La Chiesa e le Comunicazioni Sociali (i documenti)


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23.01.2010 - 44.ma Giornata Mondiale Comunicazioni Sociali
:: Messaggio di Benedetto XVI

:: ne parla Mons C. Maria Celli
:: Un commento dalla Rete
26.10.2009 - La Plenaria delle Comunicazioni sociali studia la nuova versione "Aetatis novae"
:: Discorso di Benedetto XVI
:: Editoriale di Padre Lombardi
29.09.2009 - 44.ma Giornata Mondiale Comunicazioni Sociali
:: Reso noto il tema
:: Ne parla Mons. Tighe
11.09.2009 - Fatima, Giornate Nazionali Comunicazioni Sociali
:: ne parla Padre Lombardi
23.01.2009 - Un sito interattivo per il dialogo della Chiesa con il mondo
:: ne parla Mons C. Maria Celli
20.01.09 Convegno della C.E.I. «Chiesa in rete 2.0»
:: Il primato della persona
23.01.2009
:: Il messaggio del Papa
:: Commento di Avvenire
29.09.2008 - 43.ma Giornata Mondiale Comunicazioni Sociali
::
Reso noto il tema
24.01.2008 - 42.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
:: Il messaggio del Papa

:: Intervento Mons. Tighe
27.05.07 - Bambini e violenza nei media
:: Videogiochi violenti, effetti negativi
27.05.07 - Comunicazione
:: Effetti positivi sulla globalizzazione
Il Papa ai responsabili dei media 24.05.07
:: Aprite ai bambini le porte della bellezza
17.03.07 - Internet e minori
:: Incontro in Vicariato
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali 05.03.07
:: Assemblea Plenaria 2007
:: Discorso del Papa
24.01.2007 - XLI Giornata delle Comunicazioni Sociali
:: Messaggio del Papa

:: commenti
15.01.2007 - Pronta la TV del Papa
:: Il punto del cambiamento
22.11.2006 - Media cristiani in Europa
:: Le cattedrali del XXI secolo
20.11.2006 - Comunicazione e cultura in Parrocchia
:: Corso C.E.I. sbarca sul Web
15.11.2006 - Gregoriana Convegno Internazionale su Cinema e Spiritualità - Foley
:: Silenzio da rompere
27.10.2006 - Dopo Verona
:: Costruttori di Ponti
10-12.10.2006 - Madrid Congresso Mondiale delle TV cattoliche
:: Saluto Mons. Foley
XLI Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali 2007
:: Reso noto il tema
29.09.2006 - Libertà religiosa e Mezzi di Comunicazione
:: Ginevra, Interviene l'Osservatore Vaticano
02.06.2006 - Il Papa agli 'Operatori dell'informazione' 
:: Siate costruttori di ponti
Responsabilità dei Media:
Il Papa, 17 marzo 2006
Media e pace nel mondo 
:: Dichiarazione di Lione
:: Intervento Mons. Foley
XL Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali 2006
:: Reso noto il tema
:: Discorso del Papa
20.09.2005 - "Inculturare la fede" attraverso i media
10.06.2005 - La Chiesa nella società digitale
6.6.2005 - Dovere per Chiesa: annunciare Dio in Internet
23.5.2005 - Il Dicastero per le Comunicazioni Sociali: reazione comune alla pornografia
8.5.2005 - 39a Giornata delle Comunicazioni sociali
:: Intervista con Mons Foley
Benedetto XVI: La sfida di comunicare attraverso i media
:: Responsabilità nell'uso
:: Benedetto XVI e i media
:: Testo del discorso
Giovanni Paolo II 24.02.05
«Il rapido sviluppo»
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:: Convegno Chiesa e media
Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali 2005
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:: Messaggio del Papa
Assemblea CEI 19.05.2004
Direttorio sulle comunicazioni sociali
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Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali 2004
:: Reso noto il tema 
:: Messaggio del Papa
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Vertice Mondiale della Società dell'Informazione
Intervento Mons. Foley
Dicembre 2003
XXXVII Giornata delle Comunicazioni Sociali
Giugno 2003
:: Messaggio del Papa
:: Riflessione di A. Rungi
«Parabole mediatiche»
Comunicazione e cultura Novembre 2002
:: Discorso del S. Padre
:: Prolusione Card. Ruini
:: Intervento J. Ratzinger
:: Intervento D. Boffo
:: Un'eco dalla stampa 
XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2002
Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo   
:: Il Volto di Cristo...
:: Etica e Internet
:: La Chiesa e Internet
Intervista a John Foley
2002
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali
Assemblea Plenaria  2002
XXXV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2001
"Predicatelo dai tetti"
XXXIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2000
"Annunciare Cristo dai mezzi di Comunicazione
Etica nelle comunicazioni sociali   2000
XXXIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1999
"Mass Media, presenza amica..."
XXXII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1998
"Sorretti dallo Spirito, comunicare la Speranza"
XXXI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1997
"Comunicare Gesù, Via, Verità, Vita"
Etica nella pubblicità 1997
XXX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1996
"I Media, moderno Aeropago per la promozione della donna"
Aetatis novae 1992
(Nell'approssimarsi di una nuova era...)

