SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 GENNAIO 2003
 

INTRODUZIONE

                    "Un tesoro come in vasi di terra" (2 Corinzi 4, 5-18)

     Il complesso flusso di migrazioni ha avuto un grande impatto sulle vite di molti popoli, di molti Paesi e Chiese nel mondo. L'Argentina costituisce uno dei Paesi ove si sono verificati molti flussi immigratori che hanno registrato effetti non solo a livello nazionale ma anche nella vita delle Chiese. Il progetto iniziale per la preghiera per l'Unita dei Cristiani di quest'anno è opera di un gruppo ecumenico in Argentina che ha scelto il testo biblico e le riflessioni che ne derivano constatando che l'Argentina è una nazione nata da un ceppo locale e da immigrati. La fame, le guerre e le persecuzioni religiose possono essere considerati elementi scatenanti dell'immigrazione. Ci sono due racconti inerenti al passato recente dell'Argentina che possono renderne l'idea e che evidenziano la necessità per le Chiese di lavorare insieme nella ricerca dell'unità per essere in grado di offrire una risposta di autentica testimonianza.

     Una famiglia in fuga dalla violenza emigra e si stabilisce in Argentina. Trova sicurezza ma deve far fronte a una nuova società che non capisce, una lingua che non è la propria e una storia con la quale non si identifica. A volte la popolazione locale non apprezza la loro presenza. La famiglia prova gioia e tristezza nello stesso tempo. Ha lasciato alle sue spalle la paura per scoprire la discriminazione. In alcuni casi deve accettare di essere sfruttata economicamente; è questo il prezzo da pagare per proteggere la propria vita e far crescere i figli. Il nuovo paese li accoglie e li respinge allo stesso tempo. Hanno fiducia e attendono una luce che li guiderà nel buio.

    Una giovane donna arriva in una grande città in cerca di lavoro. È cresciuta in campagna ed è stata costretta ad abbandonarla nel desiderio di un futuro migliore. Ha lasciato la famiglia, gli amici ed ora si trova di fronte ad una nuova società. La sua pelle e il suo accento rivelano le sue origini, probabilmente ha sangue del luogo. Anche lei deve pagare un alto prezzo. Fa l'esperienza delle luci della metropoli ma nel contempo sperimenta la tristezza della solitudine. È straniera nel proprio paese. Molte volte si sente trattata come se non avesse alcun diritto di godere dei benefici che la vita offre. Non ha nessuno in cui riporre la propria fiducia ma confida ancora di trovare il suo posto nella società.

   Tali situazioni hanno indotto il gruppo locale a riflettere su come la Parola di Dio ci dia forza per affrontare situazioni difficili e ci ricorda costantemente che tutto il popolo di Dio è pellegrino sulla via del Regno. La Bibbia ci presenta innumerevoli esempi di persone che migrano da un luogo all'altro per le stesse motivazioni di oggi. Abramo e Sara, Giacobbe, Amos, Giuseppe, Maria e Gesù sono esempi biblici di migranti. L'esperienza dell'immigrazione rivela un mondo diviso. L'unità dei cristiani deve costituire il paradigma dell'unità del genere umano. I cristiani posseggono «un tesoro in vasi di terra».

   Il testo 2 Cor 4, 5-18 ci invita a riconoscere che disponiamo di un tesoro che non ci appartiene ma che è dono di Dio per rafforzarci nei momenti di angoscia e infonderci coraggio nella tristezza. Portiamo questo tesoro nella fragilità della nostra natura umana affinché sia chiaro che tale dono ha origine in Dio e non è opera nostra. Dio ci invita a dargli testimonianza tramite la nostra debolezza umana. Il corpo di Cristo è indiviso e per tale ragione le divisioni tra i cristiani costituiscono una contro testimonianza a questa verità che dobbiamo superare. Riconosciamo che le barriere sono profonde e che le nostre forze fisiche non sono sufficienti per guarire il peccato della divisione.

