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Visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma il 17 gennaio 2010. Successive esternazioni del Rabbino Di Segni.

Riflessioni sulle parole del Rabbino e su quelle del Papa

1. Identità etnica di Israele, identità spirituale del Cristianesimo

Il rabbino Di Segni, nel corso della visita del Papa al Tempio Maggiore di Roma, è stato capace di impartire una lezione di esegesi su "Israele-Popolo-Terra" a Benedetto XVI. Nella coscienza ebraica, ha detto Di Segni, è «fondamentale e irrinunciabile» ricordare che la terrasanta «è la terra di Israele» con «la promessa fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi di darla ai loro discendenti». Una promessa, ha detto il rabbino, che «si basa sulla Bibbia» che per cattolici ed ebrei ha, «pur nelle differenti letture, un significato sacro». Il Papa, evidentemente in ragione dell'impronta 'diplomatica' data all'evento, non ha replicato nulla -come anche a braccio non gli manca di fare in molte occasioni- nonostante i suoi scritti dimostrino che egli abbia idee molto chiare al riguardo. In ogni caso occorre non esagerare con il nazionalismo e le ristrette vedute d’Israele. In realtà, l’AT testimonia anche d’un suo ben pronunciato universalismo, d’una sua vocazione in tal senso, come dimostra ottimamente R. Martin-Achard, Israël et les nations. La perspective missionnaire de l’Ancien Testament, Neuchâtel-Paris 1959 e lo stesso card. Ratzinger nello scritto riprodotto di seguito.

Il Card Ratzinger, oggi Benedetto XVI, spiega nei suoi scritti che l'universalismo, non esclusivista né etnocentrico ma teologale, già presente nel Vecchio Testamento (Israele testimone davanti a tutti i popoli), è diventato esplicito e si è compiuto solo con l’autentica esegesi che Gesù Cristo ha rivelato e realizzato. Ed è questa la risposta cristiana all’esegesi rabbinica, tuttora esclusivista ed etnocentrica, espressa ed enfatizzata da Di Segni. L’identificazione tribale tra "Dio - terra - popolo" è stata ormai superata da duemila anni. E volerla ripristinare significa non camminare con la Storia della Salvezza portata a compimento dal Signore Gesù. In questo senso possiamo definire arcaica, cioè mitica, la pretesa sionista per ciò che essa attualmente produce. Forse sono parole 'contro corrente' rispetto alla cultura imperante, ma in esse non manca il Logos e servono per chiamare le cose col loro nome. Ne consegue il riconoscimento di Israele come Stato e Nazione, ma senza alcuna valenza 'messianica'. Vediamo cosa scrive l'allora Card Ratzinger:

"Il cristianesimo era quella forma di giudaismo(1) ampliata fino ad attingere l’universalità, nella quale ora veniva pienamente donato quanto l’Antico Testamento fino ad allora non era stato in grado di dare. La fede di Israele presentata nella ‘Septuaginta’ mostrava l’accordo tra Dio e il mondo, tra ragione e mistero. Essa dava direttive morali, ma mancava di qualcosa: il Dio universale era comunque legato a un determinato popolo; la morale universale era legata a forme di vita molto particolari, che fuori di Israele non si potevano affatto praticare; il culto spirituale era pur sempre vincolato ai rituali del Tempio che certo si potevano interpretare simbolicamente, ma in fondo erano superati dalla critica profetica e non potevano essere fatti propri da parte di animi in ricerca. Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. Rimaneva il dilemma se era necessario, e in quale misura, l’elemento specifico giudaico per poter servire rettamente questo Dio e a chi spettasse tracciare il confine tra quanto era irrinunciabile e quanto invece era storicamente accidentale o superato. Una piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza piena. A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef 2,14) in un triplice senso: i legami di sangue con il capostipite non sono più necessari, poiché è il legame con Gesù a determinare la piena appartenenza, la vera parentela. Ognuno può ora appartenere totalmente a questo Dio, tutti gli uomini sono in grado e sono autorizzati a divenire suo popolo. Gli ordinamenti giuridici e morali particolari non obbligano più, essi sono divenuti un precedente storico, poiché nella persona di Gesù Cristo tutto è ricapitolato e chi lo segue porta in sé e adempie l’intera essenza della legge. Il culto antico non è più in vigore, è stato abrogato con l’offerta di sé che Gesù ha fatto a Dio e agli uomini. E’ essa ora il vero sacrificio, il culto spirituale, in cui Dio e l’uomo si abbracciano e vengono riconciliati; e la Cena del Signore, l’Eucarestia, ne risulta la reale e certa garanzia sempre presente» " (J. Ratzinger, «Fede, Verità, Tolleranza - Il Cristianesimo e le religioni del mondo», Cantagalli, Siena, 2005)

