Giov 10,1

«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.»

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Inquietante scelta pittorica

 

A proposito della inaugurazione della Domus Galileae, ricordate le polemiche sulla croce rovesciata nello schienale del seggio del Papa e la grande icona del Cristo col volto di Kiko che campeggiava in quella come in altre occasioni di megaraduni NC? Notate come rendeva ancor più minuta la figura del Santo Padre, e ci fa sorgere il dubbio se davvero riconducesse l'attenzione al Cristo vero che egli rappresenta in terra?

Abbiamo visitato la URL sulle icone del cammino e abbiamo scoperto qualcosa che non conoscevamo. Davvero si nota - e la si potrebbe definire ossessiva - l' insistenza dell'artista a raffigurarsi in tutte le icone dove c'è l'immagine di Cristo. Anche i pittori del passato sceglievano modelli umani per le loro opere di ispirazione religiosa, ma non ci sembra questo il caso.

Noi vi denotiamo una sorta di auto-esaltazione che purtroppo sfugge a quanti, plagiati, pendono dalle sue labbra e dalle sue direttive... E ancora una volta ci meravigliamo dei sacerdoti e ci scopriamo un po' "iconoclasti".

andate-evangelizzate.jpg (44675 byte)
Non vi sembra un messaggio subliminale questo presentare il proprio volto al posto di quello di Cristo nel dipinto che si trova nella Parrocchia di S. Francesca Cabrini in Roma? Notate la grande scritta nel libro che regge: "andate ed evangelizzate io sono con voi". Essendoci l'immagine del volto di Kiko, al posto di quello di Cristo, l'ambiguità, se non vogliamo chiamarla proprio profanazione, che poi provoca il 'culto della personalità' in animi fragili e plagiati, ci sembra più che evidente oltre che inquietante e non più ignorabile dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
Clicca sull'immagine per ingrandirla    --->

 

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Guardate anche quest'altra immagine. (Cliccate per ingrandire)

 

Questa l'icona più recente, che domina il presbiterio e la "Corona misterica" nella Chiesa di S. Giovanni Battista a Perugia
(anche in questa il canone iconografico non è rispettato in uno dei particolari più significativi: manca la croce nell'aureola del Cristo)


 

Al fine di non passare per persone che hanno le traveggole, vi invitiamo ad osservare il volto di Kiko in questa foto

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Analoghe osservazioni abbiamo espresso in ordine alla  "Trinità di Kiko"



Anche il 'Buon Pastore' ha  il volto del capo dei neocatecumenali. 


Anche in questa immagine scorgiamo il volto dell'iniziatore dei neocatecumeni. Non solo, ma le scritte 'Maria' - Kiko' sono chiaramente vergate nella parte superiore del dipinto...

 

Citiamo da: Spidlik pagina 256 "Teologia pastorale (a partire dalla bellezza)" di Spidlik-Rupnik (e altri), due gesuiti esperti del mondo cristiano orientale. Ed. "LIPA", 2005
"Cristo incarnato è la bellezza suprema... Le applicazioni di questo principio sono numerose. ...Nell'iconografia, la diafanità delle icone fa elevare lo spirito dal tipo (immagine materiale) al prototipo (il santo rappresentato) fino all'archetipo (Cristo)."

L'icona è una finestra sulla Gerusalemme del cielo. In fondo alla pagina abbiamo inserito un'ampia esposizione dell'origine, del significato e dei canoni delle icone.

Dunque, Kiko dipinge se stesso in un'icona di Cristo: se Kiko si ritiene un santo (immagine di Cristo) è tipo e prototipo; ma qui non si tratta di un'icona di un santo, ma di quella di Cristo, dove Cristo è archetipo e prototipo. In un'icona ci sembra quantomeno irrispettoso ritrarre se stessi nelle sembianze di Cristo, tanto che molti iconografi si sono rifatti al volto di Cristo acheropita, cioè non dipinto da mano umana, tipo il 'Mandylion' o il volto della Sindone, ma mai al proprio volto!! 

In questo modo Kiko sarebbe tipo, prototipo ed archetipo, in lui si realizzerebbe la promessa, è lui che conduce il CNC nella terra promessa, nella Galilea delle genti.

