Capitolo I

 

Definizione della comunicazione in chiave antropologica.
Chi comunica? Comunicazione e individuo

L'uomo è un essere complesso dotato di facoltà che lo mettono in relazione con il mondo che lo circonda, quello che il nostro linguaggio ci ha abituati a definire "'il mondo esterno"'.

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In realtà, man mano che cresce la presa di coscienza del suo posto nella natura, il che è un dato non soltanto intellettuale, ma coinvolge tutti i piani dell' "esserci" della persona umana, l'uomo percepisce la profondità, lo spessore del suo esserci ed i legami misteriosi, profondi che lo uniscono alla realtà, nella quale si sente immerso e della quale sente di essere un cuore pulsante, partecipe e vivente.

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Comunicare significa lasciar passare, non porre barriere né in entrata né in uscitase non attraverso un unico filtro: quello della coscienza - a tutto ciò che di volta in volta la situazione vissuta richiede; il che significa sostanzialmente apertura, capacità di ascolto che è un mettersi in sintonia e, poi, capacità di travasare quel che si muove dentro in risposta. Di solito ciò avviene attraverso il linguaggio, la parola; ma la parola acquista una sua incisività - in positivo o in negativo - nella misura in cui è rivestita, accesa potremmo dir meglio, dell'intenzionalità profonda da cui scaturisce.

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C'è un linguaggio non solo parlato, definito appunto non verbale, espresso – spesso inconsapevolmente - attraverso posture del corpo o azioni gestuali, che riflettono atteggiamenti, sentimenti interiori: spalle curve (pesantezza subita), un picchiettio nervoso delle dita (insofferenza, fretta), un chinarsi premuroso (il prendersi cura), un aprire le braccia (accoglienza o impotenza), uno stringere i pugni (chiusura o aggressività), intonazioni della voce (l'acutezza dell'esasperazione, la pacatezza della serenità, l'atonia dell'indifferenza, il calore vibrante della partecipazione), profondità di sguardi (che lanciano lampi d'intesa, grida d'aiuto, urla di paura, trasalimenti, emozioni condivise), aggrottare di ciglia per ira o meraviglia ed altro ancora...: anche questa è comunicazione.

 
Anche il silenzio è comunicazione

È reale anche l'esperienza di un silenzio comunicativo. Non è il silenzio tout-court; è una particolare qualità di esso. Non si tratta di una semplice "'assenza di suono"', che noi identifichiamo come voce o come rumore, in tutte le sue diverse manifestazioni.

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È comunicativo anche il silenzio della chiusura e dell'autoesclusione dal rapporto con l'altro, perché anch'esso comunica qualcosa, e cioè freddezza, indifferenza, a volte paura, sostanzialmente 'non-comunicazione' od anche il silenzio pieno di rabbia e di rancore che genera atmosfere tese e comunica tensioni a vari livelli; ma non sono questi i silenzi su cui voglio soffermarmi.

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Il Silenzio è una dimensione dell'essere e può a pieno titolo dirsi veramente comunicativo se è portatore di una pienezza di essere. Per comprendere il Silenzio è necessario ridefinire tutti i nostri parametri di approccio con la realtà perché, se lo rapportiamo agli elementi costitutivi della comunicazione che sono: un emittente, un destinatario (che nel dialogo si alternano), un medium: il supporto sul/attraverso il quale, viene trasmesso un messaggio (che è il contenuto della comunicazione), dobbiamo presupporre anche nel silenzio un emittente, un destinatario ed un messaggio; quel che non è immediatamente percepibile è il medium che lo veicola e il contenuto che non è verbale.

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Con evidenza primaria noi ci rapportiamo con la realtà attraverso i sensi e tutto ciò che ci circonda ha un suo linguaggio, un messaggio che si rivela a chi presta attenzione. Non ho detto a chi ascolta o vede (infatti siamo abituati a collegare il messaggio al linguaggio e/o all'immagine che lo veicola, alla voce e alla visione che ne sono i supporti trasmissivi, all'orecchio e all'occhio che ne sono gli organi di ricezione), ma a chi presta attenzione, sente interesse.