Criteri di collaborazione ecumenica e interreligiosa  1989

Comunicazioni sociali e promozione della pace - 1983
Messaggio per 17a giornata
Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione 1983
Una risposta pastorale
Famiglia e Comunicazioni sociali - Estratto dalla "Familiaris consortio" 1981
Giornata Comunicazioni sociali - 1976 
Discorso di Paolo VI
Giornata Comunicazioni sociali - 1974 
Discorso di Paolo VI
Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali - 1971
Collaborazione ecumenica nelle comunicazioni sociali
Communio et progressio
(la comunione e il progresso...) 1971
I Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1967
:: Messaggio di Paolo VI
In fructibus multis - 1964
"Motu proprio" di Istituzione Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali
Inter mirifica  - 1963
(Tra le meravigliose invenzioni tecniche...)
Miranda prorsus - 1957
(Le meravigliose invenzioni...)
Vigilanti cura - 1936
(Nel seguire con occhio vigile....)

 

 

 

 

Conferenza Episcopale Italiana
Commissione per la Cultura e le Comunicazioni Sociali
Ufficio nazionale per le Comunicazioni Sociali
Servizio nazionale per il progetto culturale


INTERVENTO DI DINO BOFFO 

PARABOLE MEMORABILI? Per quali motivi un incontro diventa memorabile, e un altro invece cade nell’oblio all’indomani della sua celebrazione? Perché un convegno sa segnare uno scarto, uno spartiacque - lo stato delle cose prima del convegno, e dopo - e un altro non lascia traccia alcuna, se non un tanto ponderoso quanto poco memorabile volume di atti? Il primo tipo di incontri fa emergere un elemento di novità; tocca in qualche modo la coscienza e l’intelligenza di chi vi partecipa, e anche di chi lo segue, pur da casa, tramite giornali, radio, tv ed Internet; mette in moto insomma delle energie; determina un cambiamento. Il secondo invece non ci riesce.

La mia speranza, credo la nostra comune speranza, è che questo possa essere un convegno del primo tipo. E che da oggi si possa pensare a Parabole mediatiche come all’appuntamento della svolta. Ne abbiamo bisogno. Eccome. Oltre, dunque, le chiacchiere rituali, i luoghi comuni, l’enfasi retorica, l’autocelebrazione un po’ consolatoria e un po’ narcisistica.

FATALE ILLUSIONE. A proposito di luoghi comuni, vorrei sfatarne subito uno. Il problema del rapporto mass-media e Chiesa si risolve moltiplicando gli strumenti - i media, appunto - per noi disponibili, o abbandonandosi con impeto neofita all’ultimo strumento che si affaccia sul proscenio. Come se il problema della comunicazione si risolvesse solo gridando più forte, o dotandosi di una voce più sofisticata. Più strumenti non comportano, per automatismo magico, più comunicazione. Tanti, tantissimi siti Internet non risolvono il problema Internet. Oggi aprire un sito è facilissimo. È molto più facile che installare una radio privata; e negli anni Settanta molti di noi pensavano, analogamente, che il problema dell’emittenza radiofonica libera si risolvesse occupando più frequenze. Che sono certo condizione indispensabile. Ma per comunicare che cosa? Per suonare quale spartito? O fare il verso a chi? Concretamente, chi ci sta ad ascoltare? Chi visita i nostri siti? E perché li abbiamo costruiti?

