Crisi della Chiesa: oscuramento del 'Verbum' e quindi della 'Imago' e dell'azione che proviene dalla conoscenza e dall'adesione del cuore
 
Apro con queste parole del fraterno amico Francesco Colafemmina e vi aggiungo le mie considerazioni:
 
"...Magari non li fermerete e non si faranno convincere dal vostro caritatevole zelo ma almeno avrete dato testimonianza! Oggi dobbiamo testimoniarlo non solo attraverso la fede in Lui, ma anche attraverso l'amore per le forme con cui la fede deve esprimersi. Se il contenitore è infatti deforme, conterrà anche una fede deforme, ne sarà espressione conseguente. Ecco dunque la necessità che noi semplici laici, senza una cattedra e senza galloni o mozzette, ci riappropriamo della bellezza, dell'ordine e dell'armonia delle nostre chiese. Alla fine, ne sono certo, anche se saremo sconfitti, il Signore ci sorreggerà e la nostra fede si riscoprirà più viva e meno assonnata. E forse anche combattendo capiremo il perché della crisi che la Chiesa attraversa oggi e delle ragioni per cui è diventato così complicato riuscire a incontrare il mistero e a gioire del bello e del vero nei nostri amati luoghi sacri."

Oscuramento del 'Verbum' e, quindi, dell'Imago'
 
Francesco indirizza il suo impegno soprattutto sull'arte sacra, che in questo nostro tempo sta dando segni di profonda decadenza, anzi di vera e propria eclissi del "Bello e del Vero". E non potrebbe essere diversamente dal momento che essa segue la sorte di tutte le espressioni dell'uomo in questa civiltà frammentata e nichilista, patria del liberismo selvaggio che soffoca ogni Bellezza e armonia perché, tramontato col relativismo il principio di Verità, le relazioni umane risultano basate sul principio dell'utilità o, ancor peggio, dell'utilitarismo. Diretta conseguenza del fatto che, se viene oscurato il 'Verbum', l''Imago', che è l'espressione visibile della Verità e della Bellezza, anch'essa viene eclissata. E questo, come abbiamo ripetutamente dimostrato, incide sui comportamenti e non resta senza conseguenze sulla crescita (oppure sulla involuzione) spirituale delle persone e delle strutture che esse animano.

La VERA azione parte dalla conoscenza e non viceversa
 
Noi ci troviamo a difendere e diffondere la nostra Fede cattolica mostrandone e tenendone vive le ragioni sul versante della Dottrina, che è quello da cui poi scaturisce, nell'ambito ecclesiale, la pastorale. Il dramma è quando la pastorale si svincola dalla dottrina. Non si può ignorare come essa stessa, oggi, veicola una nuova dottrina il più delle volte implicita. Non può esistere, infatti, una prassi che innovi asetticamente. All'assimilazione dei principi che diventano vita concreta delle persone corrisponde, nella società (nei versanti dell'etica, della politica, della famiglia, dell'impegno sociale), tutto il restante ventaglio dei comportamenti umani fecondati dal Fondamento su cui i principi sono costituiti o deformati dall'oscuramento o dal tradimento dei principi senza i quali i tanto sbandierati valori risultano gusci vuoti o stereotipi svianti.
 
Il nostro difendere la Dottrina non è segno di giuridismo o tradizionalismo come sterile attaccamento al passato e segno di chiusura ad ogni novità; ma autentica e consapevole apertura al Signore che "fa nuove tutte le cose" e, quindi al rinnovamento ed al sempre ulteriore disvelamento -Nova et Vetera insieme- della Tradizione Apostolica, senza contaminazioni da parte di falsi profeti, cattivi maestri e suggestioni neo-protestanti figlie del neo-modernismo e relativo "falso archeologismo liturgico" condito di giudaizzazioni di vario genere che, col pretesto del ritorno al passato, rinnega una tradizione arrivata fino a noi da due millenni di generazioni di credenti.
 
Rinnovamento pastorale o rifondazione?
 
Mi trovo a pensare sempre più spesso e con sempre maggiori elementi di riscontro, che cercheremo di approfondire ulteriormente in base ad esempi concreti, che il concilio vaticano II, col suo definirsi Pastorale e non Dogmatico, ha in realtà determinato nuovi comportamenti nella prassi ecclesiale che hanno inciso sulla formazione di una fede avulsa dal dogma e quindi dalla Verità. Di fatto una realtà come il cammino NC, non avrebbe mai potuto trovar posto nella Chiesa senza le falle introdotte dallo "spirito conciliare" che, a quanto appare, risulta ben attento a non toccare uno iota della Verità, ma solo nelle parole -se pure con qualche eccezione rivelativa che non intacca il dogma in quanto mai proclamata solennemente- e con una prassi generalizzata non coerente e di segno opposto.
 
