Turchia
Chiesa di Tarso: passare dalle parole ai fatti.
 
“Siamo in attesa di vedere passi concreti. Finora non si è mosso niente. Sono contento dell’interesse delle autorità di Ankara e locali, ma bisognerebbe passare dalle parole ai fatti”. Così mons. Luigi Padovese, presidente dei vescovi turchi (Cet) fa il punto sulla chiesa di san Paolo di Tarso, oggi museo, di cui, da tempo, si attende la restituzione al culto. “Il ministero del Turismo e della Cultura – spiega al Sir il vescovo - non ha rinnovato al museo di Tarso l’affitto per quello che riguarda l’uso della chiesa-museo di san Paolo. Questo può essere considerato come piccolo segno positivo. Resta, tuttavia, ancora valida la prassi per i pellegrini che vogliono celebrare nella chiesa-museo, ovvero avvisare, tre giorni prima dell’arrivo, il vice-prefetto o il responsabile del museo stesso”. Sul futuro mons. Padovese mostra un cauto ottimismo: “so che l’ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede è intenzionato a trovare una soluzione quanto prima. Sarebbe anche importante che non ci si limitasse solo alla situazione di Tarso ma si allargasse lo sguardo a tutte le realtà cristiane turche, partendo dalla considerazione che non siamo minoranza. Ciò che conta – spiega il presidente della Cet - è che siamo, sono, cittadini turchi ed è sulla base della cittadinanza che deve essere fatto valere il diritto alla libertà religiosa. L’essere minoranza non può essere un fatto discriminatorio”. “La Turchia – conclude - è l’unico Paese, a maggioranza islamica, laico, ma come emerge anche dai Lineamenta del Sinodo per il Medio Oriente, il concetto attuale di laicità pone ancora dei problemi alla sua piena libertà religiosa. La laicità sarà uno dei punti emergenti al Sinodo. Un tema difficilmente accettabile per il mondo musulmano che spesso non separa politica e religione”.
 


  [Fonte: SIR 29 gennaio 2010] 



 Tunisi
Islamici ricostruiscono la biblioteca cattolica dell'IBLA - Institut des Belles Lettres Arabes
 
Islamici ricostruiscono biblioteca cattolica. Accade in Tunisia dove, in seguito ad un incendio, il 5 gennaio scorso, è andato distrutto l’Istituto di Belle lettere arabe (Ibla) di Tunisi ed un missionario italiano, Gian Battista Maffi, un padre bianco di 55 anni, ha perso la vita. A rilanciare la notizia è il sito del Pime (Pontificio istituto missioni estere), missionline.org che riporta le dichiarazione di padre Jean Fontaine, direttore del medesimo istituto, che ha raccontato come la ricostruzione dell’istituto sia stato reso possibile da una generosità insolita sia tunisina che proveniente dall’estero: “abbiamo ricevuto un aiuto straordinario: molti, sia in Tunisia che da altri Paesi, hanno risposto al nostro appello di solidarietà. Ci sono state collette da parte di singole persone, di universitari tunisini e di altri soggetti stranieri per aiutarci nel ricostruire l’Ibla”. Anche il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali ha dato la sua disponibilità per il restauro dell’Ibla e ha ordinato di fornire alla biblioteca distrutta “l’aiuto necessario perché essa possa riprendere il posto e lo splendore per quale era conosciuta dall’inizio del Novecento”. Nell’incendio oltre 17 mila – dei 32 mila volumi contenuti nella struttura – sono andati in fumo. Fondato nel 1926 dai padri bianchi, l’Ibla è un rinomato centro di ricerche letterarie e di antropologia.
 


  [Fonte: SIR 29 gennaio 2010] 



 Roma
Il Papa in Sinagoga. Alcune riflessioni.
 