Negli stessi anni Settanta una gran massa di italiani trasmigrava verso le radio private. Oggi una massa non altrettanto imponente, ma comunque significativa di italiani naviga a vele spiegate sulle rotte del web. Perché lo fa? Che cosa cerca? E da noi che cosa vuole? Disponiamo di svariati media. Ma la sensazione che si dà talora è di essere poco più che coreografici, se non addirittura afoni.

MISERABILI E PIONIERI. Illusioni, dunque, oltre che luoghi comuni. “Italiani & Media, il secondo rapporto sulla comunicazione”, pubblicato dal Censis insieme all’Ucsi appena due settimane fa, rivela che un italiano su due non utilizza abitualmente alcun medium salvo la televisione. Il rapporto li definisce efficacemente “marginali” o “poveri”, e sono la grande maggioranza. Un italiano su due non legge, se non del tutto saltuariamente; non acquista né possiede libri, se non i testi scolastici dei figli, se ha figli. I “pionieri”, che usano tutti i media e anzi dedicano ai quotidiani e alla radio più tempo che alla tv, sono appena un milione, il 2.3 per cento della popolazione: un’élite di studenti e professionisti, laureati e diplomati al di sotto dei 45 anni. Una ”élite” di specializzati oppure semplicemente di intellettuali a tal punto consapevoli da rischiare un distacco sovrano rispetto all’indigenza di molti. Si ritiene che le coordinate culturali classiche resistano. Non ci si rende conto invece che sono ormai solo inerziali. E che la popolazione si trova per lo più in un altra orbita.

Ma la gente “nostra” dov’è, dove si colloca? I fedeli, il popolo delle parrocchie ma anche delle aggregazioni laicali, non sono poi in recinti separati, né li ritroviamo in statistiche speciali. Oso affermare che neanche i nostri parroci riservano chissà quale sorpresa. E anzi, il sovraccarico di lavoro per lo più li induce - loro fortuna - a disertare il video. Con il rischio purtroppo collegato di una sottovalutazione pratica circa la ricaduta concreta dei media sulla coscienza del pubblico. Prioritario così, a volte, finisce con l’essere invece l’orario delle riunioni. Un assillo, magari camuffato, garantire il colore in ogni pagina del proprio bollettino parrocchiale con splendido apparato fotografico, magari a soggetto fisso. Per il resto “non c’è tempo”, anche se questo implica restare ai margini dei processi mentali più praticati. Salvo poi domandarsi, con un carico anche angoscioso: ma perché è così difficile oggi educare, formare, “tirar su” cristiani adeguati a questo tempo? Perché è più difficile di ieri incidere sul proprio territorio, su quel reticolo umano e sociale che pur è stato visto dispiegarsi e crescere? Salvo ancora restare attoniti dinanzi alle tragedie che accadono proprio nell’Italia della provincia, tra la gente che si conosce e dalla quale “mai ci si aspetterebbe…”. Già, questo è il punto. Anzi, il sintomo.

