3. LA REINTERPRETAZIONE MESSIANICA (IS 11,1-5)

3.1. La promessa del nuovo Davide  
3.2. La reinterpretazione di Is 11,1-5
3.3. Testimonianze dell'attesa messianica  
3.4. Prospettive escatologiche e apocalittiche 
3.5. La testimonianza dei LXX


  La pericope di Is 11,1-4 è della massima importanza per la nostra ricerca dato che con essa, come dimostreremo, prende forma concreta l'attesa messianica in senso stretto" [18]. Circa l'origine di questa pericope si registrano fondamentalmente due tendenze. Alcuni esegeti ritengono il poema autentico o, in ogni caso, composto prima dell'esilio babilonese; altri sono invece dell'avviso che la pericope sia sorta nel periodo postesilico. Due considerazioni ci spingono a ritenere più probabile questa seconda posizione. Anzitutto Is 11,1-5 presenta numerosi punti di contatto con Prov 1,1-7. Si tratta dell'introduzione al libro dei Proverbi, la cui redazione finale è situata, dalla maggior parte dei commentatori, intorno al sec. V a.C. [19]. Inoltre Is 11,1-5 presuppone la promessa del nuovo Davide di Ez 34,23-25 e l'annuncio del Germoglio di Zc 6.

 
3.1. La promessa del nuovo Davide

La pagina di Ez 34 è fondamentale per il nostro argomento [20]. In essa il profeta sviluppa due temi tra loro strettamente connessi. Anzitutto si incontra una denuncia contro i pastori di Israele che non hanno adempiuto la loro missione secondo il disegno di Dio, ma si sono comportati con malvagità e ingiustizia (vv. 1-10). In netta antitesi ai cattivi pastori, il secondo tema presenta il Signore come il vero pastore che assicura la salvezza (vv. 11 -31), in quanto realizza l'esodo dei suo popolo (vv. 11-22) [21], suscita secondo la sua promessa (cf 2Sam 7) un "nuovo" Davide (vv. 23-24), infine garantisce al suo popolo un futuro nella benedizione (vv. 25-31).

Nel ricco contesto del Signore-pastore, che rinnova l'esodo salvifico e dischiude un futuro nella benedizione dell'alleanza, il profeta Ezechiele inserisce, quindi, la promessa di "Davide" quale pastore suscitato da JHWH per il suo popolo [22]. Alla pari della pericope di Ez 37, 24-28, il profeta non pensa a un ritorno di Davide, già morto da secoli, ma a un nuovo Davide, vale a dire a un discendente davidico che adempirà fedelmente ed esemplarmente la propria missione di pastore secondo il disegno di Dio. Certo il davidide promesso si inserisce nella linea della discendenza genealogica. Tuttavia, con questa figura ideale, che Dio susciterà nell'ora della salvezza, Ez 34,23-24 introduce all’ interno della tradizione davidica - imperniata sulla promessa di Natan (cf 2Sam 7) - la prospettiva di un nuovo Davide nel quale si attua e si manifesta la regalità salvifica del Signore per il suo popolo. Si tratta di un dato che racchiude in sé una forte energia di speranza e perciò è destinato ad esercitare un grande influsso nella successiva tradizione del popolo di JHWH.

Questo influsso appare già in Zaccaria, il cui ministero profetico risale agli anni 520-518 [23]. Zaccaria ritenne infatti che la promessa di Ezechiele si sarebbe adempiuta, in un tempo ravvicinato, con l'avvento al trono di Zorobabele. Particolarmente importante, a questo riguardo, è la pericope di Zc 6, 9-15, in cui il profeta delinea il volto nuovo della comunità che sarà guidata dal Germoglio e dal Sommo Sacerdote uniti tra loro in profonda armonia e concordia. Il termine "Germoglio" (semah) allude alla forte vitalità che acquisterà di nuovo la dinastia davidica. In modo speciale i vv. 12-13 sottolineano che l'uomo chiamato Germoglio "germoglierà da sé" (l'espressione allude forse al fatto che egli non eredita il trono dal padre, ma lo deve ristabilire), costruirà il tempio di JHWH (come aveva fatto Salomone) e riceverà la "gloria" (la funzione regale), giungendo a occupare come sovrano il trono.

Tuttavia le speranze poste su questo discendente collaterale della casa di Davide non furono coronate dal successo. Anzi, con Zorobabele, o con un altro personaggio a noi ignoto, la dinastia davidica in quanto tale cessò di esistere, svanendo così la possibilità concreta che un davidide salisse ancora sul trono di Gerusalemme. La promessa di Natan, insieme a quelle che in vario modo l'avevano ripresa e attualizzata (cf Is 7; Is 9,1-6; Ez 34; Zc 6), sembrava naufragare, smentita dalla storia. Di fatto, però, nonostante la fine della dinastia davidica, non venne meno l'attesa del nuovo Davide che, nella linea della promessa di Natan, era stata sviluppata da Ez. 34. Anzi questa attesa ricevette una profonda reinterpretazione che le permise di svilupparsi su un nuovo livello, nel quale il compimento della promessa di Natan è assicurato non dalla continuità genealogico-dinastica, ma unicamente dalla fedeltà dei Signore alla sua parola. Grazie a questa prospettiva ha inizio, nella tradizione di "Israele", l'attesa messianica in senso stretto.

 

3.2. La reinterpretazione di Is 11,1-5  

La prima testimonianza di questa grande reinterpretazione, con la quale ha inizio l'attesa messianica è costituita, a nostro avviso, proprio dal poema di Is 11,1-51. Il fatto che il testo sia stato inserito nel Memoriale di Isaia mostra che nella formazione dell'attesa messianica, accanto alla promessa di Natan e all'annuncio del nuovo Davide in Ez 34, hanno esercitato un influsso determinante la promessa isaiana dell'Emmanuele (Is 7,1-17), a sua volta arricchita dalla reinterpretazione protodeuteronomistica di Is 9,1-6.