Ieri il Papa si è recato nella sinagoga di Roma. L’incontro è avvenuto in un'atmosfera molto meno consensuale e irenica dell’analoga visita che nel tempio romano effettuò negli anni ’80 Giovanni Paolo II. Polemiche, proteste, ostacoli hanno preceduto questo evento. Da rimarcare:
1. Benedetto XVI è stato ben attento ad escludere da questo incontro un carattere falsamente 'ecumenico', nel senso, da uomo della strada, del 'tutte le religioni si equivalgono' (come dimenticare quell'innocente suorina intervistata alla morte di Giovanni Paolo II, che ringraziava il defunto Papa - che pur non avrebbe apprezzato affatto il complimento - per aver insegnato che tutte le religioni sono uguali?). Papa Ratzinger, nel suo discorso, ha citato Gesù Cristo più di una volta e ha chiaramente delineato quale può e dev'essere il solo campo d'azione comune tra cattolici e ebrei: la morale. Non la teologia, dunque: è inutile cercare impossibili compromessi sulla Verità; ma è possibile un programma condiviso per favorire nella società il rispetto del Decalogo, la grande legge morale che ci accomuna (specie sulla famiglia e la difesa della vita). Ma non solo: grazie proprio alla personalità di Benedetto XVI - dalle prediche contro il relativismo al suo ben noto rifiuto di organizzare ammucchiate assisane - ci appare ridotto il rischio che questa visita alla sinagoga, nella percezione dei più, possa apparire come il solito momento sincretista del "I'm good, you're good, everybody's good".
2. Ma soprattutto, e vogliamo buttarla 'in politica' (in senso lato), questa visita alla sinagoga è stato un ottimo colpo mediatico. L'ha capito benissimo Giuseppe Laras, l'ex rabbino capo di Milano, amicone dell'antepapa (come si autodefinisce) cardinal Martini il quale - ne siamo intimamente convinti - su questo punto, e su molti altri, la pensa come il Laras. Ha dichiarato quest'ultimo, per motivare il suo stizzito rifiuto a presenziare all'evento e per chiedere anzi di annullarlo, che "solo la Chiesa ne trarrà vantaggio, soprattutto i suoi circoli più retrivi" mentre "non avrà alcun effetto positivo sul dialogo ebraico-cattolico". Ecco, appunto: noi che sicuramente possiamo essere annoverati tra i 'cattolici retrivi' nella visione del rabbino Laras, siamo pronti a gioire di questo evento se, come promette, produrrà (oltre all'inaridirsi di quell'insulso 'dialogo' alla cardinal Martini, tutto sorrisi e parole vuote), il disinnesco almeno parziale dell'artiglieria ebraica, che i progressisti (cattolici) sono sempre pronti a mobilitare e a sparare contro il Papa non appena osa compiere qualcosa che non va loro a genio (dal motu proprio, alla revoca della scomunica ai lefebvriani, alla canonizzazione di Pio XII).
 


  [Fonte: Messainlatino 18 gennaio 2010] 



 Roma
"Voi sarete testimoni di tutto ciò": Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.
 
Dal 18 al 25 gennaio incontri e liturgie ecumeniche in tutti i principali centri.
Come ogni anno una fitta agenda di appuntamenti in numerose città italiane caratterizza la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani (18-25 gennaio) centrata sul versetto "Voi sarete testimoni di tutto ciò" (Luca 24,48). Essa è stata promossa congiuntamente dal Dipartimento Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) e dal Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani. Il lavoro iniziale che ha portato alla realizzazione del materiale è stato redatto da un Gruppo ecumenico scozzese convocato da Action of Churches Together in Scotland (ACTS) su invito della Conferenza Episcopale Cattolica.  Scopo della Settimana di preghiera è la ricerca dell'unità tra i cristiani e l'invito a non limitare ad una settimana l'anno la disposizione d'animo all'incontro ecumenico. Tramite i numerosi appuntamenti si intende consolidare il senso di comunione tra le chiese, pregare insieme e condividere momenti di dibattito e di discussione. È dal 1966 che la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani è diventata espressione di un unico progetto della Commissione Fede e Costituzione del CEC e del Segretariato per l'unione dei cristiani della Chiesa cattolica. Eppure già nel 1908 Paul J. Wattson (anglicano passato al cattolicesimo) propose che la settimana dal 18 al 25 gennaio fosse riservata a tale scopo. La data scelta aveva un forte significato simbolico per la chiesa cattolica: si tratta, infatti, del periodo compreso tra le feste della cattedra di Pietro e la conversione di Paolo. La prima idea di una settimana comune di preghiera risale però addirittura al 1846 e fu lanciata dall'Alleanza evangelica nella sua prima Assemblea che ebbe luogo a Londra.

>>>ampia documentazione

>
Catechesi del Papa sull'ecumenismo, 20 gennaio 2010
>Omelia Vespri chiusura in S. Paolo fuori le mura, 25 genn.