(1) Piccola chiosa sul "cristianesimo come forma di giudaismo". Occorre premettere che, parlando di giudaismo in riferimento al cristianesimo, bisogna intendere il giudaismo puro, con esclusione di quello spurio, che ha inizio con l'esilio in Babilonia e sfocia nel giudaismo talmudico dopo la distruzione di Gerusalemme e che si è sviluppato contemporaneamente al cristianesimo in una netta differenziazione reciproca. Il cristianesimo, più che una 'forma' di giudaismo, ne è il compimento, nella Persona di Cristo, nei 'tempi ultimi' e nella Creazione Nuova da Lui inaugurata.

2. Considerazioni sulle parole del Papa in Sinagoga
  
[testo integrale del discorso]

2.1 attribuzione di portata teologica alla shoah

Non può restare senza conseguenze asserire che “la shoah” segna “il vertice del cammino dell’odio”, che voleva “uccidere Dio”. Occorre invece respingere la tendenza odierna -che va generalizzandosi sempre di più- di conferire portata teologica e “neo-dogmatica” ad un fatto storico come la shoah quale “nuovo Olocausto”, che sembra addirittura aver rimpiazzato quello di Cristo. Infatti, per la Fede cattolica l’odio di satana ha mosso degli uomini (Sinedrio con il popolo ebraico a lui sottomesso con la connivenza dei dominatori Romani) ad uccidere Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua natura umana. Questo è il vero vertice dell’odio contro Dio, che i veri cristiani, figli del perdono, non prendono a pretesto per demonizzare nessun uomo e nessun popolo -nella specie quello ebraico- né di ieri né di oggi né di domani.
La shoah non è né un “luogo teologico” - che, nella metodologia di Melchior Cano, è un criterio di prova teologica - né un dogma di fede, perché i dogmi di fede hanno per oggetto esclusivamente verità rivelate.
Nessun cristiano è quindi tenuto ad enfatizzazioni fuorvianti o al reiterato prodursi di poco dignitose prostrazioni, fermi restando l'orrore e la condanna per l'accaduto.

2.2 preghiamo lo stesso Dio?

Neppure può restare senza conseguenze una dichiarazione del genere da parte del Papa: Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore... È pur vero che siamo innestati sulla "radice santa" del giudaismo pre-rabbinico e che il Dio che si è rivelato e ha portato a compimento la Storia della Salvezza in Gesù Cristo è lo stesso dei Patriarchi e dei Profeti; ma se ci fermiamo a questo dato, ignoriamo che nella pienezza dei tempi Dio si è rivelato in Cristo Signore, che gli ebrei hanno rifiutato e continuano a rifiutare. Ed è Dio Trinità, icona e fonte di tutte le nostre relazioni, che noi cristiani Adoriamo, per averlo conosciuto attraverso la Rivelazione del Signore Gesù e degli Apostoli. Quel "quid" in più di un Dio Incarnato e Morto per i nostri peccati e Risorto per introdurci nella Creazione Nuova, fa una differenza abissale e adorare l'Uno piuttosto che l'altro non è ininfluente, perché si diventa 'conformi' (la ‘configurazione’ a Cristo di Paolo) a Colui che si Adora, anche perché i nostri atteggiamenti interiori e comportamenti vi si conformano in base ad una 'connaturalità' donata nella fede e realizzano un'antropologia e, conseguentemente, una storia diverse...