Infatti, se le parole e le proposizioni conciliari e post-conciliari (ad esclusione degli abusi resi possibili dall'introduzione del Novus Ordo Missae) sembrano nelle grandi linee non allontanarsi dalla Verità e dal Dogma che la garantisce e la custodisce nel fluire dei secoli, in realtà la Chiesa (o più esattamente buona parte di quella visibile) sembra essersene allontanata attraverso la prassi nei fatti, nella liturgia in primis, che è la fonte e il culmine della fede e che 'forgia' le anime e le coscienze e ne determina gli atteggiamenti interiori e i conseguenti comportamenti nei confronti di Dio, degli altri e delle cose. Occorrerà poi dire qualcosa di più, approfondendo il malinteso senso del dogma veicolato dagli spirito-del-concilio-dipendenti.
 
Dobbiamo constatare, quindi, che oggi ci troviamo nello svolgersi di una rivoluzione copernicana tanto più dannosa quanto ingannevole e subdolamente travestita da rinnovamento secondo i segni dei tempi, certamente auspicabile e necessario, ma che non può mai essere autentico rinnovamento se staccato dai fondamenti portanti e dalle Radici, cioè dalla Tradizione Perenne.
 
Questa rivoluzione, che sembra corrispondere ad una 'rifondazione' piuttosto che ad un semplice 'rinnovamento' e che coinvolge la Chiesa post-conciliare rischiandone la vera e propria mutazione genetica, ha le sue 'spinte' nel mondo, che la Chiesa ha smesso di giudicare per trasfigurarlo in Cristo e dal quale si è lasciata contaminare per effetto di un malinteso senso del dialogo. il dialogo ad ogni costo. Il dialogo per se stesso non è che un nuovo idolo che allontana dalla Verità e, quindi, dalla propria identità che è quella del Figlio, Verbum et Imago Dei.
 
Un grande inganno a questo riguardo è la dichiarata pretesa di trasfigurare il male accogliendolo, che elude il compito di ri-conoscerlo e quindi rifiutarlo, vincendolo col Signore e nel Signore sulla Croce, ineludibile 'passaggio' per essere introdotti nel mondo della Risurrezione. Il Signore non è entrato in dialogo col mondo e non ha recepito le istanze del mondo; ma ha predicato e si è fatto Salvezza NEL mondo SE e PER CHI accoglie LUI. Il Signore non ha incarnato il male per trasfigurarlo, si è incarnato assumendo la natura umana ma non il peccato, che ha preso su di Sé per vincere, sulla Croce, il male che ne è all'origine. Ma oggi parole come Redenzione ed Espiazione appaiono espunte dal lessico cattolico... Noi non dobbiamo accogliere o prendere sul serio le critiche infarcite di menzogna per trasfigurarle, così come la Chiesa non può accogliere nel suo seno realtà che hanno bisogno di 'purificazione' senza preoccuparsi che siano purificate (se le accoglie è la Chiesa che si trasfigura, o meglio, viene sfigurata). Nostro compito è distinguere quel che è menzogna e respingerlo e vincerne le radici in Cristo. "Può esserci intesa tra Cristo e Belial?".
 
Relazione tra Verità e dogma 
 
Per queste ragioni, si impone di ripristinare nell’insegnamento -e nella Liturgia- la forma più perfettamente caritatevole che ci sia offerta da Dio, ossia la forma dogmatica, adeguatamente divulgata secondo i linguaggi di oggi. Ricordiamo il motto di sant’Ignazio d’Antiochia: «La fede è il principio, la Verità il fine»; solo la Verità può portare all’unità che è il fine vero e ultimo dell’insegnamento, specie con la Chiesa pregressa, cioè con la Tradizione, con la memoria dell’essere, da quasi cinquant’anni in grave pericolo». Questa unità potrà ritrovarsi solo «col fuoco del dogma».
 
Ed il "dogma", espressione e veicolo della Verità, non può mutare - come la stessa Verità è Una e non mutevole - a seconda delle mode del tempo. La Verità non si evolve insieme all'uomo, come ci ha fatto e ancora vorrebbe farci credere l'antropocentrismo imperante, che si è sganciato dalla Trascendenza e sembra aver espulso il Soprannaturale, ed è rispecchiato
  • nella dissacrazione e nella banalizzazione della Liturgia;
  • nell'orizzontalità dei rapporti comunitari che non privilegiano l'indispensabile rapporto personale col Signore, dal quale soltanto possono scaturire tutte le relazioni vive e feconde che possiamo intraprendere sia a livello personale che comunitario;
  • nell'enfasi su una partecipazione che ha perso i connotati autentici dell'"Actuosa participatio"(1), per diluirli in un 'fare' materiale.
Ciò che cambia e si evolve -ricordiamo che un cambiamento può produrre sia evoluzione che involuzione, oscuramento- è la nostra 'conoscenza'(2) della Verità, cioè la nostra consapevolezza e la nostra percezione della Verità, che è solo ciò che di essa di tempo in tempo riusciamo a conoscere ed a vivere. È questa che si modifica ed evolve in base alle esperienze ed ai rapporti intessuti col Signore con le persone e con la realtà e, quindi, essa sola può essere forgiata in un fluire dinamico e non cristallizzarsi in forme rigide e difficilmente mutabili come nel caso del sapere libresco e di quello ideologico.
 