TUTTI SULLE SPALLE DI ENEA. Il problema, scarsamente avvertito all’interno delle nostre comunità, è che siamo già tutti - proprio tutti - sulle spalle dell’Enea mediatico, ossia che - consapevoli o meno - viviamo tutti in simbiosi con i media. Diceva il cardinale Ruini nell’introduzione al convegno: essi, “i media, costituiscono ormai una condizione della stessa esistenza umana, fanno cultura per il semplice fatto di esserci e di essere diventati componente ordinaria della vita sociale”. Sono - in altre parole - decisivi nella formazione della mentalità corrente, nel dettare modelli di pensiero e di comportamento. La “cultura pubblica” - cioè lo stampo sul quale tende a formarsi la mentalità individuale - si sagoma sul tornio di un palinsesto che è un combinato di programmazione televisiva miscelata dallo zapping, pubblicità subita senza filtri, un po’ di radio e di carta stampata consumata in modo sempre più anomalo rispetto al timone redazionale, il tutto inserito in un contesto spettacolare-giocoso che oltre a banalizzare qualsiasi contenuto sembra imporsi come il codice trionfante dell’era ipermediale. Ne esce singolarmente confermata la storica profezia del massmediologo americano Neil Postman: la società dei media altro non fa che proporre di “divertirsi da morire’”. Attenzione, non sto già parlando dei contenuti dei media, o dei messaggi. Ma dei mezzi di comunicazione in sé. Vorrei essere più esplicito possibile, a costo di urtare qualche suscettibilità. Sento dire non raramente che il medium (e s’intende di solito la tv) è neutro, tutto dipende da quello che vi infilano dentro. E dunque il problema si ridurrebbe alla qualità dei programmi, quello di Internet alla qualità dei siti, e così via. Vorrei naturalmente che fosse vero: sarebbe tutto più semplice. Ricordo qui le parole di Giovanni Cesareo, nell’Introduzione all’edizione dell’86 del classico Gli strumenti del comunicare (tit. or. Understanding Media, 1964), che così spiega il famoso, e abusato, motto di McLuhan, il medium è il messaggio: «Affermando che l’”uso” del medium “non conta”, McLuhan intendeva indicare, con il massimo di carica provocatoria, che gli “idioti tecnologici” non riuscivano a capire quanto ampio, pesante e determinato fosse l’impatto dei diversi media nel condizionare la concezione del mondo e l’organizzazione dei rapporti tra gli uomini già a monte dei “messaggi” che essi potevano veicolare. Si trattava, dunque, della smentita più radicale a una presunta neutralità dei media (…). Il medium è ben più d’un semplice canale».

I MASS-MEDIA, LA NOSTRA ARIA. I mass-media cioè non sono semplici “mezzi”, freddi “strumenti” che asetticamente veicolano i messaggi, o fanno scorrere contenuti: e questi solamente conterebbero, per contrastare i quali bastano dei contenuti di segno opposto. Non è propriamente così. I mass-media sono bocche di fuoco che già fanno ambiente, che già determinano l’aria che respiriamo, l’acqua in cui nuotiamo, l’universo che abitiamo. Sono loro, strutturalmente - questo stava a cuore a McLuhan, la struttura dei singoli media, da comprendere e disvelare per un uso, o un rifiuto, consapevoli - i principali ispiratori della modernità. Impossibile oggi comprendere il mondo e i nostri simili a prescindere da una comprensione profonda dei mass-media. E questo basterebbe per renderci inquieti. Come possiamo appellarci al giacimento religioso-cattolico, che è in dotazione della nostra coscienza collettiva, quando i media per natura loro intrinseca procedono per impressioni e non attraverso accumulo? Che risultato dà puntare sull’interiorità quando le nostre strutture cognitive sono tutte proiettate verso l’esterno? Ha ancora valore il procedimento logico-progressivo in cui è cresciuta la generazione precedente la mia, se le pulsioni a cui si è soggetti modificano l’organizzazione del sapere? Se la ritenzione dei significati e del proprio punto di vista è inesorabilmente sfidata e fatalmente infiacchita? Come possiamo toccare il cuore - individuato non come centrale emotiva ma essenza stessa dell’intendimento - di uomini e donne sempre più disabituati a pensare in proprio, a declinare concetti, a sostenere percorsi mentali minimamente complessi? Se il getto di adrenalina ha fatalmente sostituito la traccia a lungo termine? Che cosa significa per noi, in ultima analisi, quel “conoscere bene il mondo contemporaneo” raccomandato vivamente dal Concilio (cfr.A.A.29b), e quel saperci porre continuamente “al livello della cultura” della società in cui viviamo, la quale inesorabilmente evolve e non sempre per linee razionali e prevedibili?