È la stessa ragione per cui non possiamo affermare di adorare lo stesso Dio dell'Islam: Certo, Dio Creatore dell'uomo e  dell'universo è lo stesso, ma il rapporto che si instaura con Lui in base alla Rivelazione alla quale si aderisce rende diversi gli uomini e il loro essere-nel-mondo e quindi la storia che essi vi incarnano e scrivono...

3. Ulteriori dichiarazioni del Rabbino

Le seguenti dichiarazioni di Rav Di Segni sono tratte da un'intervista rilasciata in occasione della "Giornata della memoria", che si celebra il 27 gennaio:

"Cammino ebrei-cattolici tormentato, speriamo irreversibile"

"Se la pace con i lefebvriani significa rinunciare alle aperture del Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!": così il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo di Segni, in un passaggio di un'intervista al mensile 'Il consulente Re' uscito il giorno prima della giornata della memoria.
Di Segni rievoca, al proposito, il discorso pronunciato in sinagoga in occasione della recente visita del Papa, quando, in riferimento alle "aperture" del Concilio vaticano II, ha affermato: "Se venissero messe in discussione, non ci sarebbe più possibilità di dialogo". Ora il rabbino spiega, in riferimento al discorso del giorno prima del Papa alla congregazione per la Dottrina della fede: "E' stata l'ultima aggiunta al discorso, dopo che venerdì mattina 15 gennaio c'è stata una strana apertura ai lefebvriani...".
Che il cammino tra ebrei e cattolici "sia tormentato - afferma più in generale Di Segni - è indubbio, che sia irreversibile è una speranza". Quanto alla definizione usata da Giovanni Paolo II per descrivere gli ebrei - "fratelli maggiori" - il rabbino spiega: "Questa definizione è molto ambigua dal punto di vista teologico, poiché i 'fratelli maggiori' nella Bibbia - ne ho parlato nel mio discorso - sono quelli cattivi, quelli che perdono la primogenitura... Parlare quindi di 'fratelli maggiori' dal punto di vista teologico significa dire: Voi c'eravate, adesso non contate più niente!". L'accenno fatto alle coppie di fratelli biblici nel discorso in sinagoga ha colpito il Papa, racconta poi Di Segni: "Dalla posizione ieratica in cui si era messo all'inizio della cerimonia, ha incominciato a mostrare grande interesse. Non solo: alla fine del mio discorso m'ha detto che l'argomento era molto importante, ciò che ha evidenziato ancora nel nostro colloquio privato".
Di Segni loda, infine, la Comunità di Sant'Egidio: "E' un bell'esempio di collaborazione, è stata fondamentale. Ha fatto di tutto per promuovere la visita, ha fatto molto per salvarla nel momento della crisi".
© Copyright Apcom, 26 gennaio 2010

3.1. uscire dal sepolcro e guarire dal passato per poter avere un futuro

Non è mia intenzione entrare in una polemica; vorrei soltanto che il 27 gennaio fosse veramente il giorno della Memoria, e quindi che si accomunassero nel ricordo tutte le vittime del Novecento: il secolo, che è stato definito da V. Grossman, della massima violenza dello Stato sull' uomo; ma ad esse vorrei fossero accomunate le vittime di ogni generazione che ci ha preceduti nella storia, ma anche della nostra che -senza nulla togliere al dramma dello sterminio degli ebrei che è e resta mostruoso- ne ha viste e continua a vederne davvero tante.

Tutti dovremmo comunque ricordare innanzitutto che per avere un futuro bisogna guarire dal passato... e la memoria deve essere sana e responsabile consapevolezza che assimila gli eventi, se li assume e li porta con sé redenti e non il "sacrario dell'odio" dal quale tirar fuori ogni possibile ricatto morale nei confronti del resto del mondo chiamato a testimone, come sta avvenendo da parte degli ebrei attraverso la shoah.