Allo stato attuale delle cose, attendibilmente per un malinteso rifiuto dell'Autorità di conio tutto sessantottino e modernista, si è voluta abbandonare la stella polare della Rivelazione Apostolica, integra e fedelmente trasmessa nella Tradizione perenne, per sperimentazioni, strategie, cosiddetti "nuovi linguaggi" che, con il pretesto del 'dialogo' con il mondo e di un falso ecumenismo, ne hanno introdotto nella Chiesa le contaminazioni, di fatto infangandola e sfigurandone il volto, col risultato di diluirne e il rischio serio di dissolverne le funzioni e l'originaria identità.
 
Il Concilio sembra sia stato solo un pretesto per buttare il passato alle ortiche e così molti consapevolmente e molti altri mossi da un ingannevole ottimistico entusiasmo ispirato alle "magnifiche sorti e progressive...", si sono sentiti liberi di re-interpretare tutto alla luce del loro Io (o delle proprie tendenze, più che della Verità custodita dalla Chiesa). I documenti conciliari non sono stati scritti secondo il linguaggio della 'philosophia perennis', ma secondo quello della filosofìa moderna. Da questo derivano le ambiguità e le conseguenti difformità interpretative.

La crisi del resto aveva già toccato la Chiesa. Oggi forse ne abbiamo raggiunto l'apice. Il problema è che il cristianesimo ha abbandonato la philosophia perennis anche per una inedita via esclusivamente esperienziale: quella dei movimenti. E si è persa la consapevolezza che, in mancanza di un serio impianto teoretico-dottrinale si cade in un sentimentalismo e devozionismo che non porta da nessuna parte.

E allora non si propone più una presentazione sistematica del cristianesimo né nelle parrocchie, né nella scuole né tanto meno nei seminari; il che è ancor più grave, perché mancano i formatori, reggitori e santificatori (il "triplice munus" sacerdotale: docendi, regendi e sanctificandi) sostituiti da un esercito di cosiddetti "testimoni", laici formati da chi (leggi Cammino nc e suoi iniziatori) un impianto teoretico-dottrinale-pragmatico ce l'ha perché se lo è dato ed è riuscito ad imporlo alla Chiesa tutta (o quasi).

La responsabilità storica e morale epocale non è solo di cui ha voluto - unita a quella di chi ha permesso - tutto questo, ma anche di chi, vedendo e comprendendo, si lascia indurre a tacere. In certi casi tacere e pregare è imposto dalle circostanze; ma non è il caso di uno strumento come questo.

Quanto ai movimenti e ad uno in particolare, non posso non evidenziare un paradosso: il cammino neocatecumenale ha intrapreso da subito una vera e propria crociata contro il "sentimentalismo devozionale" dei cosiddetti "cristiani della domenica", ma cade a sua volta in un "sentimentalismo" spontaneistico, fondato esclusivamente sull'emotività, mentre viene completamente non solo sconsigliato ma in concreto estromesso l'uso della ragione individuale.
 
Nel percorso che abbiamo intrapreso e stiamo proseguendo, oltre che della Vita di Fede nutrita dalla vita Sacramentale nella Chiesa, dall'Adorazione e dalla preghiera nonché delle quotidiane risposte con la nostra vita, abbiamo bisogno delle due ali della Scrittura e del Magistero, perché non intendiamo oltrepassare né modificare - come accaduto a causa di un certo spirito-post-conciliare - i tesori di 'Sapienza' che generazioni di credenti ci hanno trasmesso: la Tradizione Viva e non "vivente" in senso storicistico, cioè mutevole a seconda delle mode del tempo, come ricorda mons Gherardini, al quale dobbiamo uno studio profondo ed esaustivo "Quod et tradidi vobis". Vita e Giovinezza della Chiesa nonché la  "Supplica al Santo Padre", nella sua precedente opera "Concilio Vaticano II. Un discorso da fare".

Cercheremo di affrancarci da ogni tipo di ideologia e di strumentalizzazione, per prendere il largo nell'immenso mare dell'Essere, che il Signore ci ha rivelato come SS. Trinità, lasciando che sia Essa -in Cristo Signore- a forgiare il nostro divenire non di homo faber, inventore oltre che del suo destino anche di teologie e liturgie e di una fede 'fai da te' - in molte realtà ecclesiali de-formatosi in homo charismaticus per autoproclamazione - ma di creature appartenenti al Corpo Mistico di Cristo, che è la Sua Chiesa, "pietre vive", come dice Pietro e sempre più "configurate" al Signore come insegna Paolo.
 