 
Fonte: InternEtica/Santa Sede  - 12 / 20 / 25 gennaio 2010



 Gerusalemme
Il patriarca Twal: i drammi della Terra Santa, l'assenza di pace e l'esodo dei cristiani
 
Nel giorno in cui Benedetto XVI, parlando al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha riproposto la situazione dei cristiani in Medio Oriente che, “colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, lasciano la terra dei loro padri”, e richiamato ancora una volta al dialogo israeliani e palestinesi, da Gerusalemme si è levata forte la voce del patriarca latino, Fouad Twal. Aprendo ufficialmente i lavori del X incontro del Coordinamento dei vescovi Usa e Ue per la Terra Santa, in corso proprio a Gerusalemme, Twal ha ricordato: “due sono i drammi che ci fanno soffrire maggiormente: l’assenza di pace e l’emigrazione dei cristiani”. “La pace non arriva nonostante gli sforzi, le promesse, le visite fatte da tante istituzioni e leader internazionali - ha spiegato il patriarca. In questi giorni si parla di un’altra iniziativa americana. Accetteremo qualunque proposta purché sia rispettosa del diritto e della dignità umana”. Altro “dramma” segnalato dal patriarca è “l’emigrazione dei cristiani”. “Non vogliamo aiuti - ha affermato - ma la corresponsabilità delle Chiese del mondo verso quella madre di Gerusalemme. Dal futuro di questa città dipenderà quello dell’intero Medio Oriente. Siamo stanchi - ha concluso - non vogliamo più spargimento di sangue, odio e violenza ma pace e riconciliazione”. Da segnalare, anche, che il patriarca Twal accompagnerà Benedetto XVI nella sua visita alla Sinagoga di Roma, domenica 17 gennaio. I lavori della mattinata sono poi proseguiti con l’intervento del nunzio apostolico, mons. Antonio Franco, che ha fatto il punto sui colloqui tra Santa Sede e Israele circa “il lavoro su un accordo legato all’art.10, paragrafo 2, dell’Accordo Fondamentale”. ...continua
 


  [Fonte: Radio Vaticana 11 gennaio 2010] 



 Luxor
Minoranze cristiano-copte in Egitto più forti della paura
 
Il martirio dei cristiani del Medio Oriente scompagina molti dei luoghi comuni e delle semplificazioni su questa area del mondo surriscaldata e molto più complessa di come è stata rappresentata nel dopo 11 settembre. L'ultima tragedia in ordine di tempo si è consumata in Egitto, un Paese moderato secondo queste rappresentazioni. Otto cristiani copti sono stati uccisi nella notte di Natale - celebrato il 7 gennaio secondo il calendario seguito dalla minoranza - all'uscita dalla Messa in un villaggio vicino al sito archeologico di Luxor. Si tratterebbe di una vendetta per il rapimento e il presunto stupro di una dodicenne musulmana della zona per mano di un giovane cristiano. Ma il pretesto ha dato il la per un atto di sangue che ha radici più profonde. Formalmente, nella Costituzione l'Egitto garantisce la libertà di culto delle religioni, ma nella pratica questo diritto è pesantemente limitato. Un esempio: il permesso per la costruzione di una chiesa è sottoposto al rispetto di diverse condizioni: non deve essere edificata su un terreno agricolo né vicina a una moschea o a monumenti; se viene costruita in una zona abitata anche da musulmani, occorre avere prima il loro permesso; ci deve essere in quella zona un numero sufficiente di cristiani, non devono esserci altre chiese vicine, occorre il permesso della polizia se si è vicino a ponti sul Nilo o a suoi canali o alla ferrovia. La burocrazia diventa così una museruola che costringe la minoranza a praticare il proprio credo dentro un recinto privato. È una condizione di discriminazione di fatto che i cristiani del Medio Oriente - con le rare eccezioni di alcune aree - portano come una croce, con un coraggio degno di ammirazione. Minoranze vittime anche di un paradosso: per il fondamentalismo islamico il cristianesimo è sinonimo di Occidente, quello stesso Occidente che sacrifica il destino dei cristiani orientali in nome di interessi geopolitici ed economici....continua anche con altri documenti
 


  [Fonte: Eco di Bergamo 8 gennaio 2010] 



 Roma
Una italo-marocchina che dice ciò che pensano molti italiani e ogni persona che ha il senso della realtà, della storia e della propria identità nazionale e culturale
 