MODERNITÀ LIQUIDA. Ma che tipo di società è la nostra? Zygmunt Bauman, che abbiamo ascoltato giovedì pomeriggio, parla di modernità liquida. Nulla è durevole e tutto deve cambiare; i modelli sono tanti, innumerevoli, tutti sullo stesso piano e in contrasto tra loro, con il risultato che nessuno ha reale autorità né potere coercitivo. Non ci sono più strutture date una volta per sempre. Bisogna cambiare, questo è l’imperativo. E avverte: «Ribaltando una tradizione millenaria, oggi sono i ricchi e potenti a odiare tutto quanto è durevole e a cercare il transitorio, mentre i più poveri si aggrappano a quel po’ che posseggono e tentano disperatamente e contro tutte le avversità di farlo durare il più a lungo possibile» (Modernità liquida, Laterza, 2002, pag. XXI). La coscienza non sopporta né confini segnati né posti di frontiera. Qualsiasi rete densa e fitta di legami sociali, e in particolare una rete profondamente legata al territorio (pensiamo alla famiglia e alle comunità ecclesiali), rappresenta un ostacolo, dunque va sminuita, resa irrilevante. Modernità liquida, dicevamo, o “modernità in polvere”, secondo la definizione che ne dà l’antropologo indo-americano Arjun Appadurai. I mass-media non si limitano a rappresentare la società neo-moderna. La sostengono, la alimentano. Per il filosofo tedesco Hans Magnus Enzensberger la neo-tv che nulla dice perché nulla vuole dire, non porta a termine alcun discorso perché non intende andare da alcuna parte, la tv il cui fine è la tv stessa, il cui scopo è insito in sé. Farsi guardare, null’altro che farsi guardare. Il più a lungo possibile. Da più gente possibile (la dittatura dell’audience!). La neo-tv è la tv del flusso continuo, che mai s’interrompe e mira a non farsi abbandonare mai; è la tv che non racconta la realtà ma la costruisce, rappresentando se stessa in infiniti fotogrammi dove gente di tv invita e celebra altra gente di tv, dove i programmi tv diventano notizie del tg; è la tv del talk-show, in cui i dibattiti ruotano su se stessi senza sviluppo, dove un’opinione vale l’altra, un ospite vale l’altro in una gigantesca marmellata che finisce - ahìnoi - per travolgere anche gli ospiti più qualificati, mossi dalle più nobili intenzioni. Nessuno caccia i preti dalla neo-tv, purché accettino le regole della neo-tv e si accomodino di fianco alla fattucchiera, al transessuale e all’opinionista “zero”, oppure si releghino agli estremi margini del palinsesto. Nessuno oggi intende escluderci in modo esplicito; specie se portiamo l’abito, che fa tanto colore, possiamo restare, purché ci uniformiamo alle regole e non pretendiamo di segnare eccezione. Vespa in questo non è diverso da Costanzo. Questa tv è la rappresentazione fedele della modernità liquida. Ma ogni medium tende a farsi liquido. Liquidissimo è Internet, mutevole e ibrido, qui la scienza più alta coabita, senza distinzione alcuna ma affidandosi unicamente al fiuto, alla sagacia, all’esperienza del navigante, accanto alla cialtroneria più bassa, in una sorta di brodo primordiale in perenne cambiamento, dove il valore principe è la velocità, altra icona della neo-modernità: non importa dove tu vada, basta che ci vada velocemente.