3.2 Considerazioni sulle parole del Rabbino. Indebite interferenze

Da parte nostra non possiamo non rimanere ancora una volta esterrefatti per le pesanti e inaccettabili ingerenze del rabbino -che non può farsi portavoce degli ebrei i quali non sono un 'monolite' e non hanno un'Autorità suprema di riferimento- nelle questioni interne della Chiesa. Oltretutto si tratta di una prerogativa che non appartiene né a lui né a nessun altro, ebreo o non ebreo che sia e stupisce il fatto che nessun portavoce Vaticano affermi con fermezza un dato così elementare, quando ogni volta che vengono nominati gli ebrei anche di striscio, si montano polveroni mediatici a non finire e analoga sensibilità esasperata mostrano i musulmani quando si parla della loro fede. Ma per i cristiani tutto questo non vale e per contro negli ultimi tempi queste interferenze vanno moltiplicandosi: basti pensare alla contestazione infinita su Pio XII e alle rimostranze sulla preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo...

Affermare: "Se la pace con i lefebvriani significa rinunciare alle aperture del Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!" cos'è: un ultimatum al Papa su una questione prettamente interna alla Chiesa? E in forza di quale principio questo parallelismo?

Tra l'altro non risulta che la Fraternità S. Pio X sia mai stata negazionista dell'orrendo 'sterminio', impropriamente definito 'olocausto' (a parte le personalissime dichiarazioni 'riduzioniste' e non negazioniste di Mons. Williamson, sulle quali è stato montato ad arte uno scandalo mediatico in occasione dell'annullamento della scomunica da parte di Benedetto XVI ai vescovi ordinati da Mons. Lefebvre)

3.3. shoah, 'luogo' teologico e dogma di fede?

Come già detto, l'appartenenza alla Chiesa non può essere condizionata dall'accettazione o meno di un fatto storico, che non è e non può e non deve diventare un dogma di fede!

Inoltre il linguaggio del rabbino sembra riferirsi ad un'APPARTENENZA che in ogni caso non riguarda il popolo ebraico che è interessato al dialogo e non certo all'assimilazione; rischio che invece correrebbe la Chiesa se andassero in porto i piani sionisti (sionismo non coincide necessariamente con ebraismo) e continuasse il processo di giudaizzazione innescato da tempo e di cui, ad esempio, tra le realtà ecclesiali emergenti, il cammino neocatecumenale è una 'punta' avanzata [vedi]!

4. Derive sincretiste e moderniste e processo di giudaizzazione presenti nella Chiesa

Infatti, dove viene espunta la Presenza Reale del Signore in una celebrazione (il particolare Rito neocatecumenale) che non è più il Sacrificio eucaristico che riattualizza il Sacrificio di Cristo, ma solo una festa assembleare che 'commemora' la Cena con la commistione del ricordo dell'uscita dall'Egitto, non è forse già entrato l'abominio della desolazione, come tra l'altro ricorda Giovanni Paolo II nella Dominicae Cenae?: "Il mistero eucaristico, disgiunto dalla propria natura sacrificale e sacramentale, cessa semplicemente di essere tale. Esso non ammette alcuna imitazione «profana» che diventerebbe assai facilmente (se non addirittura di regola) una profanazione." Oltretutto, negli insegnamenti e nelle prassi soprattutto ai livelli più avanzati, si assiste alla progressiva giudaizzazione del cristianesimo, molto presente ed arbitrariamente attribuita ad un sedicente spirito-del-concilio, che assume anche connotati neo-protestanti.