Effettivamente dall'analisi di Is 11,1-5 si evince che la pericope sviluppa una profonda reinterpretazione di Ez 34 e Zc 6, che consente di situare la stessa promessa dell'Ernmanuele in una prospettiva nuova e vitale. L’immagine del "tronco di lesse" (v. 1) presuppone chiaramente la fine della dinastia davidica. Questo fatto, però, non significa che la promessa divina non possa più adempiersi nella storia. Dal tronco di lesse, infatti, "uscirà" un Germoglio, che il profeta connota anche come Virgulto. Il vocabolo ebraico solita- mente tradotto con "Germoglio" si potrebbe forse rendere meglio con "Rampollo" [25] , dato che esso è diverso dal vocabolo che si incontra in Zc 6,12. Probabilmente il profeta ha evitato il vocabolo usato da Zaccaria ed è ricorso ad un sinonimo, a sua volta rinforzato da un altro termine parallelo, perché risultasse chiaro che il Rampollo, di cui si parla, non è più assicurato dalla linea genealogica, ma unicamente dall'intervento del Signore. In realtà, l'immagine contenuta nell'espressione "germogliare dalle radici" (v. lb) orienta alle "radici" della casa di Davide che sono rappresentate non dalla potenza umana, ma dall'elezione del Signore e dalla sua promessa (cf 1Sam 16,1-13). Il fatto stesso che in questo annuncio si risale fino a lesse, padre di Davide, manifesta l'intenzione del poema di prospettare un nuovo inizio, rese unicamente possibile dalla fedeltà dei Signore alla sua parola.

Sul Rampollo che uscirà dal tronco di lesse "riposa" lo Spirito dei Signore (v. 2)[26]. In questa affermazione, con cui si richiama la potenza divina che il re riceve per adempiere la propria missione (cf 1 Sam 10,6. 10; 11,6; 16,13.14; 19,9; 20,23), il verbo "riposare" assicura che la presenza dei Signore nel Rampollo non si attuerà in modo discontinuo (come nel caso di Sansone), ma sarà permanente ed esprimerà in pienezza la propria funzione salvifica [27]. L’opera singolarmente efficace dello Spirito, che "riposa" sul Rampollo, è sottolineata da tre coppie di sostantivi che si presentano come caratterizzazioni dello Spirito stesso:

a) sapienza (conoscenza vitale e operativa) e intelligenza (attitudine al discernimento);

b) consiglio (abilità a sviluppare un progetto che dona sicurezza al popolo) e fortezza (capacità di attuare il proprio progetto);

  c) conoscenza (esperienza vitale di comunione e amore) e timore 
  del Signore (adesione al Signore in una vita di autentica fedeltà).

Da questi termini, con cui si delinea in modo efficace e solenne lo Spirito del Signore, risulta che la figura del Rampollo è ora contemplata nell'ottica sviluppata dalla tradizione sapienziale.

I vv. 3-5 descrivono l'esercizio del governo da parte del Rampollo. Lo Spirito, che comunica la sapienza, fa sì che il futuro re sia in grado di governare [28] con giustizia ed equità, diventando così il difensore dei poveri e degli "umili". Con questa affermazione l'amministrazione della giustizia e la difesa dei poveri, che a partire dal 2400 a.C. hanno sempre costituito l'obiettivo dell'ideologia regale dell'Antico Oriente, sono collegate direttamente al Signore e al dono del suo Spirito. Con la metafora "lo scettro della sua bocca", il v. 4b sottolinea la potenza della parola dei re che annuncia il suo giudizio. Grazie a questa parola, giusta ed efficace, il Rampollo libera il paese dai violenti e dai malfattori. La "giustizia” e la "fedeltà" si configurano come le caratteristiche dei regno promesso in quanto rappresentano i lineamenti caratteristici ed esistenziali dei nuovo Davide.

La figura del Rampollo, che la nostra pericope fonda sulla promessa divina e non più sulla discendenza genealogica, segna indubbiamente un momento fondamentale nella tradizione della promessa di Natan e, in particolare, nell'attesa del nuovo Davide sottolineata a partire da Ez 34. Questo dato permette inoltre di ritenere, come ulteriore conseguenza, che con Is 11, 1-4 la stessa tradizione dell'Emmanuele, iniziata a partire da Is 7, partecipa della profonda reinterpetazione ed entra in modo pieno nella corrente dell'attesa rnessianica. L'Emmanuele, che era contemplato come il segno della fedeltà del Signore alle sue promesse (Is 7,1-17) e come il "figlio" che, nella sua funzione regale, avrebbe realizzato la liberazione del popolo e inaugurato l'era della pace (Is 9,1-6), appare ora, in un panorama messianico, come il "Rampollo"-"Virgulto" che uscirà dalle "radici" di lesse per realizzare il regno della giustizia, con la potenza dello Spirito e il dono divino della Sapienza.

 

3.3. Testimonianze dell'attesa messianica 

Non è ancora possibile conoscere tutte le tappe in cui ha continuato a svilupparsi e manifestarsi il messianismo in senso stretto dopo che, con la pericope di Is 11,1-4, ha fatto la sua irruzione nella tradizione di Gerusalemme. Qui ci limitiamo ad accennare ad alcuni orientamenti generali e a presentare alcune testimonianze contenute nello stesso libro di Isaia. 