 

Il testo sottostante, che tratta delle origini e dei significati delle icone, parla anche dei 'canoni' rigorosi della loro composizione, tra i quali descrive con dovizia di particolari l'aureola nelle icone del Salvatore, che porta sempre dipinta una croce.

Il Pantocrator di Kiko ha la croce nell'aureola? Noi non la vediamo.

Citiamo un'affermazione di un nostro interlocutore neocatecumenale: “Dite bene che è prassi comune scegliere soggetti umani per raffigurare personaggi iconografici, ma ancora di più raffigurare parte di se stessi, o involontariamente riprodursi nei tratti somatici generali.”

NON È VERO! In occidente è accaduto per qualche santo forse e magari anche per la Madonna, forse per Cristo (in qualche tela rinascimentale): ma in Oriente, non può accadere, proprio a causa dell'essenza stessa dell'icona. E le icone, si sa, non sono dei quadri... (documentarsi sul testo sottostante)

Riportiamo alcuni brani di un'intervista recentemente rilasciata da Kiko in occasione della sua ultima opera: la "corona misterica" dipinta a Perugia:

“Io voglio che si ritorni al canone, ma proponendo su questo canone tutte le scoperte d’occidente, Picasso, Braque, Matisse. Per esempio io salto la prospettiva, uso solo le due dimensioni, perché è tutto più astratto, e nei miei lavori c’è tutto un cromatismo di colori caldi e freddi e colori complementari”. 

Quindi lo afferma lui stesso: è un ritorno all'antico canone, ma a modo suo

Quindi la scelta di dipingere con l’antico canone delle icone è una scelta anche di evangelizzazione?
“Esatto. Fondamentalmente è di imitazione. Io non sto imitando me stesso come artista! Io sono l’iniziatore del cammino neocatecumenale, apriamo nelle parrocchie un cammino di iniziazione cristiana serio, dove la gente vive la sua fede con una comunità come i primi cristiani. Ecco, nel momento in cui appare un cristianesimo più adulto abbiamo bisogno anche di un’espressione culturale, artistica”.

Quindi questo suo modo di dipingere le icone non è che l'espressione culturale e artistica del cammino neocatecumenale. Dov'è il rispetto, l'aggancio agli antichi canoni iconografici? Dalla chiesa d'oriente non ha preso la spiritualità o, meglio, temiamo abbia attinto alla corrente 'sofiologica' da cui deriva anche l'ispirazione per la sua 'nuova estetica',  con la quale pensa di salvare la Chiesa, e sulla quale ci soffermeremo in un'altra pagina...

Che dire di quest'altra a dir poco inquietante immagine, che questa volta non mostra somiglianze col pittore?
Notiamo alcuni elementi molto ambigui:
1. gli occhi del bambino e le sue vesti nere
2. benedice con la mano sinistra e sembra più un segno di vittoria che di benedizione
3. La lettera RO del Crismon (il monogramma di Cristo sulla testa del bambino non sembra una 'vera' RO
4. la scritta sul testo che tiene in braccio: potrebbe essere AM, Ave Maria; ma nell'iconografia cristiana Gesù è indicato come l'Alfa e l'Omega, il primo e l'ultimo della Creazione e della Storia umana e della Salvezza e quella strana M sembra più un'Omega rovesciata...

Il VII Concilio Ecumenico esige dai pittori di icone, durante il processo di pittura dell'immagine, di seguire strettamente i canoni dell'iconografia. Questi canoni iconografici regolamentano sia il carattere, sia il modo di rappresentazione delle scene religiose e delle persone dei santi. Questo si spiega con il fatto che le icone sono portatrici e conservatrici della tradizione ecclesiale. Per questo l'infrazione del canone iconografico è la deformazione della tradizione, la caduta in eresia.

La Chiesa continuerà a tacere anche su questo scempio?

 

Cenni d'interesse sulle 'vere' icone

Le icone non possono essere comparate con altre opere d'arte nel senso comune della parola. Le icone non sono dei quadri. I quadri, con i loro lineamenti e il loro colore, narrano degli uomini e degli avvenimenti della realtà concreta. Iniziando dal Rinascimento, la vita e la natura sono espresse sui quadri con immagini tridimensionali, con immagini che raccontano il mondo degli uomini, degli animali, della natura e delle cose. Ed anche se il tema è preso dalla mitologia, esso è tradotto nel linguaggio delle immagini terrestri.