4.1 A che stadio siamo del processo di giudaizzazione. Dove sta andando la Chiesa?

Di questo processo è riprova un recente articolo a firma di Marco Morselli "L'ebraismo e i diritti culturali" ove egli afferma, tra l'altro: "Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere all’incontro con Lui", salvo che loro restano "il popolo dell'Alleanza" e noi i goym... Nella conclusione, Morselli cita Elia Benamozegh, il grande rabbino livornese che in un’opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa, senza di cui le diverse confessioni cristiane sono concordi nel riconoscere che l’opera della redenzione rimane incompleta, questo ritorno si effettuerà non come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole, e soprattutto nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore dei figli ai loro padri”» (Ml 3,24).

Citazione peraltro strumentale di Malachia, che parla anche della riconciliazione dei padri verso i figli e nessuno autorizza a pensare che i padri siano gli ebrei e i figli siano i cristiani, il quali sono innanzitutto figli di Dio nel Figlio...

Sta di fatto che gli ebrei si sono in qualche modo riappropriati di Cristo come rabbi e profeta e non certo come Dio... e, oggi, in riferimento al dialogo, arrivano a sostenere: "Il dialogo ebraico-cristiano era giunto negli ultimi mesi a un punto di crisi che sembrava insormontabile, intorno alla questione della conversione degli ebrei. In un recente incontro tra Autorità rabbiniche e Autorità episcopali italiane si è chiarito che non vi è nessuna intenzione da parte della Chiesa Cattolica di operare attivamente per la conversione degli ebrei  e che di conversione si parla solo in una prospettiva escatologica". [citazione dall'articolo di Morselli sopra indicato - cfr. Comunicato della CEI riportato di seguito]

Conclusione

Certo non può esistere da parte della Chiesa -riguardo alla conversione che è un dono legato alla libertà inviolabile di ognuno- alcun comportamento coercitorio nei confronti di chicchessia, ebrei compresi; ma questo non significa che la Chiesa debba rinunciare ad Annunciare il Signore a tutti, compresi gli ebrei, che hanno tutta la libertà di continuare a rifiutarlo ed aspettare il loro Messia, ma non quella di assimilarci a loro dopo aver annichilito l'Incarnazione, il Sacrificio e la Risurrezione di Cristo con la connivenza dell'apostasia ormai interna alla Chiesa!

(Maria Guarini)

Martedì 22 settembre 2009 - Card. Bagnasco incontra rabbini Laras e Di Segni

Il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha incontrato oggi i rabbini Giuseppe Laras, Presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana, e Riccardo Di Segni, Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma. “Il Cardinale – si legge in un comunicato diffuso dalla Cei - ha voluto porgere loro gli auguri per l’inizio dell’anno ebraico pregandoli di estenderli a tutti gli ebrei italiani”. Durante l’incontro il cardinale ha affrontato con i due rabbini alcune questione rimaste “aperte” con la comunità ebraica in seguito alla pubblicazione dell’“Oremus et pro Iudaeis”. A questo proposito il comunicato afferma: Non c’è, nel modo più assoluto, alcun cambiamento nell’atteggiamento che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. A tale riguardo la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei”. Nell’incontro di oggi, il cardinale ha anche manifestato “la sua preoccupazione per quei focolai di antisemitismo e di antigiudaismo che, di tempo in tempo, continuano ad apparire, ribadendo la necessità di un'attenta vigilanza, auspicando che i legami già profondi tra le due parti si stringano ancor più”.