3.3. I. 1 salmi "regali"  

A nostro avviso, un campo di ricerca fruttuosa è costituito anzitutto dai cosiddetti "salmi regali". In molti di questi salmi si incontrano elementi che risalivano indubbiamente al periodo monarchico e celebravano i momenti salienti della vita dei re (incoronazione, matrimonio, partenza per la guerra, celebrazione per la vittoria, ecc.). Questi testi, però, sotto l'influsso dell'attesa messianica, sono stati ripresi e reinterpretati in modo da formare dei “canti" con i quali si ricordava al Signore la promessa fatta a Davide e, al tempo stesso, si sviluppava la comprensione della salvezza che il Signore avrebbe realizzato nei giorni del Messia.

3.3.2. La promessa di Ger 23,1-6

Un'altra preziosa testimonianza è costituita da Ger 23,1-6, in particolare dai vv. 5-6. La maggior parte degli esegeti ritiene questi versetti autentici [29]. Tuttavia i vv. 1-4 mostrano evidenti punti di contatto con Ez 34. Dato il carattere omogeneo di Ez 3,4, è evidente che questa pagina ha costituito la fonte di Ger 23,1-4, e non viceversa. A loro volta i vv. 5-6 sembrano unire la promessa del nuovo Davide di Ezechiele con quella dei "Germoglio" di Zc 6. Inoltre la presentazione del Germoglio, caratterizzato come "giusto" che regna con sapienza, richiama il Rampollo di Isaia, che è colmo dello Spirito e governa con equità a favore dei miseri e dei poveri, al punto che la giustizia è la fascia dei suoi lombi (cf Is 11,2.4.5).

 3.3.3. Le testimonianze del libro di Isaia

 Il libro di Isaia, in particolare, contiene preziose testimonianze dell'attesa del Messia nel senso che è stato sopra precisato. Riteniamo utile indicare brevemente queste testimonianze, le quali mostrano chiaramente l'influsso esercitato dalla rilettura messianica della promessa isaiana dell'Emmanuele.

 La prima pericope che attira l'attenzione è Is 4,2-6. Il brano, costituito da alcune unità postesiliche, è stato inserito subito dopo l'annuncio dei giudizio (3,1-4,1) per sottolineare che la sofferenza del mornento presente è in funzione di un luminoso futuro di salvezza.

Decisiva, per la nostra ricerca, è l'espressione "il Germoglio dei Signore" (semah JHWH) che ricorre unicamente nel nostro testo al v. 2. L’ interpretazione messianica di questo sintagma, già esplicita nel Targum, che traduce con "il Messia del Signore", e molto diffusa in passato, oggi è generalmente abbandonata dagli studiosi. Per essi la locuzione va intesa, insieme con la frase "il frutto della terra", come promessa di un periodo di fertilità che assicura al paese una straordinaria abbondanza dei suoi prodotti. Certamente l'autore, con una costruzione stilistica basata sul parallelismo, orienta verso un futuro caratterizzato dalla salvezza divina. Inoltre il significato primo e fondamentale dei vocabolo "germoglio" è letterale; esso denota tutto ciò che produce la terra (cf Gen 19,25). Tuttavia è altrettanto sicuro che il termine ha assunto anche una connotazione simbolica e come tale venne adoperato per indicare il nuovo Davide, che il Signore avrebbe suscitato secondo la promessa di Ez 34,23-24. li vocabolo si incontra, con questa ricca accezione, nel messaggio di Zaccaria (3,8; 6,12) e nei testi del sec. V da esso influenzati (Ger 23,5; 33,15; Sal 132,17). Vari motivi inducono a ritenere che l'espressione "il germoglio dei Signore" sia da intendere in questa accezione. Anzitutto la specificazione "del Signore" conferisce al soggetto ("il Germoglio") una particolare enfasi che verrebbe a cadere con l'interpretazione letterale. La ripresa della promessa dei Germoglio di Zaccaria, in testi che risalgono al periodo nel quale si formò anche il nostro detto, attesta che l'immagine rappresentava allora un motivo vivo nell'attesa della salvezza futura. Infine, e ciò è molto significativo, i testi che parlano dei nuovo Davide annunciano spesso la fertilità della terra come segno che nei "suoi" giorni finirà la maledizione, minacciata (cf Gen 3,17-18; Dt 28,18.23-24), e inizierà un mondo nuovo, caratterizzato dalla divina benedizione (cf Sal 72, 9-17, in particolare il v. 16-, Sal 132,11.13.15.17).

L’insieme di questi motivi mostra che il nostro versetto costituisce una preziosa testimonianza dell'attesa del nuovo Davide, che svolse un ruolo importante nella speranza della comunità giudaica del tardo postesilio. La sua attuale collocazione, all'interno del Libro di Isaia, illumina la promessa dell'Emmanuele (Is 7,14) e le relative reinterpretazioni di Is 9,5-6 e Is 11, 1-4a, ponendole nel contesto della nuova Sion [30].

