Capitolo VII

 

Comunicazione e formazione

Dopo aver passato in rassegna da più versanti la comunicazione come esigenza primaria dell’uomo, che viene espressa in molteplici forme e varietà di mezzi ed averne constatato il ruolo primario nell’interagire umano, desidero esplicitare l’importanza di una sana e, quindi, efficace comunicazione nelle attività formative a tutti i livelli, già individuate come "carta vincente" per evitare i rischi di degenerazione e per cogliere le opportunità offerte all’occupazione dalle nuove figure professionali emergenti per effetto delle applicazioni telematiche.

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Indicherò poi i principi e le modalità applicative dei potenziali informativi e formativi della comunicazione, perché se ne possa tenere conto con sempre maggiore consapevolezza in tutti i percorsi di specializzazione proposti soprattutto nei programmi di "formazione dei formatori".

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Sottolineo l’importanza della presenza in ambito scolare, in fasi il più possibile precoci, di insegnanti che siano anche buoni comunicatori (il che non è così scontato come potrebbe pensarsi), allo scopo di massimizzare gli effetti positivi di una comunicazione sana e, quindi feconda, fin dalla più tenera età.Questo non è mai stato considerato un problema. Oggi lo è, nella misura in cui l’alienazione ed il non senso hanno invaso anche la quotidianità del nostro vivere.

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Infatti, come subiamo gli effetti dell’inquinamento atmosferico da smog, altrettanto inquinati ed inquinanti sono molti dei nostri comportamenti  (29), a causa di difficoltà o blocchi comunicativi, che vanno ad incidere sui fanciulli, sugli adolescenti e sui giovani, che sono gli uomini di domani, senza tenere conto delle comunicazioni inquinate cui essi sono sottoposti da parte dei "media".

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È un atto estremamente responsabile intervenire proprio negli ambiti formativi che hanno una grande presa sui bimbi e sui giovani di oggi, uomini di domani

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Non a caso, oggi, in più ambiti di attività, l’"arte del comunicare" riveste un ruolo primario per valorizzare i requisiti di un buon livello di professionalità e se ne applicano i principi in seminari, convegni, gruppi di lavoro che favoriscono l’apprendimento e lo scambio reciproco di informazioni; il che, già di per sé favorisce la formazione, nel senso di crescita della persona, intesa nella sua globalità.

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Ciò che arricchisce a livello professionale o, viceversa, a livello personale, a seconda del diverso momento esperienziale vissuto, non può non riverberarsi in tutti gli aspetti della personalità e arricchire vitalmente tutti gli ambiti del nostro vivere.

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Non è un caso, neppure, che oggi in tutti i corsi di un certo livello di management, vengano utilizzate le più recenti conoscenze per apprendere o migliorare le proprie doti di leadership attraverso l’uso dei più appropriati strumenti comunicativi, spesso veri e propri accorgimenti comportamentali atti a creare particolari "climi" o tipi di reazioni di risposta nell’ambito del personale.

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L’uso strumentale che in questo caso viene fatto delle conoscenze sulla comunicazione, sulle sue modalità e sui corrispondenti effetti, che orienta la crescita del manager in un’unica direzione, quella del dominio sul contesto, sostanzialmente lo ingabbia in un ruolo e non gli consente, a meno che egli già non sia predisposto a ciò, la contestuale crescita armonica di tutte le altre componenti della sua personalità, che deve essere aperta a 360° gradi su tutti i momenti del vivere, senza focalizzare, specializzandolo in termini manipolatori, quello dell’attività e del ruolo professionale.

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È un rischio che non si correrebbe in un contesto attento all’uomo nella sua globalità e ad uno sviluppo armonico delle sue facoltà.
Un manager maturo in questo senso, autentico comunicatore e non solo addestrato a divenire "artista del comunicare" saprebbe certamente imprimere nel suo contesto tutte le giuste sollecitazioni e gli input per dinamizzarlo positivamente, armonizzare i ruoli e le responsabilità e promuovere l’efficacia operativa a tutti i livelli.

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Da non trascurare la riflessione che, in questo caso, non potrebbe non prodursi crescita autentica (e non soltanto efficienza produttiva) in tutti i componenti dello staff disposti a collaborare. I ritorni, in termini di produttività, ritengo siano scontati.

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Quanto appena detto vale a pieno titolo, fatte le debite trasposizioni di contesto, anche per gli insegnanti, in tutti i corsi di ogni ordine e grado, ai quali è affidato un ruolo primario, insieme alla famiglia, nella formazione.

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Gioca molto, nel processo di crescita instaurato dalla comunicazione, l’ottica da cui si parte, che sostanzialmente coincide con gli obiettivi: la strumentalizzazione o la promozione dell’"altro". Eccoci, come sempre, a misurarci con l’intenzionalità profonda che muove il nostro agire.

 

Principi e modalità informative e formative

Noi prendiamo coscienza di noi stessi, ci comprendiamo e comprendiamo gli altri proprio nell’esprimerci e, quindi, nel comunicare. L’uomo è essenzialmente espressivo; la sua realtà è espressività.