“Con la crescita dell’amicizia e della stima reciproca – si legge nel comunicato - sarà più facile sradicare quegli elementi che possono favorire atteggiamenti antiebraici”. In base ai “chiarimenti intervenuti” durante l'incontro del card. Bagnasco e dei due rabbini Laras e Di Segni, si è deciso di “comune accordo di riprendere la celebrazione comune della Giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio, che quest'anno non ha potuto vedere la partecipazione degli ebrei. E’ stata comune la convinzione – si legge nel comunicato - che la ripresa di tale Celebrazione aiuterà la comprensione reciproca e renderà più fruttuosa la collaborazione per la crescita dell’amore verso Dio e il prossimo. Il cammino compiuto in questi ultimi decenni è stato straordinario e pieno di frutti per tutti. In tale orizzonte, quindi, continuerà la riflessione sulle Dieci Parole, come Benedetto XVI aveva auspicato nella sinagoga di Colonia”. L’anno prossimo, pertanto, per la Giornata di riflessione si riprenderà il quarto comandamento, secondo la numerazione ebraica: “Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo”. “La fede nel Dio dei Padri, ricevuta in dono – si è affermato al termine dell’incontro - rende responsabili i credenti cristiani ed ebrei per l’edificazione di una convivenza basata sul rispetto dell'Insegnamento di Dio”. [Non possiamo ignorare che il riferimento ai dieci comandamenti gli ebrei lo fanno anche quando ne attribuiscono l'osservanza ai "noachidi". Ricordiamoci che Noè non fa parte della Storia della Salvezza, che comincia con Abramo, e che i noachidi sono tutti i non-ebrei compresi noi, mentre l'identità che essi ancora sentono è quella del Popolo Sacerdotale al quale appartengono l'Alleanza e le promesse. Mentre la Chiesa si profonde in questo riconoscimento, altrettanto non può dirsi da parte loro nei confronti della Chiesa e dei cristiani, che appartengono alla Nuova ed Eterna Alleanza per essi inconcepibile e già rifiutata! - ndR].


Nota di InternEtica
Nessuno nega che gli ebrei vadano rispettati, amati e non perseguitati. L'antisemitismo, la furia distruttrice contro un popolo è da condannare senza riserve. Questo, sembra condiviso da ogni uomo di buona volontà prima ancora che da un vero cristiano. Ciò premesso, dichiarazioni come questa della CEI nonché le altre espressioni sul valore delle false religioni presenti nella Nostra Aetate e le ulteriori posizioni nei confronti degli ebrei non sono imposte con autorità infallibile. Si tratta di posizioni "pastorali" ambigue e pericolosissime, in contrasto col Magistero precedente, perché aprono la strada all'indifferentismo ed al relativismo religioso e, peggio, al sincretismo. I guasti li abbiamo sotto gli occhi giorno dopo giorno.

Rileviamo in particolare che l'impegno espresso con le seguenti parole: "non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei" poteva esser preso da una sola persona che, nella Chiesa, gode di una tale rappresentatività che presuma parlare per l'intera Chiesa, ed è il Papa.

L'irrevocabilità della predilezione appartiene al Nuovo Israele, cioè alla Chiesa fuori della quale la vecchia Alleanza non ha più senso né fine. I rami vecchi sono stati recisi, i nuovi sono innestati sul tronco dell'Israele di Abramo che ha creduto nel Cristo venturo. La Legge antica non ha di per sé più alcuna linfa ed i rami ed il tronco isteriliti potranno riavere vita solo dall'innesto in Cristo. L'irrevocabilità della predilezione è qui e solo qui.

  • Gli ebrei che rifiutano Cristo rifiutano la predilezione.
  • Per tornare ad essere prediletti dovranno innestarsi nella nuova storia che inizia e si perpetua con Cristo.
  • L'unico soggetto della predilezione è la Chiesa. Gli ebrei increduli restano fuori dall'irrevocabilità per loro scelta.

L'Antica Alleanza vive, nella parte in cui doveva ancor continuare a vivere dopo la venuta di Cristo, nella Chiesa, Nuovo Israele, frutto della Nuova ed Eterna Alleanza. Vivendo solamente nell'Antica Alleanza, la fede degli ebrei non giustifica né salva, perché non è più la fede di Abramo e dei giusti che credettero nel Cristo venturo, né è quella di coloro che hanno accolto Gesù.

vedi anche:
:: Mons. Brunero Gherardini - "Sugli ebrei, così serenamente"
:: G. Copertino - "Tra noi e loro la pietra angolare non il negazionismo"
:: F. Colafemmina - "Archivi e ipocrisie. L'antidefamation League e Pio XII"
:: Maria Guarini, Se non si esce dal sepolcro. Il Papa allo Yad Vashem
::
La preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo

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