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C'è un rapporto che va al di la' dei sensi fisici e richiede la sensibilità di percezioni tutte interiori. Le vere porte di accesso alla realtà, quindi, sono l'attenzione e l'interesse. L'ascolto, viene in un secondo momento, è reso possibile dall'attenzione (e dall'interesse che la tiene desta) e non utilizza semplicemente il canale uditivo, ma mette in attività tutte le facoltà della persona. Anche la visione è ascolto della realtà, che ci parla anche attraverso le immagini. Anzi, il linguaggio dell'immagine è ancor più immediato, incisivo, arriva direttamente in profondità. In sostanza la realtà che ci circonda è un testo tutto da decifrare, per coglierne i significati ed i messaggi che contiene e farli entrare nel nostro universo personale, che ne risulta arricchito, in-formato (nel senso più pregnante del termine), affina sempre di più la sua capacità di orientarsi e relazionarsi col mondo.

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Naturalmente, nel parlare di realtà, di mondo, intendo comprendere non soltanto la natura (la physis), ma anche "gli altri", i nostri compagni di viaggio e di esperienza. "Il mistero - ha scritto Eschilo - si rivela a chi sa conservare il silenzio nel seno della parola".

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Noi uomini del XX Secolo, aggrediti dall'imperversare di slogan, che non propongono valori ma impongono mode, ci muoviamo in un linguaggio che ha perso il suo spessore, la pregnanza semantica delle parole degradate, tradite, deformate, strumentalizzate e, in definitiva, inautentiche. Esse, se non provengono da quella zona interiore di silenzio e di ascolto della realtà da cui traggono la loro anima profonda, non sono più in grado di trasmettere la forza e la vitalità che possiede il "sonoro e parlante silenzio della Verità" (S. Agostino)

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Per cogliere la dimensione comunicativa del silenzio, bisogna misurarsi con tutta la difficoltà di tradurre in parole l'esperienza di un "territorio" pressoché inesplorato: S. Paolo usa l'espressione arrhta rhmata [4] per indicare realtà indicibili. Certamente egli parla di una sua esperienza non comune, che non è accessibile a chiunque, ma è dono; tuttavia ogni uomo ha dentro di sé un anelito verso un incontro realizzabile nella profondità del proprio essere silenzioso.

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Il silenzio è quella dimensione dell'essere che fa affiorare e realizza la comunicazione vera, quella senza filtri, senza media, appunto. È Qualcuno che comunica se stesso. È presente anche nelle cose, nelle parole; ma, nel silenzio, non occorrono media: si realizza un dialogo fatto di essere, che rivela l'uomo a se stesso ed è pienezza vitale e forza interiore, che è fonte di comunicazione autentica con gli altri. "Allora viene fatta giustizia anche a qualcosa che appartiene al più intimo della nostra essenza umana: cioè che il parlare" - il comunicare, quindi - "è solo la faccia di qualcosa di più ampio, la cui altra faccia si chiama silenzio.

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L'uomo ha bisogno della verità' vive d'essa, come del mangiare e del bere. La fa sua rendendola comunicabile nella parola, ma anche intuendola tacitamente. Soltanto l'insieme di queste due modalità costituisce quell'intero che chiamiamo "conoscenza". E l'una sorregge l'altra: la presa di coscienza silenziosa si chiarisce nell'evidenza della parola, questa però si riaccerta continuamente del suo senso nel silenzio interiore." [5]

Il silenzio è una vicinanza interiore, una profondità e una pienezza, anzi quasi un fluire calmo della vita segreta [6]

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Quando d'un tratto ci viene da una parola un richiamo tale, che sembra echeggiare da abissi, l'essenza ci parla. Oppure la parola ci viene incontro da un testo scritto e nel segno che la rappresenta si accende, improvvisa, una luce. Sono "tocchi" della realtà al nostro essere profondo, senza i quali ci impoveriamo e si indeboliscono le nostre radici vitali.

 

Aspetti della comunicazione.