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Contrariamente a quanto comunemente si crede, la comunicazione può essere appresa. Lo psicologo americano Abraham Maslow ci ha fornito la cornice concettuale per capire in che modo impariamo qualsiasi cosa, compresa la comunicazione.

1. Incompetenza inconscia: non conosciamo quello che non sappiamo
   
Esempio: vogliamo imparare a guidare la macchina. Non ne abbiamo alcuna esperienza.

2. Incompetenza conscia: conosciamo quello che non sappiamo
   
Saliamo sulla macchina e cominciamo ad usare i comandi. Andiamo sicuramente
     a sbattere al primo o ad uno dei primi ostacoli.

3. Competenza conscia: agiamo su quello che non sappiamo
   
Andiamo a scuola di guida. Facciamo il nostro esercizio, ripetendolo con grande
     attenzione e sforzo consapevole per acquisire la capacità richiesta.

4. Competenza inconscia: non abbiamo bisogno di pensare se lo sappiamo
     La capacità diventa automatica a livello inconscio. Sappiamo guidare senza neppure
     pensarci. Corriamo agevolmente lungo le strade del mondo.

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Anche in campo comunicativo possiamo acquisire nuove capacità se vogliamo rendere più efficace e soddisfacente il nostro rapporto con gli altri e, quindi, anche con l’intera realtà. Dobbiamo comunque apprendere i principi di una buona comunicazione, non tanto per impadronirci di una "tecnica", quanto per acquisire quella consapevolezza che agevola la nostra capacita’ di comprendere e di esprimerci.

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Un buon comunicatore è innanzitutto una persona aperta; il che significa che è disponibile ad ascoltare, ma anche a comunicare, in realtà a comunicarsi, perché ciò che comunica è imprescindibile da sé stesso, dalla sua persona.

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In un contesto di apprendimento sulla comunicazione, la prima cosa che si impara a riconoscere è il proprio atteggiamento nei confronti delle situazioni che si vivono proprio in termini di apertura o chiusura e, corrispondentemente, si affina la propria capacità di individuare gli stessi atteggiamenti nei propri interlocutori per poterne saggiare le capacità ricettive, l’interesse o l’eventuale indisponibilità, che è sempre un segnale rivelatore per stimolare il tentativo di favorire l’apertura e la partecipazione nell’altro. Il risultato, però, è sempre strettamente legato alla sua inviolabile libertà.

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Ciò significa che io posso proporre, stimolare, promuovere, ma non pretendere una determinata risposta secondo i miei parametri, le mie vedute. Ecco, che la comunicazione è un discorso da costruire insieme, le cui fasi ulteriori si dispiegano in relazione alla libertà-dialogante degli interlocutori, secondo un processo dinamico di reciproca fecondazione.

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Estremamente rivelativo è l’ideogramma cinese che designa la comunicazione. Esso è complesso: è la risultante degli ideogrammi, che si integrano vicendevolmente, riferiti ai seguenti significati: orecchio (ascolto), occhi (vista), attenzione completa, cuore.

Molto eloquentemente, in mancanza di uno di questi elementi, non si dà comunicazione piena. Possiamo rimanere su un piano esclusivamente superficiale, sui vari piani estetico, intellettuale o affettivo; ma, per una comunicazione efficace, deve entrare in campo la totalità della persona, con l’attivazione cosciente di tutte le sue facoltà.

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Questo significa che non si può essere buoni comunicatori e, conseguentemente veri formatori, se non si è persone che hanno raggiunto l’integrazione e l’armonizzazione dei vari livelli del proprio essere, che non siano capaci di attenzione ed interesse (30)

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Oltre che nel contesto formativo, innegabilmente determinante non solo per la costruzione delle nuove generazioni, ma anche per la progressiva ed ulteriore crescita di ogni individuo a tutte le età, una comunicazione ottimale innesca ed alimenta un processo di formazione permanente, che riguarda ogni aspetto ed ogni momento della vita e coinvolge, quindi, non soltanto il mondo della scuola, ma tutti i "luoghi" di socializzazione e, quindi, di relazionamento.

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Quando si dà comunicazione ottimale, con C. Galimberti (31) non parliamo più di semplici emittenti e riceventi di messaggi secondo un modello lineare della comunicazione, ma di una azione comunicativa congiunta, recuperando tutta la pregnanza di significato del termine azione, come atto di chi pone in essere una realtà voluta e perseguita in piena consapevolezza e responsabilità.

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In questo caso l’atto comunicativo vede gli interlocutori in qualità di "co-enunciatori" della conversazione prodotta, che diviene un evento capace di indurre un cambiamento in entrambi e di determinare un processo dinamico di fecondazione reciproca, espressione della loro realtà familiare, di gruppo, organizzativa ed istituzionale.

