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III. Le relazioni tra ebrei e cristiani

La storia delle relazioni tra ebrei e cristiani è una storia tormentata. Lo ha riconosciuto il Santo Padre Giovanni Paolo II nei suoi ripetuti appelli ai cattolici a considerare il nostro atteggiamento nei confronti delle nostre relazioni con il popolo ebraico (6). In effetti il bilancio di queste relazioni durante i due millenni è stato piuttosto negativo (7).

Agli albori del cristianesimo, dopo la crocifissione di Gesù, sorsero contrasti tra la Chiesa primitiva ed i capi dei giudei ed il popolo ebraico i quali, per ossequio alla Legge, a volte si opposero violentemente ai predicatori del Vangelo e ai primi cristiani. Nell'impero romano, che era pagano, gli ebrei erano legalmente protetti dai privilegi garantiti loro dall'Imperatore e le autorità in un primo tempo non fecero distinzione tra le comunità giudee e cristiane. Ben presto, tuttavia, i cristiani incorsero nella persecuzione dello Stato. Quando, in seguito, gli imperatori stessi si convertirono al cristianesimo, dapprima continuarono a garantire i privilegi degli ebrei. Ma gruppi esagitati di cristiani che assalivano i templi pagani, fecero in alcuni casi lo stesso nei confronti delle sinagoghe, non senza subire l'influsso di certe erronee interpretazioni del Nuovo Testamento concernenti il popolo ebraico nel suo insieme. "Nel mondo cristiano - non dico da parte della Chiesa in quanto tale - interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebreo e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei confronti di questo popolo" (8). Tali interpretazioni del Nuovo Testamento sono state totalmente e definitivamente rigettate dal Concilio Vaticano II (9).

Nonostante la predicazione cristiana dell'amore verso tutti, compresi gli stessi nemici, la mentalità prevalente lungo i secoli ha penalizzato le minoranze e quanti erano in qualche modo "differenti". Sentimenti di antigiudaismo in alcuni ambienti cristiani e la divergenza che esisteva tra la Chiesa ed il popolo ebraico, condussero a una discriminazione generalizzata, che sfociava a volte in espulsioni o in tentativi di conversioni forzate. In una larga parte del mondo "cristiano", fino alla fine del XVIII secolo, quanti non erano cristiani non sempre godettero di uno status giuridico pienamente garantito. Nonostante ciò, gli ebrei diffusi in tutto il mondo cristiano rimasero fedeli alle loro tradizioni religiose ed ai costumi loro propri. Furono per questo considerati con un certo sospetto e diffidenza. In tempi di crisi come carestie, guerre e pestilenze o di tensioni sociali, la minoranza ebraica fu più volte presa come capro espiatorio, divenendo così vittima di violenze, saccheggi e persino di massacri.

Tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo, gli ebrei avevano generalmente raggiunto una posizione di uguaglianza nei confronti degli altri cittadini nella maggioranza degli Stati, e un certo numero di loro giunse a ricoprire ruoli influenti nella società. Ma in questo stesso contesto storico, in particolare nel XIX secolo, prese piede un nazionalismo esasperato e falso. In un clima di rapido cambiamento sociale, gli ebrei furono spesso accusati di esercitare un'influenza sproporzionata rispetto al loro numero. Allora cominciò a diffondersi in vario grado, attraverso la maggior parte d'Europa, un antigiudaismo che era essenzialmente più sociopolitico che religioso.

Nello stesso periodo, cominciarono ad apparire delle teorie che negavano l'unità della razza umana, affermando una originaria differenza delle razze. Nel XX secolo, il nazionalsocialismo in Germania usò tali idee come base pseudo-scientifica per una distinzione tra le così dette razze nordico-ariane e presunte razze inferiori. Inoltre, una forma estremistica di nazionalismo fu stimolata in Germania dalla sconfitta del 1918 e dalle condizioni umilianti imposte dai vincitori, con la conseguenza che molti videro nel nazionalsocialismo una soluzione ai problemi del Paese e perciò cooperarono politicamente con questo movimento.

La Chiesa in Germania rispose condannando il razzismo. Tale condanna apparve per la prima volta nella predicazione di alcuni tra il clero, nell'insegnamento pubblico dei Vescovi cattolici e negli scritti di giornalisti cattolici. Già nel febbraio e marzo 1931, il Cardinale Bertram di Breslavia, il Cardinale Faulhaber ed i Vescovi della Baviera, i Vescovi della Provincia di Colonia e quelli della provincia di Friburgo pubblicarono lettere pastorali che condannavano il nazionalsocialismo, con la sua idolatria della razza e dello Stato (10). L'anno stesso in cui il nazionalsocialismo giunse al potere, il 1933, i ben noti sermoni d'Avvento del Cardinale Faulhaber, ai quali assistettero non soltanto cattolici, ma anche protestanti ed ebrei, ebbero espressioni di chiaro ripudio della propaganda nazista antisemitica (11). A seguito della Kristallnacht, Bernard Lichtenberg, prevosto della Cattedrale di Berlino, elevò pubbliche preghiere per gli ebrei. Egli morì poi a Dachau ed è stato dichiarato Beato.

Anche il Papa Pio XI condannò il razzismo nazista in modo solenne nell'Enciclica Mit brennender Sorge (12), che fu letta nelle chiese di Germania nella Domenica di Passione del 1937, iniziativa che procurò attacchi e sanzioni contro membri del clero. Il 6 settembre 1938, rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini belgi, Pio XI asserì: "L'antisemitismo è inaccettabile. Spiritualmente siamo tutti semiti" (13). Pio XII, fin dalla sua prima enciclica, Summi Pontificatus (14), del 20 ottobre 1939, mise in guardia contro le teorie che negavano l'unità della razza umana e contro la deificazione dello Stato, tutte cose che egli prevedeva avrebbero condotto ad una vera "ora delle tenebre" (15).

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