 L’attesa messianica, a nostro avviso, è presente anche nella pericope di Is 16,1.3-5, che costituisce la parte centrale della sezione dedicata a Moab (Is 15-16). Il nostro passo è solitamente interpretato come un'esortazione indirizzata ai Moabiti perché ricorrano alla protezione di Gerusalemme e, quindi, ne riconoscano la sovranità. In realtà l'invito, che il poeta rivolge a Moab, si ispira a 2Re 3,4 dove si narra che Moab inviava al re di Israele centomila agnelli e la lana di centomila arieti come segno della sua condizione di re vassallo. In questa luce la miglior traduzione del v. 1 sembra essere: "mandate gli agnelli dei signore del paese dalla Rupe (o forse: da Petra) che è nel deserto al monte della figlia di Sion". Si tratta dell'invito con cui si chiede ai Moabiti che riconoscano la "sovranità" dei Tempio di Gerusalemme. In altri termini il nostro testo riprende la promessa di Is 2,2-4 per indicarne una forma di concretizzazione storica in riferimento a un popolo preciso. Nella configurazione attuale dei testo canonico l'interpolazione del v. 2 mediante l'immagine suggestiva delle sue donne in fuga, come uccelli spaventati e una nidiata che si disperde, sottolinea l'urgenza per il popolo di Moab di conoscere la parola che viene da Gerusalemme. Effettivamente il testo esorta i Moabiti a chiedere il "consiglio", grazie al quale è possibile conoscere la "decisione" del Signore, e la protezione per vivere pienamente nella sicurezza. Quest'ultima domanda è indicata con l'invocazione che l'ombra della città diventi a mezzogiorno come nella notte, così che essa sia massima proprio nel momento in cui di norma è minima.

L’invito dell'autore (sicuramente uno scriba dal pensiero aperto e profondo) si rivolge ora esplicitamente a Sion perché estenda, secondo il diritto sacrale, la condizione di "ospiti protetti" ai dispersi di Moab. La protezione di Sion sarà efficace perché, in virtù dell'intervento divino, in essa scomparirà definitivamente l'oppressione dei tiranni e si stabilirà per sempre la signoria del "sovrano-che-realizza-la-giustizia" (sopét). Il nostro autore, richiamandosi a Is 9,6 e 11,3-5, ma anche ai grandi testi della "teologia regale" di Sion (cf 2Sam 7,16; Sal 72,4-5; 89,3.15.25), delinea così, con accenti escatologico-messianici, il sovrano futuro con il quale il trono di Davide “sarà reso stabile". Il verbo adoperato (kún) conserva qui le complesse implicazioni attestate non solo nella lingua ebraica, ma nei testi dell'Antico Oriente. Esso indica che il sovrano rimarrà al proprio posto nel mondo e non potrà più essere detronizzato (cf Sal 2), che sarà fedele alla propria missione e al Signore che lo ha chiamato. Effettivamente, come afferma il testo, il trono sarà reso stabile nella "fedeltà" [31] e la condotta dei sovrano sarà costantemente mossa dalla ricerca del diritto e della giustizia. Se gli ideali qui indicati rappresentano l'orizzonte della teologia regale di Sion, il modo con cui essi sono formulati, nell'ultimo stico del v. 5, mostra un'affinità così stretta con Esd 7, 6.10 che non può essere casuale. Il nostro testo presuppone la riforma di Esdra, come risulta dal fatto che, per l'autore, il sovrano atteso porterà a compimento la Torah. I dati emersi nell'analisi di questa pericope sono molto illuminanti. Le pagine di Is 9,1-6 e 11,1-4, che reinterpretavano la promessa isaiana dell'Emmanuele, sono arricchite da una nuova prospettiva. Il nuovo Davide appare ora in stretto rapporto con il Tempio e con il dono divino della Torah.

 Il passo di Is 32,1-5 costituisce un'altra testimonianza dell'attesa messianica. In questa pericope si prospetta un re che attuerà un regno di giustizia nella nuova Gerusalemme, nella quale tutte le sue componenti accoglie- ranno il disegno dei Signore con crescente fedeltà. Pochi esegeti ritengono questi versetti autentici, oppure appartenenti alla redazione giosiana, mentre la maggior parte degli studiosi li considera postesilici. La forte caratterizzazione sapienziale depone senz'altro a favore di questa seconda opinione e orienta a situare la composizione della pericope intorno al 400, dopo la redazione del Libro dei Proverbi.

Nel delineare il nuovo ordinamento, l'autore presenta il re futuro che insieme ai suoi principi regnerà, secondo i parametri ideali della monarchia antico-orientale, nella giustizia e nel diritto (cf 2Sam 8,15; 1Re 10,9; Ger 22,3.15; 23,5). Questo aspetto, che caratterizza in modo speciale il re dei tempo della salvezza (cf Is 9,6; 11,4; 16,5; Zc 9,9 e Sal 72) è sviluppato con le metafore dei v. 2 dove i capi, per la loro azione, diventano "come un riparo" (il vocabolo ricorre solo qui), "come canali" e "come l'ombra di una grande roccia". Significativamente i simboli della protezione incorniciano l'immagine dei canale per la quale il re con i suoi principi appare come lo strumento indispensabile per assicurare la vita al popolo.

Un aspetto particolarmente fecondo è dato dal fatto che, per il nostro testo, l'era della salvezza suppone la trasformazione di tutto il popolo. Questi, di conseguenza, non si troverà più nella condizione di incredulità, descritta da Is 6,9-10 (cf 29,10), al contrario sarà aperto alla rivelazione: vedrà con gli occhi, ascolterà con gli orecchi e applicherà il suo intimo (cuore) per crescere nella conoscenza dei Signore e della sua salvezza (vv. 3-4). Questa trasformazione renderà la comunità partecipe della vera sapienza e, quindi, capace di non cadere nell'inganno degli "pseudosapienti" (v. 5), che non comunicano il disegno di Dio, ma solo piani insensati e disonesti [32].