   L'unità della Chiesa deve essere raggiunta tramite l'azione e la potenza dello Spirito Santo che agisce in noi, così che ogni passo verso l'unità deve essere visto come un atto di Dio che ci conduce sempre più vicino al suo Regno. Abbiamo bisogno di accettare la sfida dell'Apostolo Paolo che ha detto: «Ho creduto, perci6 ho parlato» (2 Cor 4, 13). Non parlare è nascondere la realtà visibile di Cristo che agisce in noi, che è la base dell'azione della Chiesa nel mondo. Così, con questa forza che ci viene data dobbiamo rivolgerci al nostro vicino per condividere la luce di Cristo e scambievolmente riconoscere che siamo in debito con Dio che ha dato la vita di suo Figlio per la salvezza dell'umanità. Sono questi i temi scaturiti dalla celebrazione ecumenica e sviluppati dalle riflessioni bibliche per gli !18 Giorni". Il fine delle riflessioni proposte è quello di approfondire il tema biblico centrale e collegarlo al problema delle migrazioni scelto dal gruppo ecumenico locale argentino. Alcune comunità utilizzano il materiale per continuare la loro preghiera per l'unità dei cristiani.


  Gli "8 Giorni di Preghiera" sono stati così strutturati:

   Paolo, nella sua lettera ai Corinzi incoraggia i fratelli e le sorelle cristiane col messaggio di speranza che è Gesù Cristo. È lui il messaggero di Dio che rivela la sua gloria e la sua luce che continua a brillare in un mondo di tenebre (2 Cor 4, 5-6). È questa la speranza che uomini e donne portano nel cuore, consapevoli che la sua sorgente è in Dio e non in noi. È il tesoro che sostiene il pellegrino e il migrante nelle sue condizioni di fragilità (1° giorno, 2 Cor 4, 7). 

    La comune fede in Cristo è la nostra speranza e il nostro tesoro. Nel mondo molti uomini, donne e bambini sperimentano il peso della persecuzione, dell'afflizione e dell'abbandono perché costretti a lasciare le case e a vivere sulla strada, costantemente staccati dal proprio ambiente familiare. Paolo riflette sull'esperienza delle persecuzioni offrendo la consolazione della fede cristiana, poiché Gesù ha assunto la nostra condizione umana capace di elevarsi, che rivela la forza di Dio nella propria debolezza. Allora non siamo né schiacciati né spinti alla disperazione; non siamo abbandonati o abbattuti, poiché abbiamo fede (2° giorno, 2 Cor 4, 8). 

    Il mistero della redenzione rifulge in situazioni in cui, per la grazia di Dio, lo spirito umano rende visibile l'immagine di Cristo nella fragilità delle nostre membra. In tale fragilità vediamo la morte di Cristo portata nel proprio corpo, ma tramite la misericordia di Dio, possiamo anche vedere l'immagine di Cristo rivelata. Troppo spesso il peccato della discriminazione rivela una cultura di morte, che non è nient'altro che il desiderio di eliminare la diversità, cioè l'altro. La missione della Chiesa è quella d' individuare insieme le modalità per affermare l'immagine di Cristo nell'altro, come una ricca sorgente, un dono prezioso. La presenza di Cristo manifestata in noi ci rinnova, così che, tramite una dignità che non può essere cancellata, possiamo rendere visibile l'immagine di Dio. È soltanto quando apprezziamo un tale tesoro che ogni essere umano porta, nella sua umanità, l'accoglienza degli altri, vedendo in essi la somiglianza con Dio (3° giorno, 2 Cor 4, 10).