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Recuperare questa valenza determinante della comunicazione nella costruzione e nella evoluzione della coscienza di sé e gestirla con sempre maggiore pienezza di essere è il modo più diretto ed efficace per indurre in ogni contesto vitale processi di dinamizzazione costruttiva capaci di neutralizzare i messaggi di degrado e di decostruzione presenti in maniera massiccia nella cultura del nostro tempo.

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Tuttavia, pur dandosi il fatto che - come sottolineato da Maslow - nell’arte del comunicare entra in campo il fattore apprendimento ed è giusto farne tesoro, se questo apprendimento non ha un’anima e non si sviluppa in un clima di attenzione e rispetto per ‘l’altro’, più che buoni comunicatori corriamo il rischio di diventare ottimi manipolatori.

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Indubbiamente le nuove tecnologie sono una fonte potenzialmente inesauribile di arricchimento intellettuale e presentano opportunità formative di una flessibilità senza precedenti, se vengono poste al servizio di una conoscenza aperta, complessa ed interdisciplinare e non di una struttura manipolatoria.

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Per questo è indispensabile un approccio socio-culturale sulle autostrade dell’Informazione, che privilegi l’interdipendenza complessa tra i piani tecnico, culturale e sociale e veda, accanto ai flussi di valori delle reti tecno-finanziarie, legate alla commercializzazione, la circolazione di altri flussi di valori basati su attività di servizio.

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Si tratta, in sostanza, di restituire il primato alla politica. Tra le ragioni citate da Domenico Fisichella (32) già nel 1990 a sostegno della sua affermazione "il paneconomicismo ferisce a morte la democrazia" vi è proprio la rivendicazione del primato dell’economia sulla politica. Si suppone infatti che chi dispone di grandi mezzi finanziari riesca di fatto a controllare quote rilevanti di potere politico sottraendosi ad ogni forma di controllo popolare. Il principale strumento di questo potere sarebbe costituito proprio dal controllo dei mezzi di comunicazione di massa.

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Da più parti viene il monito a considerare le conseguenze indesiderabili che uno sviluppo incontrollato e non sufficientemente "guidato" delle tecnologie dei mezzi multimediali e dell’Informazione in genere potrebbe provocare in un futuro non lontano sulla società [33]

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"Con uno sforzo intellettuale reso necessario e urgente dalla portata dei cambiamenti a cui assistiamo, cerchiamo di proiettarci nello scenario di fine millennio", evitando un catastrofismo millenaristico e guardando alle prospettive che si aprono "con realismo e freddezza, che sono le premesse - non le sole, ma importanti - della saggezza" [34]

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Focalizzando dapprima l’analisi sull’Europa - e sull’Italia - e partendo dal versante oggi più dibattuto, quello economico, che è comunque emblematico anche degli altri aspetti e settori della nostra realtà, si riconoscono "tendenze che potrebbero determinare una crescente debolezza dell’economia italiana all’interno di un’Europa a geometria variabile, o almeno a due velocità, con indicatori che mostrano come il Vecchio continente potrebbe configurarsi come un’area cedente, nel contesto dell’economia mondiale" [35]; il che dal piano dell’economia tende a travasarsi in tutti gli altri campi dell’agire umano, a tutti i livelli, senza escludere né le telecomunicazioni né la telematica in genere col risultato di coinvolgere anche tutti gli ulteriori sviluppi della Società dell’Informazione.

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Pur senza voler essere pessimisti, se l’evoluzione di cui parliamo dovesse necessariamente essere lineare come successione deterministica di cause ed effetti, priva di discontinuità e di emersione di fattori originali, è probabile che gli scenari che si configurebbero potrebbero essere quelli meno auspicabili.

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Tuttavia l’immutabilità degli scenari non è un dogma. Per fortuna (o provvidenzialmente), mutuando dalla fisica il "Principio di indeterminatezza" di Heisenberg, possiamo affermare che il dinamismo insito nei processi vitali e, quindi, anche nel processo evolutivo di cui ci occupiamo, permette l’emergere di fatti nuovi che modificano il ritmo e le scansioni dei cambiamenti.

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Dobbiamo quindi chiederci quali possono essere i fatti nuovi che, immessi nei processi analizzati finora, possono orientare in senso creativo e non strumentale i mutamenti ineludibili.

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La problematica in cui ci troviamo immersi implica una svolta radicale del nostro mondo, a cui non vogliamo assistere da spettatori passivi e consentire che il cambiamento passi sulle nostre teste subendolo o sentendolo come "obbligo di adattarsi all’evoluzione che si sta determinando".

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Nel testo citato questa affermazione viene fatta discendere dalla convinzione espressa da alcuni ambiti culturali che "è finito il tempo in cui i modelli di sviluppo potevano convivere malgrado le loro differenze profonde, quando le chiusure, le barriere materiali o immateriali, concedevano la possibilità di non cambiare" e che invece "nel tempo attuale, ogni unità territoriale, ogni paese, ogni sistema, ha la necessità di adattarsi con rapidità inedita alle trasformazioni del contesto" [36]
                                                                                                                                                                                         

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