La pittura degli impressionisti e l'arte astratta sono invece chiamate ad esprimere le emozioni del pittore, emozioni che cambiano e mutano le proporzioni degli avvenimenti e delle cose e i rapporti del colore tra loro, deformano le cose fino a non essere più riconoscibili oppure prescindono del tutto dalle immagini delle cose. Però, anche in questo caso, i vari esperimenti nel colorito e nel modellato non portano gli spettatori in un altro mondo, in un altro spazio e tempo, in valori diversi.

Cristo Pantocratore. Monte Sinai. VI s.Questa missione nella storia della cultura umana è toccata in sorte alle icone. Le icone non raffigurano, ma propriamente costituiscono l'altro mondo. Lo costituiscono con degli speciali mezzi di raffigurazione, trovati nel corso di molti secoli.
Anche il colore nelle icone gioca un ruolo rilevante: quello di un linguaggio simbolico, che dovrebbe esprimere non il colore delle cose, bensì la luminosità delle cose e dei volti umani, illuminati da una luce, la cui fonte si trova al di fuori del nostro mondo fisico. I passaggi dorati nelle icone incarnano questa luce non terrestre, e lo sfondo dorato simboleggia lo spazio "non di questo mondo". Nelle icone non ci sono chiaroscuri. Nel regno di Dio tutto è pieno di luce.
Le icone non possono neanche essere esaminate come i quadri. In esse non soltanto non si trova il solito spazio, ma neppure ci sono gli avvenimenti legati con i naturali rapporti di causa-effetto. L'icona è una finestra verso il mondo di un'altra natura, però questa finestra è aperta soltanto per quelli che hanno la vista spirituale.
Per potersi avvicinare alla comprensione delle icone, bisogna vederle con gli occhi di un credente, per il quale Dio è una realtà indiscutibile. Una realtà onnipresente, sottostante ad ogni avvenimento, un invisibile spettatore e giudice, dal cui sguardo non ci si può nascondere mai e da nessuna parte.
I canoni e i metodi di creazione delle icone si sono formati nel corso di molti secoli, ancora prima che la Rus' antica fosse coinvolta in essi. Le tradizioni dell'iconografia sono arrivate nella Rus' antica con l'accoglienza del cristianesimo da Bisanzio verso la fine del X secolo.
L'arte di Bisanzio di quel tempo aveva un carattere religioso e si sottometteva a canoni severi. 

Uno dei più autorevoli difensori della venerazione delle icone è stato Giovanni Damasceno (675-750 circa), grande teologo e politico; i suoi argomenti hanno influenzato le decisioni del VII Concilio Ecumenico. Giovanni Damasceno insegnava che l'interdizione dell'Antico Testamento di fare immagini di Dio, aveva un carattere temporale: "Nell'antichità nessuno faceva immagini di Dio. Adesso però, dopo che Dio si è manifestato nella carne ed è vissuto in mezzo agli uomini, noi facciamo immagini del Dio visibile. Non faccio l'immagine della Divinità invisibile, faccio l'immagine del corpo di Dio che ho visto...". Giovanni Damasceno scriveva che Dio è venuto per gli uomini nel suo Figlio Gesù Cristo, il quale entra nel mondo degli uomini e accoglie il corpo umano: "perché abbiamo bisogno di quello che è simile a noi".

Il visibile non trasmette l'essenza del Dio incomprensibile. Ma come il corpo ha la sua ombra, così anche ogni originale ha la sua copia, "icona è ricordo". E come la Sacra Scrittura è una rappresentazione verbale, un'immagine della storia sacra, così anche le icone sono una sua rappresentazione, però non verbale, bensì fatta con i tocchi del pennello e con i colori.

Per questo l'icona - immagine - non è una copia di quello che è rappresentato, bensì il simbolo, con l'aiuto del quale possiamo arrivare fino alla comprensione del Divino. L'icona gioca il ruolo del mistico mediatore tra il mondo terrestre e quello celeste. Così è stato delimitato il senso dell'iconografia.