    Sembra una contraddizione, ma fino a quando c'è vita in noi, dobbiamo imparare a dare oltre la morte, a morire noi stessi affinché Cristo possa vivere in noi. Nel far questo, ci apriamo al vero valore della vita stessa, una vita che è stata affidata a Cristo affinché la sua vita possa manifestarsi nella nostra carne.
    Tutti i cristiani sono chiamati a testimoniare che il peccato non ha più dominio su di noi. Ciò avviene ove le Chiese, insieme nel mondo, rendono testimonianza alla dignità della vita, che è vita nuova in Cristo (4° giorno, 2 Cor 4, 11). Nelle condizioni precarie in cui si trovano sia i pellegrini che i migranti, le Chiese cristiane riunite "nel medesimo spirito di fede" offrono le loro voci ai forestieri e ai diseredati. È perché confessiamo la stessa fede che siamo in grado di trovare le parole da dire.

     Il tema del 5° giorno (2 Cor 4, 14) incoraggia i cristiani a riflettere sulla necessità di parlare con coraggio delle condizioni disperate dei senza tetto, dei rifugiati, degli immigrati, della gente di strada, delle popolazioni dei migranti e delle donne e dei bambini indigenti. Veramente noi crediamo al potere rinnovatore di Dio in Gesù Cristo e così, insieme, parliamo con coraggio contro tutto ciò che distrugge la dignità umana. 

    È insito nella missione della Chiesa essere segno della grazia di Dio nella società. l valori di questo mondo che passa non coincidono necessariamente con quelli del regno dei più fortunati. Gesù ha affidato a ogni cristiano e alle Chiese insieme la missione di vivere la giustizia del Regno di Dio come una forza nuova, capace di rinnovare la società. La giustificazione che gratuitamente ci è stata data per la grazia di Dio ci obbliga a vivere da salvati nel mondo. (6° giorno, 2 Cor 4, 15).

     Nonostante le innumerevoli difficoltà e persecuzioni non ci siamo persi d'animo. San Paolo c'incoraggia a restare forti perché noi portiamo nella nostra carne non soltanto la morte di Cristo, ma anche la sua vita. La Chiesa è dove è chiaramente evidenziata la vittoria di Cristo sulla morte poiché essa è comunità di coraggio. La perseveranza di coloro che cercano di perseguire l'unità dei cristiani costituisce un'importante realtà per coloro che si perdono d'animo e per quelli che sono tentati di offrire le proprie energie per tale causa, essa è segno della potenza della grazia di Dio nonostante le innumerevoli difficoltà. Gesù ha pregato per l'unità di tutti coloro che veramente portano il suo nome, affinché il mondo creda. Nonostante gli ostacoli sul nostro cammino verso l'unità dei cristiani, le Chiese devono agire insieme con coraggio e perseveranza di fronte alle avversità per offrire a un mondo diviso un esempio di unità ed essere segno della potenza della morte di Cristo sopra tutte le forze del peccato e delle tenebre (7° giorno, 2 Cor 4, 10).

    Nell'8° giorno riflettiamo su come la sofferenza che sopportiamo «Ci prepari una vita gloriosa che non ha l'uguale» (2 Cor 4, 17). Questa non è una visione utopistica di come potranno cessare le lotte umane, poiché l'apostolo Paolo c'invita a riflettere su come verremo trasformati dalla grazia della risurrezione se resteremo uniti nella fede ai patimenti di Cristo. Noi portiamo nelle nostre membra la sua sofferenza e la sua risurrezione. Ecco perché S. Paolo ci esorta a guardare al di là di quello che i nostri occhi possono percepire, verso l'eterno che ci viene rivelato nella gloria di Cristo. L'unità di tutti i credenti in Cristo è resa visibile quando i cristiani veramente affrontano i propri doveri nel mondo in cui sono chiamati ad operare.

   Ognuno degli "8 Giorni" propone una preghiera che implora la grazia di Dio per l'unità di tutti i credenti in Cristo. Il valore della preghiera per l'unità non può essere mai sottolineato abbastanza, poiché è il luogo ove tutti i cristiani, tramite la forza dello Spirito Santo umilmente riconoscono che l'unità auspicata da Dio per la Chiesa è di per se un dono. Preghiamo allora con perseveranza affinché possiamo essere pronti a ricevere questo dono e custodirlo nel "vaso di terra" della nostra fragilità umana.

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