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In secondo luogo i nostri versetti mettono in rilievo che l'agire dell'imbroglione" viola la giustizia e opprime il povero, anche quando questi può dimostrare il proprio diritto. A questo quadro si contrappone la figura del "nobile?” (v. 8). Si tratta di un termine che, come quello di "stolto", ha una valenza sociologica e indica l'uomo aperto verso i fratelli e, quindi, dotato di un animo magnanimo e generoso. Con questo messaggio i vv. 6-8 invitano la comunità ad attendere la salvezza futura, sviluppando gli atteggiamenti di fede che la caratterizzano, atteggiamenti che il Signore concede al suo popolo se questi accoglie il dono degli occhi per vedere, degli orecchi per udire e del cuore per discernere e comprendere, nella propria storia, le vie di Dio (cf Dt 29,3).

 Il nostro testo ha inoltre il merito di stabilire una forte connessione tra la figura messianica dei nuovo Davide e il rinnovamento interiore dei popolo. Il riferimento a Is 6,9-10 mette in evidenza che il rinnovamento dei popolo è compreso come la vittoria della potenza salvifica del Signore-Re, e quindi come il compimento della promessa stessa di Isaia, secondo la quale tutta la terra sarebbe stata riempito dalla "gloria" divina (cf Is 6,1.3.5). Il nostro passo, pertanto, testimonia la tradizione di una corrente teologica che pone la figura dei Messia in rapporto con la regalità salvifica di JHWH e con la manifestazione della sua gloria nel popolo perdonato, rinnovato e ricolmo della sapienza.

 Incontriamo una nuova testimonianza, relativa al re messianico, nel testo di .Is 33,17-24. In questa pericope il primo piano è occupato dalla figura dei re, che gli occhi del popolo potranno finalmente vedere (v. 17). Non esiste accordo tra gli esegeti se il termine "re" si riferisca al Signore o al nuovo Davide. Quest'ultima ipotesi sembra più probabile sia perché il termine "re" nel testo ebraico non è munito dell'articolo, mentre lo ha sempre quando è riferito ad JHWH, sia per l'importanza che il motivo dell'Emmanuele (Is 7,14), reinterpretato nella linea del nuovo Davide (cf Is 11,1-4), ha assunto all'interno dei libro di Isaia. Il richiamo alla bellezza del re [33] si ispira con ogni probabilità alla bellezza del re messianico descritta nel Sal 45 (cf v. 3). La contemplazione del "re" e del suo regno, che si estende fino alle regioni lontane della terra, porta nel popolo la coscienza della sua libertà. Le oppressioni che Israele ha subito nella sua storia, con le conseguenti esose tassazioni, restano solo un ricordo (cf 28,1 1; Ez 33,5-6). A questo riguardo la descrizione dei vv. 18-19 si richiama al terrore, sperimentato sotto la dominazione assira e, soprattutto, babilonese, per garantire al popolo che potrà vivere libero e sicuro per sempre. Per questo la visione del "re" si sviluppa nell'invito a contemplare Sion (v. 20), la città dove gli abitanti e i pellegrini celebrano insieme le feste (cf 4,5) nella gioia e nella tranquillità della salvezza [34]. Con un'espressione che richiama la finale del libro di Ezechiele ("il Signore è là", Ez 48,35), il v. 21 afferma la presenza dei "Potente" in Gerusalemme. Con questo titolo, che nel fenicio è un epiteto riservato ai re e agli dèi, il nostro autore caratterizza il Signore presente e operante in mezzo al suo popolo. Effettivamente se i fiumi e i canali assicurano la fertilità e la vita dell'Egitto e soprattutto della Mesopotamia [35], Gerusalemme trova nel Signore la sorgente perenne della sua vita e della sua pace (cf Ez 47). La visione della Gerusalemme nuova culmina nell'acclamazione corale del v. 22 che confessa il Signore come "giudice", "legislatore" e "re", e rinnova la certezza nel suo intervento che realizzerà la salvezza definitiva del suo popolo, la vittoria contro ogni ingiustizia e la liberazione da ogni schiavitù.

Anche in questa pagina la figura del nuovo Davide è connessa con la regalità del Signore e con la nuova Gerusalemme che appare come lo spazio della libertà, della salvezza perché essa è il luogo della nuova alleanza in quanto è il luogo dove Dio realizza il perdono dei peccati (cf v. 24 e Ger 31,31-34)

 L'ultimo testo del libro di Isaia, dove è presente il tema del nuovo Davide, è Is 55,3b-5. Secondo alcuni esegeti il brano proviene da un autore (il Deutero-Isaia) che non ritiene più possibile il ritorno della monarchia davidica sul trono di Gerusalemme e perciò reinterpreta la sentenza di Natan (2Sam 7,8-16), trasferendo la promessa di Davide al popolo di Israele [36]. Contro questa interpretazione si deve rilevare che il v. 3b presenta una forte connessione con il Sal 89,50. Il Sal 89 è una lamentazione collettiva. Nella prima parte (vv. 2-38) si ricordano le "grazie" ossia le "manifestazioni dell'amore" di JHWH (v. 2), che culminano nell'elezione di Davide (v. 20), nella sua consacrazione regale (vv. 21-28) e infine nella promessa di una discendenza (v. 30). Questa promessa si trova incorniciata dalla solenne dichiarazione del Signore, secondo cui egli, con promessa incondizionata, assicura di conservare per sempre il suo "amore" e la fedeltà alla sua alleanza, anche se i discendenti di Davide non osservassero i comandi divini (cf vv. 29.31-38). La seconda parte del salmo (vv. 39-52) [37] contiene il lamento vero e proprio. L’orante innalza il grido di dolore perché la situazione in cui egli vive sembra contraddire le "manifestazioni dell'amore del Signore", non lasciando più intravedere la possibilità che la discendenza di Davide regni in Gerusalemme (vv. 39-49). In questo contesto si situa la supplica del v. 50: "Dove sono, Signore, le tue grazie di un tempo, che per la tua fedeltà hai giurato a Davide?" (v. 50). Tutti gli interventi salvifici di JHWH, che culminarono nell'elezione di Davide e nella promessa di una discendenza destinata a durare per sempre, sono qui sintetizzati con l'espressione "le tue grazie".

