattere definitivo dei rifiuto del re ad ascoltare la "parola del Signore" [6]. Anche se cronologicarnente separati tra loro da un breve intervallo di tempo, i due fatti sono stati composti all'interno dei Memoriale in modo che la narrazione che ne risultò costituisse un'unità letteraria, nella quale il primo evento si configurava come la premessa del secondo [7].

 Un terzo problema, infine, riguarda il v. 14. Il fatto che nel N.T. si sia riferito questo versetto alla nascita di Gesù (cf Mt 1,22-23) ha costituito, in questi ultimi due secoli, l' occasione per lo sviluppo di una selva quasi inestricabile di interpretazioni. Molte di esse, però, - come oggi generalmente si riconosce - non hanno saputo situarsi nella prospettiva salvifica della Scrittura, alla luce della quale la tradizione protocristiana aveva sviluppato l'interpretazione cristologica del brano, ma si sono mosse in un orizzonte aprioristico o pietistico, precludendosi la possibilità di una comprensione scientifica del testo [8]. Solo la comprensione del testo, che poggia su basi scientifiche, e la conoscenza dell'influsso da esso esercitato all'interno della tradizione veterotestamentaria, consentiranno di afferrare la ricca prospettiva teologica dischiusa dalle pagine del Nuovo Testamento che si richiamano alla nostra pericope e, più in particolare, a Is 7,14.

 

1.3. Il racconto dell'incontro di Isaia con Acaz             torna all'indice

Sotto il profilo dell'organizzazione letteraria, la nostra pericope, come risulta dalle osservazioni sviluppate, si articola in due parti: la parola rivolta al re (vv. 1-9) e l'offerta del segno (vv. 10-17).

Esaminando brevemente la prima parte possiamo anzitutto rilevare che il v. 1, tratto con pochi ritocchi da 2Re 16,5, riflette la redazione deuteronomistica che ha l'intento di porre la parola di Isaia in rapporto con il contesto storico-narrativo del libro dei Re. L'espressione "ma non riuscirono ad espugnarla" (v. lb), con la quale si anticipa già la conclusione, offre al lettore fin dall'inizio una chiave di lettura. L'appello di Isaia alla fiducia non è avventato, ma si fonda sulla Parola del Signore. La notizia che l'esercito degli Aramei si è congiunto con quello di Israele (v. 2) costituisce il presupposto dinamico della narrazione e probabilmente proviene dal Memoriale. Con un elegante gioco di parole, tra nuah (accamparsi) e nua' (agitarsi), entra in scena, come protagonista tanto incontrollabile quanto reale, il panico, che si impadronisce della "casa di Davide" e del suo popolo: Il paragone dei rami del bosco, che si agitano sospinti dal vento, delinea con arte poetica il quadro movimentato di una nazione in sicura e in preda allo spavento per l'approssimarsi dell'invasione nemica. Dal libro dei Re veniamo a conoscere che Acaz decise di ricorrere all'aiuto di Tiglat Pileser III (cf 2Re 16,7). L'intervento di Isaia, narrato in questa pagina, si rivolge specificamente contro questo progetto, che avrebbe avuto, come effetto sinistro, un'ulteriore sottomissione di Giuda alI’Assiria [9].

L'indicazione del luogo dove il profeta deve incontrare il re, per comunicargli la parola del Signore (v. 3), è data con una precisione che scende in tutti i particolari. Per questo è molto probabile che essa provenga dal Memoriale. Il messaggio del v. 4, invece, riflette la prospettiva e il linguaggio dell 'opera deuteronomistica (cf D t 20, 1-4) . È infatti tipico di questa prospettiva che il popolo del Signore, raffigurato con l'immagine eloquente di un esercito pronto a combattere un nemico più forte, sia esortato a non teme- re, ma a rinnovare la propria sicurezza nella presenza liberatrice del Signore, Dio dell'esodo. Il motivo del Dio dell'esodo, che è con il suo popolo, costituisce dunque l' ottica speciale nella quale il Deuteronomista rilegge la pro- messa dell'Emmanuele del v. 14. La realizzazione della promessa di Isaia non solo è espressione della fedeltà di JHWH alla casa di Davide, ma, per la rielaborazione deuteronomistica, è anche segno della presenza salvifica del Signore che nella storia del suo popolo rinnova costantemente il dono, e quindi la possibilità dell'esodo [10].