Lo scorso 21 ottobre, sul settimanale "Tempi", Anna Mahjar-Barducci è intervenuta a proposito delle discussioni in corso in Italia sull'integrazione degli immigrati e sulla concessione in tempi più brevi della cittadinanza:
> "Sono italo-marocchina..."
L'articolo termina così: "Quando leggo sulle pagine dei quotidiani italiani il dibattito sulla concessione della cittadinanza agli immigrati dopo soli cinque anni di residenza, rimango un po’ attonita. Infatti, dalle dichiarazioni di questi giorni sembra che dimezzare il tempo di attesa sia di per sé un elemento che faciliti automaticamente l’integrazione dell’immigrato. Ma forse altro non è che un escamotage per non trattare in maniera appropriata vere politiche di integrazione, che ancora mancano. C’è invece la necessità, per esempio, di promuovere corsi di italiano e di alfabetizzazione gratuiti, di creare modelli e attività sociali per i figli di immigrati, di istituire centri di aiuto e di empowerment per le donne immigrate, di controllare le moschee, di formare imam che abbraccino scuole di pensiero moderno, eccetera. Senza l’adozione di politiche reali che permettano all’immigrato di fare propria l’identità italiana, tutto rimarrà uguale, non importa che la cittadinanza venga data prima o dopo. Continueremo soltanto a vantarci inutilmente di vivere in un’Italia 'multiculturale', quando il multiculturalismo senza integrazione ha sempre creato soltanto ghettizzazione. E avremo altri padri come quello di Sanaa, che uccideranno le loro figlie, ma questa volta con la cittadinanza italiana".


Anna Mahjar-Barducci è l'autrice del libro:"Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa", prefazione di Vittorio Dan Segre, Diabasis, Reggio Emilia, 2009.

 


  [Fonte: InternEtica 4 gennaio 2010] 



 Roma
Assicurata la S. Messa Tridentina pomeridiana il giorno dell'Epifania
 
A Roma, in via Merulana, 177 a pochi passi da Santa Maria Maggiore, nella Chiesa di Sant'Anna al Laterano della Congregazione delle Figlie di S. Anna, che hanno qui la loro Curia generalizia,  ogni domenica alle ore 17 viene celebrata la Santa e Divina Liturgia secondo la forma del Rito Romano Tridentino.

Anche il giorno dell'Epifania la S. Messa More Antiquo sarà puntualmente celebrata alle ore 17, come ogni domenica ed ogni festa di precetto.
 


  [Fonte: InternEtica 2 gennaio 2010] 



 Città del Vaticano
In particolare, la prospettiva del “volto” invita a soffermarsi su quella che il Papa chiama “ecologia umana”. Vi è infatti un nesso strettissimo tra il rispetto dell’uomo e la salvaguardia del creato.
 
Messaggi densi di significati e rivolti all'uomo di oggi nelle parole del Papa durante questo inizio d'anno. «Nel primo giorno dell'anno, vorrei rivolgere un appello alle coscienze di quanti fanno parte di gruppi armati di qualunque tipo. A tutti e a ciascuno dico: fermatevi, riflettete, e abbandonate la via della violenza. Sul momento, questo passo potrà sembrarvi impossibile, ma, se avrete il coraggio di compierlo, Dio vi aiuterà, e sentirete tornare nei vostri cuori la gioia della pace, che forse da tempo avete dimenticato». Parole risuonate prima della preghiera dell'Angelus che ha fatto seguito alla celebrazione per la Giornata Mondiale della Pace, celebrata in San Pietro. L'appello di Benedetto XVI è stato accolto con un lunghissimo applauso dagli oltre 60.000 fedeli presenti sulla Piazza. Per il Papa è la conclusione logica di una riflessione iniziata giovedì sera al «Te Deum» con il richiamo alla solidarietà per fare fronte alla crisi economica, e continuata nella messa per la Giornata Mondiale della Pace la cui omelia ha presentato spunti molteplici tra i quali il richiamo ai membri più indifesi ed esposti della società: i bambini. E il Papa ha spiegato: «Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un "figlio della pace"». Ratzinger ha fatto, poi, riferimento all'icona della «della «tenerezza» della Vergine Maria che «raffigura Gesù bambino col viso appoggiato guancia a guancia a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre, e questa guarda noi, quasi a riflettere verso chi osserva, e prega, la tenerezza di Dio, discesa in Lei dal Cielo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio». In questa icona mariana noi possiamo contemplare qualcosa di Dio stesso: un segno dell'amore ineffabile che lo ha spinto a «dare il suo figlio unigenito. La pace comincia da uno sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell'altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione». Quindi, il Papa ha concluso: «Ma chi, se non Dio, può garantire la "profondità" del volto dell'uomo? In realtà, solo se abbiamo Dio nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell'altro un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura dell'infinito mistero dell'essere umano». Dunque costruire la pace e anche custodire il creato è possibile solo se si riparte da una «ecologia umana ». Perché «l’uomo è capace di rispettare le creature nella misura in cui porta nel proprio spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso e ciò che lo circonda, a non avere rispetto neppure dell’ambiente in cui vive, del creato: inevitabilmente «se l’uomo si degrada, si degrada l’ambiente in cui vive; se la cultura tende verso un nichilismo, se non teorico, pratico, la natura non potrà non pagarne le conseguenze».
 


  [Fonte: InternEtica 2 gennaio 2010] 

 



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