Questo dato è di fondamentale importanza per comprendere il testo di Is 55,3b-5. li Signore annuncia che stabilirà un'alleanza eterna in favore dei suo popolo e questa consiste nella realizzazione delle sue "grazie" che hanno come riferimento Davide e la sua discendenza. Il genitivo oggettivo del sintagma "le grazie di Davide" prova che l'annuncio riguarda la promessa della discendenza o del nuovo Davide (cf Ez 34,23). La pericope in questione, quindi, non trasferisce al popolo le promesse fatte a Davide. L’"alleanza eterna” che il Signore stabilisce con il popolo consiste proprio nell'assicurazione che le promesse relative al nuovo Davide si compiranno. In altri termini, la promessa relativa al nuovo Davide diventa ora il contenuto dell'alleanza eterna che il Signore stabilisce con il suo popolo.

Il futuro Davide è delineato in una prospettiva universale analoga a quella del Servo di JHWH (cf Sai 18,1). Egli è costituito da Dio come "testimone" per i popoli, tra i quali proclama le lodi dei Signore (cf Sal 18,50-51; 2Sam 22,50). Per questo egli opera non solo come capo di Israele (cf 1Cron 17,7), ma come capo e "sovrano" dei popoli (v. 4). Un'importante conseguenza è racchiusa in questa visione: nel tempo del nuovo Davide il popolo della nuova Gerusalemme potrà accogliere tutti i popoli che accorrono (v. 5; cf 54,2-3) per partecipare della salvezza che il Dio dell'alleanza, il Santo di Israele, farà risplendere nel suo popolo.

Notiamo infine che il testo presenta il motivo dei nuovo Davide in profonda correlazione con il terna dell'alleanza del Signore con il suo popolo. Al riguardo si può notare anzitutto che l'intento di comprendere la tradizione davidica all'interno della teologia dell'alleanza appare già nell'opera deuteronomistica (cf 2Sarn 7, 24-27) e la stessa visuale si incontra anche nella pagina di Ez 34, dove l'annuncio del nuovo Davide è accompagnato dalla promessa dell'alleanza di pace (cf vv. 23-25). Al tempo stesso, però, si deve rilevare che questa connessione tra l'annuncio del nuovo Davide e l'alleanza si trova particolarmente accentuata nella nostra pericope. Infatti, se teniamo presente il contesto del nostro brano, risulta che I"'alleanza eterna" coincide con I"'alleanza di pace" di cui parla Is 54,10 che, con questo motivo, richiama esplicitamente la promessa divina contenuta in Ez 34,25. In Is 54, però, l'alleanza di pace si configura come alleanza perenne fondata sulla promessa incondizionata del Signore (cf v. 10). In questa promessa si manifesta la tenerezza dell'amore sponsale di JHWH (cf vv. 4-8) nella cui esperienza il popolo è ammaestrato dal Signore stesso (cf v. 13, che a sua volta allude a Ger 31,33-34). In definitiva, l'alleanza eterna coincide con la nuova alleanza.

In questa ottica la figura del nuovo Davide si delinea sempre più connessa con la nuova Gerusalemme, rinnovata dall'amore sponsale dei Signore, chiamata a vivere nell'esperienza della sua tenerezza salvifica e, quindi, nella gioia della nuova alleanza [38]. La connessione del nuovo Davide con Is 54 rende anche possibile ipotizzare una correlazione redazionale con Is 62,1-5, dato che tra le due pagine esiste una stretta affinità lessicale e tematica [39]. Anche in Is 62, infatti, la nuova condizione di Sion e del suo territorio ("terra") è espressa con la ricchezza dell'immagine sponsale. La comunità non sarà più chiamata "Abbandonata" (cf 54,6; 60,15) o "Desolata” (perché priva di figli; cf 54,1), ma sarà indicata con i nomi "Mia-delizia-in-te" e "Sposata" (v. 4a-b). li valore simbolico di questi nomi appare esplicitato nella dichiarazione finale: il Signore si compiace di Sion, rinnovata dalla sua salvezza e resa sposa feconda di figli (v. 4c). Il nostro autore sa che l'immagine sponsale, la cui origine va probabilmente cercata nel culto, era comparsa nei detti profetici per condannare Israele a causa della sua infedeltà (cf Os 1; 3; Is 5,1-7; Ger 3,1-2; Ez 16; 23) [40]. Egli però, con una sorprendente e consapevole antitesi, paragona la sposa a una giovane "vergine" che, nel giorno delle nozze, costituisce la "gioia" del suo sposo (v. 5). La gioia "sponsale" del Signore per Sion, rinnovata dal suo stesso amore, è una delle categorie nelle quali si esprime la grandezza e la profondità della fede di Israele (cf Sof 3,17-18a), e si sottolinea, con le incommensurabili virtualità del linguaggio simbolico, la singolare "novità" attesa da Dio per il tempo della nuova alleanza. Il Signore è lo sposo che "costruisce" il suo popolo perché è colui che lo rinnova con la potenza creatrice della sua misericordia (cf v. 12 e Is 54,5-8). L’amore del Signore, in altri termini, dona la " verginità" alla sua sposa! L’infedeltà del passato è allontanata per sempre (cf Sal 103,11-13) e la gioia di colei che non è più "Abbandonata" e "Desolata" (cf 54, 1; 6 1, 1 0-1 1) si fonde ineffabilmente con la gioia dello Sposo che "crea" la bellezza della sua sposa (v. 5).