Il v. 5, che in parte può provenire dal Memoriale, descrive il progetto degli Aramei, condiviso dallo stesso regno di Israele: deporre il discendente di Davide e mettere sul trono il "figlio di Tabeèl", un personaggio che il silenzio intenzionale di Isaia ha consegnato senza nome e senza storia ai suoi lettori.

 

1.4. La parola di Isaia al re                         torna all'indice

La parola, che Isaia comunica al re, risuona nei vv. 7-9 (ad eccezione del v. 8b). Essa assicura in modo solenne che "ciò non avverrà e non sarà" (v. 7b). Si tratta dell'affermazione centrale della prima parte del nostro testo. Il progetto di destituire la dinastia davidica è destinato al totale fallimento. Il profeta adduce anche il motivo della sua dichiarazione che dovrebbe far desistere il re Acaz dal ricorrere all'aiuto di Tiglat Pileser m. Il motivo può essere così parafrasato: le capitali dei due regni alleati (cf v. 8a e 9a) sono governate da re umani, mentre, come è sottinteso nel testo, il "capo" di Gerusalemme è unicamente il Signore. La richiesta di aiuto alI' Assiria, quindi, non solo non è necessaria, ma riflette una profonda mancanza di fiducia in colui che è per antonomasia il Re (cf Is 6,1.5).

Colui che siede come re nel tempio di Gerusalemme è il Signore che ha scelto Davide e rimane fedele alla sua promessa. Per il profeta, che si richiama alle tradizioni del suo stesso popolo, il progetto delle potenze umane di deporre "la casa di Davide" è antitetico alla promessa divina (cf la tradizione di 2Sam 7) e, proprio per questo, non potrà riuscire. Solo il disegno di Dio e la parola che lo manifesta si realizzano sempre nella storia umana (cf Is 14,24; 40,8; 46,10). Questo annuncio di salvezza, però, richiede che "la casa di Davide" e tutto il popolo lo accolgano con fiducia perseverante [11]. Se non si apre fiducioso alla parola del Signore, l'uomo perde ogni sicurezza e diventa schiavo della sua paura.

È questo uno dei temi caratteristici della predicazione isaiana, la cui profondità e forza appare nell'espressione del v. 9b: '’im lo' ta'amìnu ki lo' te 'amenu. Qui ricorre un'affermazione importante, destinata ad esercitare un grande influsso nello sviluppo teologico e spirituale della tradizione biblica. Effettivamente il testo ebraico presenta una sentenza densa ed efficace in quanto è essenzialmente costituita da due forme verbali della stessa radice 'mn (essere stabile, sicuro). Per rendere chiara la ricchezza racchiusa nella frase originale, il testo ebraico può essere reso nel seguente modo: "se non accettate la sicurezza (che viene dal Signore, che è il Signore stesso) non avrete nessuna sicurezza". La LXX, traducendo la forma "se non accettate la sicurezza" con la locuzione "se non credete", mette in evidenza che la fede, secondo la prospettiva propria della Scrittura, connota l'atteggiamento esistenziale dell'uomo che rinuncia all'affermazione della propria ostinata sicurezza (orgoglio ) per abbandonarsi con fiducia e confidenza nel Signore (cf Sal 131,2) e nella sua parola di salvezza. In questa visuale Isaia può giustamente essere chiamato il profeta della fede, come è il profeta che condanna la superbia che chiude l'uomo alla parola e al disegno di Dio [12].

 

1.5. L'offerta del segno         torna all'indice

 In questo ricco orizzonte teologico si situa l'offerta del segno e la parola esplicativa del profeta (vv. 10-17) [13]. Con la solenne affermazione che il Signore stesso comunica la sua parola per mezzo del profeta (v. 10) il testo registra l'ultimo tentativo di Isaia per indurre Acaz a desistere dal suo progetto. Il re è invitato (v. 11) a chiedere un segno in tutti gli ambiti della creazione ("dal profondo dell' abisso [se’ol] -"lassù in alto"). Il re, però, non retrocede dalla propria decisione, respingendo così la possibilità offerta dalla parola del Signore. Anzi, ostentando un animo conoscitore delle tradizioni religiose e, perciò, rispettoso di JHWH, Acaz adduce una motivazione religiosa per coprire la propria incredulità con una pseudogiustificazione.