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Quanto agli aspetti strutturali della comunicazione, A. Moles [7] distingue una differenza basilare tra comunicazione fredda o funzionale e calda o relazionale, nei seguenti termini: "'la comunicazione funzionale è quella il cui valore si misura con l'efficacia... la comunicazione calda è quella che mira alla spontaneità, al faccia a faccia, a ricreare la presenza umana nella sua pregnanza e calore, nelle sue erranze e connotazioni"'.

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Specificando ulteriormente: la prima è sempre legata al conseguimento di un obiettivo connesso alla gestione di attività ed alla prestazione di servizi: potremmo riferirla all'efficienza ed alla prassi; la seconda, si connota maggiormente in un contesto di convivialità-condivisione ed è legata anche al fine di mantenere un legame durevole ed a raggiungere la profondità dei rapporti.

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G. Braga [8] , il primo studioso di sociologia della comunicazione in Italia, ritiene la comunicazione una specie del genere "'azione"', con un basso contenuto di energia ed un alto contenuto di forma. In quanto azione, essa nasce sia dall'intelletto che dal cuore e, quindi, va considerata sia dal versante emotivo che da quello razionale. Privilegiare l'uno o l'altro versante riduce la portata della comunicazione in termini sia di significatività che di efficacia.

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L'antropologo francese Levi Strauss distingue tre diversi tipi e campi di comunicazione: personale, dei sessi (la parentela)' dei beni e di servizi (l'economia)' "'dei messaggi"' (il linguaggio e gli altri tipi semiologici) [9]

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Oltre a quella, in qualche modo esistenziale, data all'inizio del capitolo, possiamo dare alla comunicazione una ulteriore valenza definitoria, che è duplice: essa è l'atto e l'effetto dello scambio di informazioni tra - come detto sopra - emittente e ricevente, che richiede un canale (che necessita di un mezzo trasmissivo: ad es. la voce) + un messaggio (che necessita di uno strumento linguistico). Essa, inoltre, nei suoi connotati essenziali, è rapporto di comprensione e partecipazione reciproche tra persone.

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Nella comunicazione non personale, cioè quella resa possibile attraverso i media - siano essi il testo a stampa, quello su supporto elettronico o le immagini televisive (anche se queste, proprio in quanto immagini, meritano un discorso a parte) - il medium prevale sulla pregnanza del contenuto e, in qualche modo, costituisce un filtro che non lascia passare tutto lo spessore, la profondità, la ricchezza d'intenzionalità del messaggio.

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Ciò avviene un pò meno attraverso il telefonò ma l'assenza di compresenza fisica si presta ad inganni: quanto può essere falsamente suadente una voce attraverso il filo telefonico, se manca la possibilità di cogliere i segnali, dati dalle altre modalità espressive della comunicazione!

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Tuttavia all'uomo è dato recuperare la sintonia con la profondità, con lo spessore del messaggio comunicato attraverso qualunque mezzo: basta che si dia il tempo della riflessione, cioè della capacità di mettersi in sintonia.

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I ritmi, a volte frenetici della simultaneità delle comunicazioni interattive che si vanno sviluppando con i nuovi media, non favoriscono il processo di recupero del significato profondo del testo che ci troviamo davanti.

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Ciò del resto avviene anche nei contatti umani occasionali, distratti, pieni di disattenzione, nei quali ognuno è "'preso"' dalla sua realtà e, spesso, anche nei rapporti professionali improntati ad efficientismo. Ben altra cosa è l'efficienza, la sola a tradursi in efficacia, che scaturisce da una azione consapevole, nella quale l'uomo è pienamente presente a se stesso e non proiettato in illusorie istanze di autoaffermazione.

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La simultaneità in termini di spazio e di tempo determinata dalle nuove tecnologie ci consente effettivamente un'esuberanza di informazioni; ma ciò non significa che esse arricchiscano la nostra conoscenza.

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Inoltre la rapidità indotta dai modelli comportamentali efficientisti ci introduce in un falso dinamismo che è solo fretta, "mancanza di tempo", a tutto scapito della qualità e profondità dei rapporti. A meno che non ci si dia il tempo della riflessione.
 

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