Questo breve cenno a Is 62,1-5 non è dovuto solo alla sua correlazione letteraria con Is 54 che, a sua volta, rende plausibile l'ipotesi di un nesso con la promessa del nuovo Davide richiamata in Is 55,3b-S. Esso, come si vedrà presto, permette di avere una comprensione adeguata del modo con cui i LXX traducono Is 7,14, il versetto per antonomasia della promessa dell'Emmanuele.

 

3.4. Prospettive escatologiche e apocalittiche 

L’esame delle numerose testimonianze distribuite nel libro di Isaia offre un quadro ricco e illuminante per la nostra ricerca. Anzitutto è confermato che il motivo del nuovo Davide non si trova soltanto registrato in alcune pagine che sono poi rimaste sommerse dalla totalità della produzione letteraria della Bibbia. Al contrario, si nota che a partire dal periodo postesilico, sotto l'influsso dei profeta Ezechiele, la promessa di Natan divenne feconda e sviluppò in Israele l'attesa messianica in senso stretto. Questa attesa ha lasciato le sue testimonianze in modo speciale nella letteratura profetica, quella che era ancora in fase di sistematizzazione redazionale nel momento in cui la figura del Messia entrò nell'ambito vitale della speranza di Israele [41].

Un dato accomuna le testimonianze recenti relative al nuovo Davide. Si tratta della sua connessione con la nuova Gerusalemme, per cui l'attesa messianica entra in rapporto con la promessa della nuova alleanza e giunge, inoltre, ad essere un elemento all'interno della speranza escatologica. Che questa prospettiva abbia interessato la promessa dell'Emmanuele risulta confermato dal fatto che la redazione finale del libro di Isaia ha accostato alle note pagine di Is 7; 9; 1 1 delle reinterpretazioni di natura escatologica.

Delle prospettive escatologiche si incontrano in Is 7,15.21-22 dove appare che il cibo straordinario dell'Emmanuele ("panna e miele") sarà anche l'alimento di cui si nutrirà ogni superstite che costituisce la primizia del nuovo Israele. Anche la locuzione "questo farà lo zelo del Signore degli eserciti" rappresenta un'aggiunta. Essa si ispira al tema della gelosia divina che con il profeta Zaccaria diventa la categoria teologica sulla quale poggia la speranza di un futuro di salvezza per Gerusalemme. Ne segue che anche Is 9,1-6 venne letto non più in riferimento a Giosia, ma in rapporto al futuro nuovo Davide. Fortemente escatologica è anche l'aggiunta di Is 11,6-9. Gra- zie a questa inserzione, il messaggio di pacificazione di tutte le creature si configura come la conseguenza del regno di giustizia attuato dalla venuta del Rampollo, ossia dell'Emmanuele, che proprio in 9,5 è presentato con il titolo di "principe della pace". Centro ideale di questo nuovo mondo, che suppone il trionfo della giustizia annunciato nei vv. 1-5, è il monte santo del Signore, da dove si irradia la rivelazione e si diffonde la sapienza del Signore. L’immagine delle acque che "ricoprono il mare" esprime con rara efficacia l'esperienza del credente che vive nella comunione con il Dio vivente e si sente raggiunto dalla luce della sua "rivelazione" che è sempre, in profondità, misteriosa comunicazione del Signore e immersione nel suo amore.

Non sempre distinguibile dalla reinterpretazione escatologica è quella apocalittica. Lo stile e il vocabolario orientano a ritenere che in Is 8,9-10 è registrata una reinterpretazione apocalittica della pericope di Is 8,6-8, dove il profeta aveva presentato l'Emmanuele come l'unica ancora di salvezza per il popolo. Grazie ad essa veniamo a sapere che l'attesa dell'Emmanuele è stata messa in rapporto con la speranza del mondo nuovo della risurrezione, il mondo dove le promesse salvifiche del Signore avrebbero trovato il loro definitivo compimento nella pienezza della comunione di vita con il Signore e nella luce perenne della sua rivelazione. Proprio questa speranza orienta la comunità a guardare verso un futuro nel quale le forze che combattono il disegno divino saranno ridotte all'impotenza, e la salvezza dell'Emmanuele segnerà il fallimento di ogni piano antidivino [42].

 

3.5. La testimonianza dei LXX  

In questo ininterrotto processo di interpretazione e attualizzazione della promessa dell'Emmanuele di Is 7 si inserisce anche la preziosa testimonianza della versione dei LXX. Nella traduzione di Is 7,14, infatti, i LXX rendono il termine ebraico 'álmáh non secondo il suo significato consueto di gunh (donna), ma con il sostantivo parqenoz (vergine). L’influsso che questa versione, seguita dalla Vulgata, ha esercitato nella tradizione cristiana ha generalmente portato a spiegare il termine ebraico nell'ottica semantica della traduzione greca. Con l'affinarsi della sensibilità filologica e lo sviluppo della mentalità scientifica si è compreso che il testo ebraico di Is 7,14 e la rispettiva versione dei LXX rispecchiano due fasi distinte e lontane nel tempo di una medesima tradizione.