In realtà, come risulta dalla immediata ed energica reazione di Isaia alla risposta del re, il segno proposto dal profeta non è un "tentare Dio". Non si tratta di chiedere un prodigio con I' atteggiamento proprio di una mentalità miracolistica (cf Es 17,2; D t 6,16; Sal 78,18.41.56; 106,14); si tratta invece di accogliere un evento mediante il quale il Signore conferma la sua parola, perché l'uomo la riceva e la realizzi nella propria esistenza. Per questo al rifiuto perentorio di Acaz segue un'aspra invettiva di Isaia (v. 13), nella quale si condanna "la casa di Davide", che ha stancato la pazienza degli uomini (cf 1 Sam 8, 11-17) e ora approfitta della stessa pazienza di Dio. La locuzione "mio Dio", mentre ci si attenderebbe "tuo Dio" (cf 2Sam 7 ,14 e Sal 2, 7), sottolinea che con la sua ostinazione Acaz ha ormai colmato la misura della propria infedeltà. Con la sua ribelle chiusura alla parola divina, annunciatagli dal profeta, il re è venuto meno alI' alleanza con JHWH. Proprio questo contesto è determinante ai fini della nostra ricerca, come viene confermato dal fatto che esso è esplicitamente richiamato dal termine "pertanto" (laken) del v. 14. In realtà solo se si tengono adeguatamente presenti gli elementi sopra delineati è possibile comprendere l'esatto significato del segno che Isaia annuncia ad Acaz. Il profeta parla di una donna che "concepirà e partorirà un figlio" (v. 14). Prima che questo figlio raggiunga l'età in cui si manifesta la capacità di azioni coscienti (cf "rigettare il male e scegliere il bene"), il paese dei due re, che stanno minacciando il regno di Giuda e hanno gettato Acaz nel panico, avrà già sperimentato l'invasione assira e la deportazione [14]. Allora la solenne affermazione del v. 7b ("ciò non avverrà e non sarà") apparirà chiaramente confermata e, nel contempo, la fedeltà del Signore alla promessa si manifesterà in tutta la sua dimensione salvifica. Tuttavia il re, con la sua incredulità, ha attirato su di se e sul popolo il giudizio. Il profeta lo annuncia senza eufemismi, prospettando, per l'immediato futuro, dei giorni "quali non vennero da quando Efraim si staccò da Giuda" (vv. 16-17). L'espressione, nella quale è ancora possibile percepire la coscienza di un'unità infranta con la divisione del regno, divisione che si era verificata alla morte di Salomone (931), allude alle calamità connesse con la guerra siro-efraimitica e, a quanto sembra, a quelle derivate dalla ribellione di Edom (cf 2Re 16,5-6).

L'insieme delle osservazioni che sono state qui richiamate permettono di ritenere che la "donna", di cui si parla al v. 14, è la moglie di Acaz. Ovviamente il re aveva conosciuto prima di Isaia la condizione della moglie che attendeva un figlio, forse il futuro erede al trono. Questa affermazione, comune alla quasi totalità degli esegeti, implica a nostro avviso una grande conseguenza. Effettivamente, se seguiamo l'orientamento della narrazione stessa e ci situiamo al momento dell'incontro tra il profeta e il re, il segno non si configura come la predizione della nascita del figlio in condizioni straordinarie, ma piuttosto come l'annuncio dell'imminente sventura che sta per abbattersi sul regno di Giuda. Si tratta dunque di un segno nel quale si esprime un annuncio di giudizio. Proprio questo carattere spiega l' aspra invettiva che il profeta dirige al re Acaz e l'annuncio di un tempo di incalcolabili sofferenze e prove.

Occorre, però, sottolineare che l'annuncio del giudizio non mette in discussione l'affermazione divina del v. 7: "Ciò non avverrà e non sarà". Nonostante i giorni difficili che stanno per abbattersi su Gerusalemme, la dinastia davidica non sarà deposta. Il perdurare della "casa di Davide" apparirà allora come conseguenza della fedeltà del Signore alla sua promessa. In altri termini, l'offerta del segno non si esaurisce nell'annuncio del giudizio, ma, insieme alla minaccia del castigo, essa contiene un messaggio positivo: proclama la fedeltà del Signore alla casa di Davide, secondo la parola di Natan, fedeltà che rimane operante nella storia, nonostante le infedeltà del re e dello stesso popolo dell'alleanza.

 

1.6. La fase scritta           torna all'indice

Proprio il messaggio positivo, che era presente nella parola e nel segno che Isaia aveva comunicato al re Acaz, riceve particolare enfasi quando dalla fase orale si passa alla prima fase scritta connessa con la redazione del Memoriale isaiano. Quando Isaia attende alla redazione del Memoriale la parola che egli aveva annunciato si era realizzata. Nonostante il momento storico estremamente difficile e problematico, il progetto degli alleati non si è realizzato e la dinastia di Davide regna sul trono di Gerusalemme.