POSTAZIONE DI RISCATTO. È evidente che la Chiesa non può coabitare tranquillissimamente nella neo-modernità, mostrandosi indifferente o rassegnata di fronte alle sue provocazioni. D’altra parte, in quale clima culturale si è mai accasata pacificamente, nella sua storia bimillenaria? In nessuno. E sua capacità è stata quella non di contrapporre una cultura propria a una cultura “altra”; un suo mondo preconfezionato ad altri “mondi” in continuo allestimento; ma possibilmente di trasformare e riscattare. E questo fin dai primi secoli cristiani, nei confronti della classicità. Del resto, come non ricordare le parole dell’Evangelii Nuntiandi? «Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità e, con suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa (…). Lo scopo dell’evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore (…), raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (nn. 18-19). Dunque, stare dentro il processo con una sua propria attitudine reattiva. Oggi, poi, c’è un motivo in più - secondo me - per stare dentro ai meccanismi che concorrono al formarsi della cultura pubblica. Se assistiamo a uno spegnimento progressivo del pensiero critico-personale, è anche vero che la parola umana per effetto dei media elettronici è tornata ad essere di nuovo pubblica. Avverte Derrick de Kerckhove: «La maggior parte delle informazioni viene trattata non più nell’isolamento della coscienza privata e neppure nell’interazione dei lettori con il testo, ma in piena luce dai media elettronici, dalla radio e dalla televisione». Ecco, a me pare che sia questo scenario a cielo aperto, questo laboratorio di calchi nuovi che però non conosce pareti chiuse, a costituire la sfida più interessante. Partecipare dal di dentro all’elaborazione del “cosciente collettivo”, delle “linee di pensiero”, delle “fonti ispiratrici”, dei “modelli di vita” forniti appunto dai mass-media, prima forza d’urto della neo-modernità. Quei mass-media che sono presenti e comunicanti, e seducenti: qui nasce e va combattuta la sfida. Tenendo conto peraltro che è proprio di questa cultura non accettare assolutismi interpretativi, che c’è sempre un margine, un’intercapedine, un retro-pensiero su cui far leva. Non si hanno cioè chiavi di lettura totalizzanti ed esclusive. Esiste e molto probabilmente esisterà sempre una - chiamiamola - riserva antropologica, un di più nell’uomo che gli consente varie e imprevedibili capacità di reazione e metabolizzazione. Anche per questo noi rimaniamo ottimisti.

EMERGENZA CHE CI RIMODELLA. Le emergenze però si affrontano. Senza paraocchi o mistificazioni. E le si affronta tutti insieme, comunitariamente. I cirenei sono necessari, ma non bastano. Diventano patetici se li si lascia soli ad oltranza. Se è vero quanto affermava ancora nell’introduzione all’incontro il presidente della Cei, ossia che le forme tradizionali di trasmissione della fede devono «nelle loro modalità espressive tenere sempre più presente l’influenza della cultura mediatica» e che questo implica «una nuova capacità di gestire l’impegno pastorale quotidiano», beh, allora ci troviamo piazzati al centro del problema. Che poi è il punto cruciale indicato dagli Orientamenti pastorali per questo decennio impegnato non a caso sulla comunicazione.

Non vorrei semplificare troppo, ma colgo in particolare due linee di intervento. Quella degli strumenti e quella degli animatori. Di mezzi - grazie a Dio - ne disponiamo in abbondanza. È uno dei settori in cui più abbiamo ricevuto dal passato, dove maggiore è stato lo sforzo di rinnovamento, e dove più significativo è stato l’impegno di innovazione e di messa in campo di modalità nuove. Occorre semmai chiederci se abbiamo compreso il senso del loro esserci, non certo per sfizio di qualcuno. Cioè il loro valore “strumentale” di accompagnatori-amici ad hoc ogni giorno pensati, e per questo critici, per questo liberi, per questo preoccupati più di spettinarci che di accarezzarci, di non dar mai tregua nel farci allungare lo sguardo, nell’indurci a vedere continuamente l’altra faccia dei problemi ma anche l’altra parte della vita, nel cogliere innanzitutto la cifra umana delle situazioni, nell’istillare la voglia di capire (non di galleggiare), di smascherare i trucchi del circo massmediale, di smontare la tv opulenta e truffaldina, di non ingurgitare alcunché ad occhi chiusi. E occorre, arrivati a questo punto, chiederci perché resiste - e come resiste! - una sottovalutazione pratica attorno a questi strumenti. Certo scetticismo, certa freddezza. Sicuramente non sono perfetti, ogni giorno vanno migliorati. Ma questo non è forse vero per tutti i media? C’è talora un calloso pregiudizio anche in istituzioni prestigiose e saputelle della nostra area, un atteggiamento inspiegabile che è, esso sì, un’ostinazione anti-culturale. Come se indipendenza di giudizio e professionalità fossero - per principio - reperibili solo in imprese editoriali altre da noi. Ingenuità a quintali, e una remissività che tracima in un autolesionismo persino commuovente. Perché - ci chiediamo - i nostri media rischiano a tutt’oggi di essere stimati più all’esterno che all’interno della comunità? Sopravvivono forse - cerco di arguire - i tic della “cristianità”, quando per giustificare a noi stessi di essere potenti sentivamo il bisogno di autoconficcarci le frecce altrui. Perché - chiedo ancora - i nostri media servono più per far sapere agli altri, agli ambienti laici e laicisti quel che si pensa nella Chiesa, piuttosto che rinforzare nei cattolici l’originalità del loro punto di vista e l’abilità a dar conto della speranza e delle ragioni che avvertono vere e utili circa i problemi all’ordine del giorno? Certo, questi nostri strumenti, assolutamente sempre perfettibili, danno una mano non piccola al Paese raccontando quel che spesso sarebbe altrimenti taciuto, e ricordando che il pluralismo per essere tale ha bisogno di una concreta e scomoda pluralità di voci. Il conformismo non fa democrazia.