Nell'ambito dell'esegesi cattolica il problema è stato posto in termini corretti dal Lohfìnk. In un saggio destinato alla divulgazione scientifica egli delinea le tre tappe principali della storia dell'interpretazione relativa alla promessa dell'Emmanuele, distinguendo tra loro, cronologicamente, le testimonianze di Is 7,1-17, di Is 9,1-6 e, infine, di Is 11,1-5. Conclusa questa rapida presentazione, l'autore aggiunge: "Ora potremmo continuare a seguire il lungo cammino della profezia sull'Emmanuele attraverso la storia di Israele. Per esempio, scorgeremmo come nella traduzione in greco del libro di Isaia è stata introdotta la parola 'vergine', mentre non potremmo esattamente indicare da quale riflessione chiarificatrice ed esplicativa ciò sia sorto. E così infine arriveremmo, mediante una storia continua di interpretazioni e spiegazioni, fino a Matteo, che interpreta questa parola come riferita alla vergine Maria e al discendente, di Davide, Gesù..." [43]. Come questa citazione documenta con chiarezza, il terrnine parqenoz (parthenos) della versione greca non deve essere inteso come la resa di un significato contenuto nel vocabolo ebraico 'almáh; esso è piuttosto la testimonianza preziosa di una nuova reinterpretazione nella storia della tradizione di Is 7. Per comprendere il rnessaggio di tale reintepretazione è indispensabile conoscere il motivo che ha spinto a inserire nel testo il termine parqenoz. In genere questo problema non è stato affrontato oppure, come ritiene anche il Lohfink, si pensava che la scienza non fosse più in grado di individuare la "riflessione chiarificatrice ed esplicative che fu alla base della versione dei LXX.

Molto probabilmente, però, oggi è possibile riscoprire l'intenzione che sta alla base della scelta ermeneutica dei LXX. A nostro avviso, infatti, la traduzione greca di Is 7,14 riflette una rilettura di Is 7 alla luce di Is 62. Abbiamo accennato sopra alla ricchezza di questa pagina. Essa delinea il futuro della salvezza nell'orizzonte della nuova alleanza che, a sua volta, è compresa nella prospettiva dell'immagine sponsale. In questo contesto sponsale, Is 62,5 annuncia l'intervento salvifico del Signore che dona la verginità alla Sposa. L’imrnagine si riferisce alla ricostruzione di Gerusalemme dalle sue rovine e, a un livello più profondo, connota il rinnovamento dell'alleanza in virtù della quale tutti gli abitanti formeranno il "popolo santo" del Signore (cf Is 62,12). Il testo greco presenta un'interpretazione diversa rispetto a quello ebraico, come risulta dal seguente prospetto: 

Testo ebraico [44] 

Come un giovane sposa una vergine 

così ti sposerà il tuo costruttore;
con la gioia dello sposo per la sposa 

il tuo Dio gioirà per te.

 

LXX 

Come un giovane coabita
(nel matrimonio) con una vergine,
così abiteranno in te i tuoi figli;
e avverrà: come gioisce lo sposo
per la sposa,
così il Signore gioirà per te. 

 Nel v. 5a il testo ebraico orienta il lettore a contemplare l'evento delle nozze del Signore con Gerusalemme e, in tale contesto, il titolo dato al Signore ("tuo costruttore") mostra che l'immagine sponsale è correlata alla ricostruzione e al rinnovamento di Sion. La versione dei LXX, invece, fin dall'inizio conferisce una peculiare accentuazione all'immagine sponsale. Il verbo sunoikew (sunoikéo), infatti, significa certo "sono congiunto in matrimonio", ma la sua sfumatura propria è quella di "dimorare insieme", "convivere", "coabitare". Ricorrendo a questo verbo la versione greca comprende l'immagine sponsale come metafora dell'amore con cui i figli di Sion porranno in essa la propria dimora. Questo spostamento di accento fa sì che le due parti in cui si suddivide il v. 5 non siano più tra loro omogenee. Effettivamente nel testo ebraico tutto il v. 5 sviluppa l'immagine sponsale in riferimento alla rinnovata comunione salvifica tra JHWH e Sion. Nella versione greca, invece, la prima parte del v. 5 illumina con l'immagine sponsale il fatto che Gerusalemme sarà nuovamente ripopolata dai suoi figli, mentre la seconda parte, in sintonia con il testo ebraico, annuncia la gioia sponsale del Signore per la “città" sua sposa. La traduzione dei LXX ha conservato la metafora della “verginità", rinnovata da Dio alla sua sposa, in quanto il motivo della gioia dello sposo (v. 5b) si riferisce al riconoscimento giuridico, da parte dello sposo, della verginità della sposa. Al tempo stesso, però, essa sottolinea che la "verginità" di Sion ha la sua espressione nella fedeltà dei suoi figli che, nonostante le rovine e le insicurezze socio-economiche, sceglieranno di porre in essa la propria dimora. Per i LXX, in altri termini, la "vergine" Sion costituisce il punto nel quale l'amore sponsale del Signore e l'amore dei figli per la sposa si fondono in unità.

Le riflessioni appena sviluppate rendono possibile comprendere il testo greco di Is 7,14. Traducendo con parqenoz (parthenos) il termine ebraico 'almáh, i LXX testimoniano una tradizione nella quale si poneva l'accento su Sion come colei dalla quale sarebbe venuto I"'Emmanuele". Per la nostra tradizione non era certamente la Sion dell'ora presente, quella dalla quale sarebbe nato il "principe della pace", il "Rampollo" uscito dalla radice di lesse. La Sion madre dell'Emmanuele è infatti contemplata nella luce della promessa e quindi nell'orizzonte della salvezza futura, quando il Signore realizzerà la nuova alleanza, rinnovando il popolo con la tenerezza del suo amore (cf Is 54,4-10). La Sion "vergine" di Is 62,5 è simbolo del popolo reso nuovo dal suo Creatore. I figli che abitano in essa, per i LXX, sono appunto il popolo che Dio ha rinnovato e reso testimone della sua salvezza. La nascita dell'Emmanuele, in definitiva, è segno della nuova Sion e quindi della nuova creazione.