Il profeta Isaia, narrando le vicende legate al suo incontro con Acaz e all'offerta del segno, può richiamare l'attenzione dei suoi discepoli e uditori sulla realizzazione della parola divina da lui annunciata. Il compimento della parola divina costituisce agli occhi del profeta una mirabile conferma della fedeltà di JHWH e, quindi, della sua opera salvifica. Se nella fase orale l'accento cadeva sugli anni della prima infanzia del bambino, in quanto indicavano il tempo della sventura che sarebbe sopraggiunta, ora l'accento si sposta sul figlio stesso che, in quanto espressione vivente della continuità dinastica, è segno tangibile della salvezza che il Signore compie nella storia del suo popolo. Per questo tutto orienta a ritenere che proprio in questa fase il profeta ha dato al figlio il nome simbolico di "Emmanuele". Il significato di questo nome può esprimersi con la seguente traduzione: "Dio è stato/è/sarà con noi". Esso mostra che per il popolo del Signore il tempo, nella sua triplice dimensione di passato, presente e futuro, è raggiunto dalla presenza dinamica di JHWH. Effettivamente il nome "Emmanuele" è costituito da una frase nominale che, nella sua struttura, richiama la tradizione della guerra sacra, nella quale l'espressione "il Signore è con voi" connotava la presenza del Dio dell'esodo che interveniva nella battaglia in favore del suo popolo per liberarlo dai suoi nemici (cf Dt 20,1-4). Il nome simbolico "Emmanuele" testimonia che Isaia, nella fase scritta del Memoriale, si è richiamato esplicitamente a questa tradizione per illuminare le vicende connesse alla guerra siro-efraimitica con la prospettiva teologica della fede. Il fallimento del progetto di deporre il discendente di Acaz non è dovuto in primo luogo a eventi umani, ma unicamente alla presenza dinamica del Signore che rende la storia del suo popolo il tempo del compimento della promessa di salvezza.

In questo modo la promessa, che il piano di deporre la casa di Davide è destinato a fallire, prende il sopravvento sull'annuncio del giudizio. li testo del Memoriale concentra ormai l'attenzione del lettore sull'Emmanuele, in altri termini sul perdurare della dinastia davidica, quale segno della presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo. La fase scritta costituisce dunque l'inizio di quel cammino che porta la promessa di Is 7 a diventare il catalizzatore della speranza della Scrittura.

Alcune aggiunte, presenti nella nostra stessa unità, sono un segno eloquente dell'influsso che la parola di Isaia e la sua inserzione nel Memoriale hanno esercitato nella storia della tradizione. I 65 anni, di cui parla il v. 8b, si riferiscono approssimativamente al 670, periodo in cui il re assiro Assaraddon inviò popolazioni straniere nel territorio di Samaria (cf Esd 4,2). La fine di Efraim, secondo questa profonda interpretazione deuteronomistica dei tempo di Giosia, coincide non con la caduta della città di Samaria, ma con il sopraggiungere di popolazioni straniere che corrompono la fede e il culto nell'unico Signore. Anche il v. 15, che per il suo carattere apertamente salvifico stona nel contesto del giudizio, riflette la reinterpretazione di un redattore che si aggancia al nome simbolico di Emmanuele. Il davidide promesso, come insinua il motivo del cibo straordinario del bambino, sarà per il popolo segno della potenza e della salvezza dei Signore.

In sintesi, possiamo affermare che l'interpretazione qui presentata spiega le innegabili tensioni che si riscontrano nel testo, coglie il messaggio di Isaia nella sua contestualizzazione storica e nella profondità teologica che gli è propria, e, infine, permette di comprendere il segno offerto dal profeta nel suo significato originario di annuncio di giudizio e nella virtualità positiva di annuncio della fedeltà salvifica del Signore. Così il testo si presenta a noi nella sua fondamentale apertura al futuro della salvezza, che poggia sul Signore e sulla sua promessa. Proprio questa virtualità salvifica, ancorata ai valori centrali della tradizione di Israele (la regalità del Signore, la promessa di Natan relativa alla "casa di Davide", la presenza divina in Gerusalemme), costituisce la premessa dell'influsso che questa parola ha esercitato, influsso che si rende palese nelle successive reinterpretazioni che hanno sottolineato la visuale salvifica di Is 7 fino a culminare in una prospettiva esplicitamente messianica ed apocalittica.

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