UN NUOVO PROFILO PASTORALE. Che cosa i nostri ambienti dovrebbero comprendere, e ancora non hanno compreso, o almeno non abbastanza? Non comprendono, per esempio, che perché ci sia sui media una consapevolezza diffusa, occorre che ogni comunità abbia i propri animatori della cultura e della comunicazione. Analogamente a chi - come la Caritas e la San Vincenzo e altri… - richiama l’intera comunità al dovere di servire i poveri, ovunque si trovino; come chi, da animatore della liturgia, aiuta l’intera comunità a vivere in modo forte e ricco la liturgia; e come chi, da educatore, interpreta in modo forte un ruolo che a tutti appartiene, in quanto genitori o semplicemente adulti battezzati; ebbene, questo nuovo profilo pastorale inviterà l’intera comunità al dovere, e speriamo al piacere (sì, divertirsi anche con una buona dose di ironia), di stare dentro a questa cultura per contribuirvi, e - Dio lo voglia - per segnarla. Per invitare a una valorizzazione critica, intelligente, abile dei mass-media. A non finire mai rimorchiati quanto a idee e punti di vista. A essere informati sui media cristianamente ispirati, conoscerne la logica e la proposta, gli indirizzi e le frequenze, i costi e le potenzialità. Dicono a denti stretti gli esperti del marketing di settore: se i cattolici sapessero le potenzialità che hanno, la risorsa che costituisce la loro rete di presenza capillare sul territorio, se sapessero cosa significa poter contare su un reticolo di sportelli esclusivamente dedicati sull’intero territorio nazionale, se decidessero di saperlo e volessero sfruttare questa chance, allora sì… Già. Allora sì. Peccato che abbiamo perso la coscienza che al bene va preparata la strada, vanno costruiti i canali e gli stessi vanno ripuliti da quel che li ostruisce, va imbandita la tavola, va inscenata e ingentilita l’offerta. Insomma c’è bisogno di sottrarre alibi alla trascuratezza e superficialità altrui, e c’è bisogno di chi fecondi questa volontà di bene col proprio impegno personale, col proprio volontariato nascosto, con la propria umile fierezza, la propria disinibita gioiosa dedizione.

AD OCCHI APERTI. Nella società neo-moderna è possibile inserire alcune antitossine capaci di ridimensionarne il potere sulle coscienze, restituendo libertà, autonomia, responsabilità agli uomini e alle donne del nostro tempo. Noi giornalisti, scrittori, autori radiofonici e televisivi, “architetti” del web, operatori culturali, noi tutti fedeli che desideriamo vivere una vita consapevole, e vorremmo essere amici di Dio all’altezza di questi tempi difficili e affascinanti, noi tutti avvertiamo nitida una grande responsabilità. Non intendiamo allontanarla da noi, ma farcene carico. Da oggi in avanti, da Parabole mediatiche in poi, vorremmo che la Chiesa italiana non fosse più la stessa. Una vertigine la cogliesse. Per far finire le timidezze e le assenze come pure certe permalosità e arroganze, figlie tutte, con esiti opposti, della stesso senso di inadeguatezza, della stessa paura. Fine delle omissioni, inizio delle trasmissioni. Inizio, sì, di una stagione a occhi aperti e cuore spalancato.


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