Maria Guarini
 

(1) nel senso biblico del termine: “conoscere” è il verbo del rapporto intimo sponsale indissolubile che porta al cuore del mistero del Signore e della sua Chiesa e che riguarda anche ogni anima credente; 'conoscenza' che progredisce attraverso il cammino di fede, proprio grazie alla fedeltà e alla perseveranza, ma soprattutto per quel surplus di Grazia che non ci è dato comprendere se non nel mistero che ci precede e ci sorpassa sempre.
 
(2) La partecipazione attiva non consiste solo in un 'fare' materiale, o in un 'ruolo' da ricoprire o un 'protagonismo' da scoprire, perché il vero Protagonista è il Signore e quella Liturgica è una vera Actio, Opera Sua e non dell'Assemblea. Partecipare è qualcosa di più complesso che corrisponde più a stati d'animo, predisposizioni e atteggiamenti interiori, apertura di cuore e consapevolezza di ciò che accade, attenzione desta e Adorazione, con l'alternarsi di momenti dialogati e di momenti in cui si partecipa in unione col Sacerdote... per non parlare dei Sacri silenzi. Il tutto in un clima di solenne sacralità di profonda, compenetrazione e immersione nel Mistero. La partecipazione non è meno 'attiva' se avviene con le facoltà dell'anima più che con un bla bla bla o con delle funzioni da svolgere e se è un atto sacro, di culto autentico, piuttosto che un qualcosa che assomiglia più ad una 'sacra rappresentazione', narrativa più che attuativa. che al culto liturgico vero e proprio. L'agire viene dopo, nella vita, e non è che conseguenza.
 
Il concilio Vaticano II ha in più riprese richiesto una “actuosa participatio”, una “partecipazione attiva” dei fedeli al culto. Questo è stato di solito interpretato nel senso di una condanna al preteso ruolo “passivo” a cui la liturgia tradizionale avrebbe relegato i fedeli. C'è una frase in linea con quanto detto sopra: “Non c'è proprio nulla di «attivo» nell'ascoltare, nell'intuire, nel commuoversi?”, che rivela chiaramente qual è il pensiero del Papa in merito. Ancora più notevole quel che leggiamo in “Introduzione allo spirito della liturgia” a p. 167: “In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. La parola «partecipazione» rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte”. Quale sarà dunque in realtà questa “actio”, questa azione a cui tutta l’assemblea è chiamata, ora come sempre, a partecipare? Come accenna il Papa, si sa che di solito si è dato a questa domanda la risposta pratica di moltiplicare e distribuire a quante più persone possibile i servizi paraliturgici durante la celebrazione: c'è chi accende le candele e chi le spegne, chi bada all’acqua e chi al vino, chi legge il profeta e chi l’epistola, chi canta il salmo e chi il Gloria; la preghiera dei fedeli vede alternarsi una persona diversa per ogni invocazione, e la processione dell’offertorio a volte somiglia ad un corteo. Non così per il Papa. Il testo citato così continua: “Con il termine «actio», riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico. La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio: la grande preghiera, che costituisce il nucleo della celebrazione liturgica e che proprio per questo, nel suo insieme, è stata chiamata dai Padri con il termine oratio. […] Questa oratio – la solenne preghiera eucaristica, il «canone» - è davvero più che un discorso, è actio nel senso più alto del temine. In essa accade, infatti, che l’actio umana (così come è stata sinora esercitata dai sacerdoti nelle diverse religioni) passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio. […] Ma come possiamo noi avere parte a questa azione? […] noi dobbiamo pregare perché (il sacrificio del Logos) diventi il nostro sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo detto, veniamo trasformati nel Logos e diveniamo così vero corpo di Cristo: è di questo che si tratta”.
 
Qui, all’interno della fornace ardente che è il centro stesso della fede cristiana, siamo realmente a miglia di distanza dalle banalizzazioni antropocentriche che vorrebbero imporci. E infatti, sono di nuovo parole del Papa: “La comparsa quasi teatrale di attori diversi, cui è dato oggi di assistere soprattutto nella preparazione delle offerte, passa molto semplicemente a lato dell’essenziale. Se le singole azioni esteriori (che di per sé non sono molte e che vengono artificiosamente accresciute di numero) diventano l’essenziale della liturgia e questa stessa viene degradata in un generico agire, allora viene misconosciuto il vero teodramma della liturgia, che viene anzi ridotto a parodia”.
Maria Guarini, 5 giugno 2010

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