L'icona accomuna nel suo linguaggio e nei suoi canoni, dettati dalla Chiesa, tutta l'ecumene cristiana, pur raggiungendo espressioni profondamente originali in ogni area geografica e nazionale. Oggi riproporre l'icona significa tornare alle radici della profonda unità che riconosce in Cristo il Signore del cosmo e della storia, la «chiave di volta dell'universo» e riprendere a respirare con i due polmoni della Chiesa orientale e occidentale.

Il VII Concilio Ecumenico esige dai pittori di icone, durante il processo di pittura dell'immagine, di seguire strettamente i canoni dell'iconografia. Questi canoni iconografici regolamentano sia il carattere, sia il modo di rappresentazione delle scene religiose e delle persone dei santi. Questo si spiega con il fatto che le icone sono portatrici e conservatrici della tradizione ecclesiale. Per questo l'infrazione del canone iconografico è la deformazione della tradizione, la caduta in eresia.

Le icone di Cristo

Le icone di Cristo occupano il posto principale sia nel tempio ortodosso, sia nella casa d'ogni credente. La rappresentazione canonica di Dio in forma umana è confermata nel IX secolo: "...di bell'aspetto... ciglia aggrottate, occhi bellissimi, con il naso lungo, capelli chiari, inclinato, umile, con un bellissimo colore del corpo, barba scura, dall'aspetto color di frumento, somigliante alla madre, con dita sottili, mite, silenzioso, paziente...".

I cristiani primitivi rappresentavano Cristo sotto la forma dell'agnello, sotto quella del pesce, o del buon pastore che porta la pecora sulle spalle. Attualmente esistono due tipi di rappresentazioni del Salvatore: 1) come il Pantocrator e il Giudice, il Re dei re; 2) sotto quella forma con cui è vissuto tra gli uomini e ha compiuto la sua missione (in questo caso come bambino o giovane). A volte si possono incontrare immagini di Cristo sotto la forma di un angelo.

Ma se i modi di rappresentazione sono così diversi, non è forse difficile riconoscere il Salvatore nelle icone? No, è facile, grazie ad un dettaglio: l'immagine di Cristo ha l'aureola con una croce dipinta dentro.

Cos'è un'aureola? Questa parola si traduce dal latino come "nube", "nebbia", "nimbo". Il nimbo è il simbolo di una luce divina soprannaturale, rivelata dal Salvatore ai discepoli sul monte Tabor: "E si trasfigurò davanti a loro; il suo volto divenne brillante come il sole, e le sue vesti bianche come la luce".

L'aureola nelle icone del Salvatore porta dipinta una Croce, in cui sono anche scritte tre lettere greche, che ricordano le parole dette da Dio a Mosè: "Io sono colui che sono, l'Essente".

Attraverso l'aureola noi confessiamo in Cristo due nature: divina e umana. Il pittore d'icone dipinge il Lik di Cristo simile ad un volto umano, e con questo confessa il dogma che Cristo è "perfettamente uomo per la sua natura umana". L'aureola trasmette che Cristo è "perfettamente Dio per la sua natura divina".

Nelle icone, Cristo è spesso dipinto con un libro, che può essere aperto oppure chiuso. Il libro aperto contiene una citazione del Vangelo. Il libro può essere rappresentato anche sotto forma di un rotolo, ma l'interpretazione simbolica è sempre la stessa: l'insegnamento salvifico, con il quale Cristo è venuto nel mondo.

Guardiamo le vesti di Cristo. Di solito il Dio-Uomo è raffigurato vestito con un chiton (veste a forma di tunica) rosso e con un himatij (manto) azzurro.

Il colore rosso è simbolo della natura terrestre e umana del Salvatore, quello azzurro della natura celeste e divina.

Di solito, sulla spalla destra si può notare una fascia scura cucita alla tunica, questa fascia nell'antichità era segno di dignità nobiliare. Nelle icone è simbolo della purezza e della perfezione della natura terrestre del Salvatore e segno del suo speciale ruolo messianico.

[Fonte: http://www.orthodoxworld.ru/italiano/icona/1/index.htm]
 

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Pagina inserita 13 luglio - aggiornata 29 settembre 2006